Un vino popolare racconta la sua epopea
La guerra è finita da un anno e mezzo e il 22 novembre 1946 nella sede della Camera di Commercio di Asti, davanti al notaio Vittorio Origlia di Montechiaro, si ritrovano sei industriali e commercianti di vino per dare vita al “Consorzio per la difesa dei vini tipici Barbera d’Asti e Freisa d’Asti”. I loro nomi sono: Vittorio Giarda della casa vincola San Secondo di Asti, Luigi Mussa della “Figlio di Marengo Antonio” di Alba, Oreste Garavello commerciante di corso Casale, Francesco Visconti comproprietario della cantine di via Sant’Evasio, Pini Nosenzo, contabile in rappresentanza della Bosca di Canelli, Luigi Coppo canellese a nome del padre Piero, industriale del vino. Sono questi sei signori a firmare l’atto di nascita del Consorzio che avrà sede in Asti e ha come scopo “mettere in commercio i vini tipici Barbera e Freisa, vigilare che ne sia garantita la genuinità, e l’esitazione con i marchi distintivi, diffonderli sui mercati nazionali ed esteri, provvedendo inoltre ad incrementare la produzione ed il commercio”. Il marchio scelto prevede un grappolo d’uva “tinteggiato in blu” con sullo sfondo la Torre Troyana, il profilo medioevale di Asti e la scritta “Asta nitet mundo” . Il San Secondo a cavallo era già stato accaparrato dal Consorzio dell’Asti spumante costituitosi nel 1932, e i “barberisti” ne ripresero il motto. Nell’atto costitutivo si prevede una quota di iscrizione di mille lire e un contributo annuo di 5 lire per ogni ettolitro venduto.
Anche il voto in assemblea è proporzionale alla dimensione aziendale: i primi dieci ettolitri valgono un voto, fino a cento si passa a due voti e si sale fino a quattro voti con trecento ettolitri. Per capire il valore della nascita del Consorzio va considerato il periodo storico e la situazione economica e politica. La guerra aveva causato seri problemi alla produzione enologica. Erano mancati il verderame e lo zolfo, le donne avevano sostituito gli uomini nei lavori agricoli, la meccanizzazione era rimasta ferma. Anche il vino era finito tra i prodotti destinati all’ammasso delle tessere annonarie e non sono mancati episodi di borsa nera. Nel 1946 le uve barbera hanno un prezzo medio di 470 lire al “miria” (dieci chili). Il mercato è ancora in gran parte dominato dal vino sfuso venduto in fusti da sette ettolitri. I commercianti hanno una rete di mediatori che selezionano e acquistano le uve o i vini dai contadini. La selezione porta ad una barbera da bottiglia tipo “fine” e una da pasto sotto i 12,5°. Il vino spesso viene poi imbottigliato direttamente da trattorie e ristoranti con loro etichette della casa, il resto è venduto ai privati in damigiane e stanno prendendo piede i bottiglioni da due litri. Il Consorzio mette insieme il mondo commerciale e della grande e media proprietà viticola e vuole uscire dalle logiche corporative imposte dal ventennio fascista. Si guarda a mercati nuovi nelle grandi città del Nord e alle prime esportazioni. Un problema urgente è la difesa dalle frodi e dalle sofisticazioni. È normale l’arrivo dei vini dal Sud ad alta gradazione usati come “taglio” delle produzioni nostrane e ci sono però anche i mestatori, quelli che producono i vini “fatti con il bastone”. La barbera vera e genuina si trova a fare i conti con molti nemici interni. La sua immagine è molto popolare, rustica, poco raffinata. Ma non mancano le eccezioni positive.
Legami con il Consorzio dell’Asti e sviluppo di una nuova identità
Il clima è comunque di ripresa produttiva. A settembre del 1946 Asti era tornata ad ospitare una Fiera del vino organizzata dalla Camera di commercio. Il valore della produzione enologica di quell’anno è stimato in sette miliardi di lire. Il Consorzio cresce. Vittorio Ferro, segretario generale della Camera di commercio, trasmette altre adesioni importanti il 13 dicembre. Tra queste le ditte: Bersano di Nizza Monferrato, Fontanafredda di Alba, Contratto di Canelli, Lorenzo Bologna di Rocchetta Tanaro, Alfredo Soria di Canelli, Adriano Gerbi di Asti, Scarpa di Nizza Monferrato. Il 24 febbraio 1947 i 24 soci aventi diritto al voto eleggono il primo presidente nella figura del prof. Arturo Marescalchi di Casale Monferrato, un presidente esterno di garanzia e si direbbe oggi di immagine, considerando la notorietà dello studioso che ricopre anche la carica di vertice del Consorzio dell’Asti. Nel consiglio direttivo nomi di primo piano come Lamberto Vallarino Gancia, Mario Contratto, Gino Coppo, Arturo Bersano. Il Consorzio Barbera-Freisa è strettamente collegato fin dalla nascita con quello dell’Asti spumante e ne condivide anche il direttore Ercole Garrone che ricopre la stessa carica per gli spumantieri. I due consorzi seguiranno a lungo la stessa strada, dividendosi poi in maniera autonoma solo negli Anni Ottanta.
