Gentleman-farmer, ovvero gentiluomo di campagna. Così lo definì in tempi, ormai lontani, della Berloni Torino basket Dido Guerrieri, il grande coach che non risparmiava a nessuno buoni consigli e corrosive battute. Se sul gentleman non ci sono dubbi, sul farmer potremmo invece obiettare perché la campagna, quella di Casabianca, è stata solo una breve passione della sua ricca e appassionata esistenza. Beppe De Stefano ha trovato il suo ultimo canestro a metà luglio all’età di 85 anni a Venezia, dove si era stabilito ormai da anni insieme all’amata Marisa e ai figli Giacomo e Barbara. Classe 1931, Beppe era nato in quelli che per gli astigiani dell’epoca erano gli “sbocchi nord”, la zona corso Dante verso il campo sportivo. Fu quasi naturale, data la sua altezza che superava il metro e novanta, assolutamente fuor della media per il tempo, che si appassionasse alla “palla al cesto”, introdotta in città negli anni immediatamente precedenti la guerra e praticata su un mitico, quanto disagevole, campo di gioco come quello del San Giovanni.
Gli esordi con la Libertas poi alla Riv Torino
Dunque, per il giovane Beppe un destino nel basket ma senza dimenticare lo studio: da una parte rudimenti cestistici con la Libertas di Salasco, Marello e Viarengo, dove imparò a usare i gomiti quando si alzava per andare a rimbalzo e dall’altra la laurea in Storia e la borsa di studio per uno stage negli Stati Uniti. Con la Libertas giocò nei pionieristici tornei dei primi anni ‘50 (serie C e serie B) per passare nel 1955 alla Riv Torino (quattro anni in una serie A che era la seconda serie dell’epoca) per poi far ritorno ad Asti agli inizi degli anni ’60 per “dare una mano” alla sua vecchia squadra. Intanto, fuori dall’ambito sportivo, grazie alla padronanza dell’inglese e ai contatti intrecciati a suo tempo negli States, diventò il primo operatore professionale italiano dell’Experiment in International Living, un’organizzazione no profit nata nel 1932 negli USA che proponeva, e propone tuttora, programmi di scambi culturali tra studenti di tutto il mondo per “condividere esperienze, lingue e costumi di diverse tradizioni, con gli obiettivi di ampliare gli orizzonti, stringere rapporti di amicizia e promuovere la pace”. L’aveva introdotta in Italia, meglio dire ad Asti, ancora oggi sede nazionale, nel 1953 un’insegnante dinamica: Renza Rosso che si avvalse per l’appunto delle capacità e dell’intraprendenza di De Stefano per dare all’Experiment uno sviluppo straordinario, con viaggi di studio, accoglienza di studenti e corsi di lingue.
Dal 1966 fu tra i protagonisti della travolgente ascesa della Saclà
Il basket restava però il primo e indimenticato amore di Beppe e il 1966 lo trovò tra gli artefici dell’accordo tra Astense e Libertas che aprì la strada alla cosiddetta “era Saclà”. Qualche volta ci giocò pure, in quella squadra tutta astigiana, ma soprattutto ne diventò ben presto il general manager formando, con il coach ungherese Lajos Toth ed il suo coetaneo presidente Carlo Ercole, un trio vincente che portò la squadra alla serie A dopo un travolgente ciclo di quattro vittorie di serie consecutive. Beppe scoprì così la sua nuova vocazione professionale e, pur mantenendo sempre stretti rapporti con l’Experiment, diventò general manager a tempo pieno curando le sorti della Saclà di serie A, che era emigrata a Torino e, dopo l’accordo con l’Auxilium, fu sponsorizzata negli anni da Chinamartini, Grimaldi, Berloni. Ironico, acuto, dotato di un carisma assoluto, Beppe era capace di intrattenere rapporti di alto profilo in ogni settore operasse (fu anche nella giunta della Lega Basket), ma allo stesso tempo, protagonista di piccole e grandi ribote tra amici e colleghi, grazie ai suoi indubbi saperi in fatto di gastronomia e di enologia ma anche al mai sopito estro goliardico che ne aveva fatto, ai tempi dell’Università, uno dei capi della “Gran Natta” astigiana. Valga per tutte il ricordo di una improvvisata quanto vivace battaglia a palle di neve in cui furono coinvolti giocatori, dirigenti e lo stesso presidente Ercole, “combattuta” la notte dell’antivigilia di Natale del ‘66 sulla piazza su cui affaccia lo stabilimento della Saclà, al termine di una riunione “augurale”. Quando fu chiaro che il ciclo del basket torinese di serie A stava per concludersi, Beppe rispose all’invito della famiglia Benetton a seguire le vicende, sempre in A1, dell’emergente formazione di Treviso dove diede forse il meglio di sé. Fu per merito suo che alla Benetton arrivarono grandissimi giocatori (due nomi per tutti: Vinny Del Negro e Tony Kukoc) con cui – allenatore Peter Skansi – la squadra conquistò lo scudetto nel 1992, la Coppa Italia l’anno successivo e raggiunse la finalissima della neonata Eurolega.
Conclusa l’avventura di Treviso, e passata la sessantina, De Stefano andò, per modo di dire, in pensione, uscì dal grande giro del basket nazionale e tornò ad Asti. “Questa città mi ha dato molto e ha cambiato in meglio il percorso della mia vita – ebbe a dire appena rientrato – adesso è ora che sia io a mettere la mia esperienza al servizio della comunità, o per meglio dire, del basket astigiano”. E così fu. Mentre cominciava a giocare sempre più seriamente a golf, ultima delle sue molte passioni sportive, e tornava a essere un elemento di riferimento del locale Panathlon Club, la sua capacità professionale, il suo fiuto furono fattori decisivi per il successo della bella cavalcata – l’ultima di un certo livello nella storia del basket astigiano – che portò la Cierre, società nata nel 1988 a giocare in B1, terza e difficile serie nazionale. De Stefano ne era il general manager e mise a disposizione prestigio, lungimiranza, saggezza, passione.
Il sogno di provare a ripetere l’epopea Saclà svanì però nel 2008 e Beppe non la prese benissimo, ma come si suol dire, se ne fece una ragione. Tornò, ormai di stabile residenza a Venezia, a occuparsi, tra l’altro, di mai dimenticate passioni come il cinema e la storia – era un ipercritico giudice dell’operato badogliano, tanto per dirne una – senza però mai atteggiarsi, come sovente accade a chi ha attraversato la storia, piccola o grande che sia, a reduce. Nella città lagunare lo sono andati a trovare tante volte molti dei giocatori che lui aveva contribuito a lanciare sul parquet e molti amici astigiani. Con loro parlava volentieri in piemontese e i ricordi non erano mai tristi. E in tanti lo sono venuti a salutare nel viaggio verso il suo ultimo canestro.