I dialetti vanno sparendo, li si parla molto meno e soprattutto i giovani hanno più facilità con l’inglese che con la lingua dei padri.
Ma è proprio così? Ci sono in Italia e anche in Piemonte vaste aree dove il dialetto è ancora comunemente parlato, magari non in esclusiva, ma resta comunque vivo e con sorprendente capacità di autorigenerarsi.
È vero che lo si parla decisamente meno di una volta, le nuove generazioni sono troppo prese a imparare altre lingue, il dialetto sarebbe un ulteriore sforzo abbastanza inutile nell’economia di un futuro dove sembra più vantaggiosa la conoscenza del cinese che del dialetto piemontese.
Non voglio incominciare con il pippone delle tradizioni, delle nostre radici o della nostra appartenenza, anche se ne avrei voglia, sono cose importanti che sento dentro e sono ancora presenti e forti nei miei pensieri.
Lezioni di dialetto parlato nelle scuole sarebbero poi così fuori dal tempo? Io penso in dialetto ed è ben diverso che pensare in italiano; pensare in dialetto ti fa ragionare in altro modo. Non volevo, ma ho incominciato con i pipponi, mentre il mio obbiettivo è quello di rassicurare tutti i parlatori del dialetto piemontese, mettendo in evidenza come molte nuove parole che si presentano nel vocabolario italiano vengono man mano piemontesizzate, cioè assorbite.
Vi farò alcuni esempi al riguardo. “Elucubrazione”, parola molto usata al giorno d’oggi (elaborazione condotta con meticolosità): impensabile sentirla pronunciare da mio padre e tanto meno da mio nonno, eppure oggigiorno ho sentito dire: Fote nen d’elucubrasiun en tra testa “Baipassare”, neologismo italiano che deriva dall’inglese bypass (superare, andare oltre l’ostacolo). Ho sentito dire da un giovane che parlava con il padre: baipasuma. Una doppia splendida giravolta linguistica. “Introverso” (portato a chiudersi nel proprio mondo).
In dialetto uno così era di certo appellato in altro modo: tusu (persona poco loquace), gnoc (persona testarda); in altri tempi un introverso non era visto bene, ma oggi che abbiamo
acquisito il significato esatto della parola, la piemontesizziamo e diciamo chielli lè en poc intruvers! Inseriamo en poc perché se fosse troppo introverso sarebbe sempre en gnoc o en tusu.
Certe parole in italiano hanno un significato, mentre in dialetto ne hanno un altro e bisogna fare molta attenzione nel piemontesizzarle.
Ecco altri esempi al riguardo: Inciucio: affare losco / En ciuciu: tettarella che serve per far star tranquilli i neonati
Incuneare: infilare nello stretto / Encunè: movimento ondulatorio della culla per far addormentare l’infante
Carillon: souvenir a molla che diffonde musichette / Cariun: elemento da discoteca poco raccomandabile
Sulla falsa riga: metafora che ha nel suo significato il copiare non preciso / En si ra fausa riga: credevo fosse una e invece era uno Pompa magna: ostentare abbigliamento in modo esagerato / Pumpa magna: ringraziamo la zia per essersi adoperata sempre con tutti noi.
Va anche detto che ci sono parole derivate dall’inglese che non avrebbe senso tradurre. Il mouse del nostro computer se lo chiamiamo rat ci prendono per matti. In questo senso la televisione può fare molto. Tra le poche parole piemontesi divenute ormai d’uso nazionale c’è Balengo che per merito della torinese Luciana Littizzetto ha trovato spazio tra le decine di espressioni romanesche e napoletane di cui sono infarciti i programmi.
Non resta che coltivare il dialetto e le sue meravigliose parole. Io, nel mio piccolo, ho fatto in modo di mantenere viva questa lingua e continuerò fin che morte non ci separi.








