Si dà incarico al pittore Rosa di disegnare i due marchi distintivi, uno per la Barbera e l’altro per il Freisa. Spesa prevista 1800 lire. Tra i temi caldi di quegli anni la difesa dalle avversità meteo a cominciare dalla grandine, che devastò le vigne nel 1948, con la richiesta di un fondo di solidarietà nazionale e la detassazione fiscale che colpiva il vino con dazi interni molto pesanti. L’inizio degli Anni ’50 vede una crisi forte del settore e i primi segnali evidenti di abbandono delle campagne da parte di contadini che preferiscono i richiami delle industrie soprattutto torinesi, Fiat in testa, con mutua e ferie pagate. Il mondo del vino cerca di rispondere puntando a creare nuove figure professionali. Asti vede la nascita nel 1951 dell’Ordine nazionale assaggiatori vino, collegato all’Accademia della vite e del vino ispirata due anni prima a Siena dal prof. Dalmasso. Torna ad Asti anche la Fiera del vino che sarà visitata a maggio dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi, originario di Dogliani, famoso economista ed egli stesso produttore di vino nella tenuta di famiglia. In quei giorni si segnala anche il primo congresso nazionale delle cantine sociali. Il fenomeno cooperativo, avviatosi alla fine dell’Ottocento e consolidato nei primi anni del Novecento era stato stoppato dal Fascismo. Il dopoguerra vede la nascita di moltissime nuove cantine sociali, spesso ispirate più da logiche politiche di campanile che da reali obiettivi di enologici. Nel solo Astigiano se ne conteranno 47, in gran parte collettori di uve da vinificare per rivendere il vino all’ingrosso. Lo scandalo dell’Asti Nord del 1964, ne frenerà fortemente lo sviluppo e decreterà dolorosi fallimenti. Oggi ne sono rimaste 16, la maggior parte in salute e in grado di arrivare direttamente sul mercato con le loro bottiglie. (Vedi Astigiani n.13 settembre 2015). Torniamo agli Anni ‘50. Alcune annate di buona qualità e scarsa quantità come il 1952 rilanciano i prezzi. L’uva barbera supera la soglia delle 500 lire al miria e sale fino a 700. Inizia una tendenza rialzista con l’agricoltura tenuta però ai margini del boom economico con l’affermarsi della televisione come mezzo di comunicazione di massa, lo sviluppo impetuoso della motorizzazione privata di auto e scooter (dalla Fiat 600 alla Vespa). Ad Asti c’è chi vorrebbe un museo del vino permanente sotto piazza Alfieri e il prof. Ettore De Benedetti, primario di fama, auspica la nascita di una parallela industria dei succhi d’uva. Progetti e sogni che non si faranno mai concreti. Il Consorzio Barbera-Freisa nel 1957 ha un nuovo presidente: è il deputato liberale Vittorio Badini Confalonieri che in quegli anni ricopre anche la carica di presidente del Consorzio dell’Asti. Per la parte agricola viene eletto alla presidenza Carlo Reggio, della cantina sociale di Canelli, Carlo Perotti rappresenta i commercianti. Si comincia a parlare di Europa unita e di mercato comune e cresce la discussione sull’istituzione delle doc (Denominazione di origine controllata) che cambierà il mercato dei vini. La barbera nel 1962, ad opera del sindaco di Asti Giovanni Giraudi, ispira anche una maschera. Nasce “Barberina” destinata a rilanciare il Carnevale astigiano con “Spumantino”. Una coppia di maschere che si farà conoscere. (Vedi Astigiani 19 , marzo 2017) . Arriva l’annata 1964, da molti considerata la migliore del secolo, che lancia l’immagine del vino piemontese. I produttori di barbera sono tra i protagonisti e azzardano imbottigliamenti “in purezza” con indicazioni delle vigne. Sta maturando l’era delle doc.
Il Consorzio allarga la base associativa e partecipa alla prima Douja d’or organizzata dal presidente della Camera di commercio Giovanni Borello nel 1967 con lo slogan “Bevete sotto la nostra responsabilità”. Passano tre anni e arriva il riconoscimento a doc per la Barbera d’Asti. È il 9 gennaio 1970. Un anno dopo tocca alla Barbera del Monferrato. Anche la Barbera d’Alba ha la doc, poi arriverà la Colli Tortonesi. Anche l’Oltrepo pavese ha la sua doc di barbera. Badini Confalonieri diventa ministro del Turismo e dello spettacolo. Sarà lui ad inaugurare la sesta edizione della Douja d’or che diventa anche concorso nazionale. Nel 1976 arriva al Consorzio dell’Asti come direttore l’enologo albese Renato Ratti, che dopo una lunga esperienza alla Cinzano in Brasile è tornato in Italia e ha creato una sua azienda a La Morra dove produce Barolo. Ratti diventa anche direttore del Consorzio Barbera e punta su alleanze scientifiche come quella con il prof. Luciano Usseglio Tommasset, direttore dell’Istituto sperimentale per l’enologia di Asti. Si muovono sul mercato figure nuove come quella di Michele Chiarlo da Calamandrana tra i primi ad esportare le sue barbera nel mondo e Giacomo Bologna da Rocchetta Tanaro che con il marchio Braida impone barbere di diversa tipologia: “La monella” vivace e il “Bricco dell’Uccellone” destinato a scalare la vette delle classifiche enologiche.
Alla presidenza del Consorzio arriva Fiorenzo Giacosa, in rappresentanza della Bersano di Nizza, l’azienda che con l’impulso di Arturo Bersano (scomparso nel 1978) ha aumentato peso commerciale, qualitativo ed estensione delle vigne nelle aree più vocate. La presidenza passa a Paolo Ricagno in rappresentanza della cantina sociale vecchia di Alice Bel Colle. È il primo esponente del mondo della cooperazione a guidare il consorzio che dal 1981, per un anno sarà condotto da Romolo Dezzani, industriale vinicolo di Cocconato. Poi tocca a Michele Chiarlo fino al 1986. Nel marzo di quell’anno Chiarlo, in qualità di presidente deve affrontare lo scandalo del vino al metanolo che aveva macchiato l’immagine della barbera, visto che i primi bottiglioni incriminati riportano in etichetta il nome del vino piemontese, pur essendo tutt’altro. È una scossa, che per molti è stata benefica. La reazione è positiva. Il consorzio si muove su vari livelli. Alla presidenza torna Paolo Ricagno che concorda nel 1987 con la Regione Piemonte il lancio di una campagna promozionale di successo: “La rosa dei Barbera”. Quattro petali di colore diverso per indicare le doc d’Asti, d’Alba, Monferrato e Colli Tortonesi. Sono coinvolte le associazioni dei produttori Asprovit e Vignaioli Piemontesi. Si organizzano serate e concorsi. Il Consorzio adotta quel marchio come nuovo simbolo. Con Renato Ratti matura l’idea di organizzare una grande asta di barbera ottenute dai vigneti storici. La prima si svolgerà nel 1989 al castello di Costigliole. Ratti purtroppo è mancato da pochi mesi. Vengono messi all’incanto fusti da sette ettolitri dell’annata 1988.
Gli acquirenti sono industriali e commercianti. Lo scopo è benefico, il risultato eccezionale (vedi scheda pag. 36). In dieci anni a Costigliole e poi anche ad Asti e a Torino l’associazione dei vigneti storici e il Consorzio propongono aste benefiche con testimonial famosi: da Allegra Agnelli a Piero Chiambretti, da Giorgio Faletti a Nino Manfredi. Ci sono le dirette Rai di Linea Verde e vasta eco sui giornali. La popolarità della barbera cresce. In tutto saranno incassati più di un miliardo e mezzo di lire, con quotazioni che arrivano a 18 mila lire al litro. La campagna della Rosa porta i vini del Consorzio in giro per il mondo con decine di manifestazioni promozionali all’estero. Si organizza il Barbera day dedicato agli assaggiatori professionisti e nascono nuove iniziative promozionali. Alla presidenza si avvicendano Giovanni Garavello, poi dal 1996 al 1998 Livio Manera di Castelboglione , al quale segue Luigi Dezzani di Cocconato dal 1999 al 2004, Giovanni Chiarle della cantina sociale di Nizza dal 2005 al 2008, Enzo Gerbi della Sei Castelli di Agliano-Castelnuovo fino al 2010, poi Lorenzo Giordano della Cantina sociale di Vinchio fino al 2013. Dal 2014 la presidenza è stata assunta da Filippo Mobrici, 50 anni, agronomo responsabile dei vigneti di Casa Bersano. In questi anni il Consorzio ha allargato la base di adesione con 243 aziende associate e 10 vini tutelati (vedi scheda). Dal 2015 è stato adottato un nuovo marchio scegliendo l’impronta della barbera su un bicchiere, sviluppato la comunicazione anche sui social e attuato il trasferimento della sede da Asti all’ala del castello di Costigliole. Mobrici, riconfermato fino al 2019 ha un programma condiviso: «Sarà un Consorzio sempre più vicino ai produttori che si rivolge agli operatori commerciali, ai ristoratori, agli enoappassionati e ai media italiani e internazionali. La barbera d’Asti e gli altri vini del Monferrato sono una grande risorsa e dobbiamo esserne orgogliosi».