mercoledì 23 Aprile, 2025
HomeNumero 29Piero Fassi, l'essenza dell'astigianità in salsa tanarina
1938

Piero Fassi, l’essenza dell’astigianità in salsa tanarina

Dici Piero Fassi e gli astigiani ricordano lo stile e la simpatia con i quali ha condotto per oltre quarant’anni il suo ristorante Gener Neuv, a pochi passi dal Tanaro. Lui in sala ad affabulare i clienti, in grado con gli stranieri di farsi capire benissimo con il piemontese e i disegni. In cucina tenera e straordinaria per tenacia e passione Pina, la donna della sua vita, conosciuta quando lei aveva 15 anni e lui meno di venti in una stanza dell’ospedale al reparto di otorinolaringoiatria. Una vita insieme lavorando ogni giorno, anche e soprattutto quando gli altri fanno festa. Piero da cartellonista pubblicitario a ristoratore con stella Michelin. Un astigiano doc, appassionato di palio e del suo borgo 3T. Da innamorato della sua città vorrebbe i suoi concittadini più entusiasti. Un ottimismo di fondo che neppure i tragici dolori che la vita gli ha riservato riescono a mutare.

A scuola è una frana ma amava disegnare e diventa cartellonista pubblicitario

 

Sulle vecchie carte d’identità era scritto: nato ad Asti ed ivi residente. Piero Fassi va oltre la stanzialità anagrafico-comunale. Lui è nato in Borgo Tanaro e in un raggio di poche centinaia di metri, lungo l’asse di corso Savona, è cresciuto, ha amato, lavorato, vissuto e
ancora vive con la sua Pina, moglie dolce e tenace, senza la quale la storia di Piero sarebbe stata diversa, molto diversa.

Tutto nasce da un’operazione di tonsille. Un incontro nel reparto di otorinolaringoiatria del prof. Gentile, al primo piano del vecchio ospedale di Asti.

Anno 1957. Piero ha 19 anni e un lavoro da disegnatore cartellonista. Giuseppina Bagliardi di anni ne ha appena 15.

«Ci ritrovammo insieme nella sala d’aspetto del reparto. Lei doveva essere operata di tonsille. La vidi come un angelo in vestaglia rosa. Io ero affetto da stenosi nasale. Bastarono gli sguardi. Nei pochi giorni di degenza, dopo le rispettive operazioni, superavo il controllo arcigno delle suore e andavo a trovarla nel camerone femminile del reparto. Conobbi anche la madre e il giorno prima di tornare a Mombaruzzo suo padre mi portò una bottiglia di Barbera per la convalescenza. Quindici giorni dopo andai in treno a trovarla, riportando quella bottiglia vuota. Il fidanzamento durò tre anni e tanti altri viaggi in treno.

Nel 1960 ci sposammo e anche gli invitati presero il treno: il pranzo di nozze per comodità fu organizzato al ristorante San Marco di Nizza Monferrato, davanti alla stazione».

Paolo Conte in Azzurro canta il “treno dei desideri nei miei pensieri all’incontrario va”. Riporta il treno indietro di qualche anno, pur restando nei pressi della stazione, visto il mestiere della tua famiglia.

Noi avevamo i cavalli. Fin dal mio bisnonno Michele e poi suo figlio Carlo, mio padre Mario e i miei zii facevano tutti i carrettieri, i cartuné, e trasportavano ogni tipo di merce. Ogni mattina prestissimo andavano allo scalo della stazione e caricavano il collettame destinato ai clienti della città e dintorni.

Mio padre si definiva con orgoglio un “ippotrasportatore” e quando presero il sopravvento i camion e perfino Gondrand gli offrì di aprire una filiale ad Asti, non tradì i suoi carri e i suoi cavalli.

Tu invece hai seguito un altro destino.

Sono nato nel 1938. Abitavamo con papà, mamma Caterina detta Vigina e mio fratello Giorgio, nato nel 1941, in una traversa di corso Savona non lontano dal cavalcavia della stazione. I primi ricordi sono di guerra.

Proprio davanti a casa c’era un posto di blocco dei repubblichini, una volta ci fu una
sparatoria con i partigiani. Io ero nel negozio di fronte, mia madre terrorizzata mi cercava,
un vicino di casa, grande e grosso, mi prese in braccio e facendomi scudo con il suo corpo mi riportò a casa.

Rivedo il giorno della fine della guerra, un partigiano con un mitra che sparava al ritratto di Mussolini buttato a terra in mezzo a corso Savona.

D’inverno, in quegli anni, mio padre raccomandava a mia madre di non mettere più di cinque o sei pezzi di legno al giorno nella stufa. Tiravamo la cinghia.

Piero Fassi nel ritratto di Giulio Morra

 

Che studente sei stato?

Cinque anni alle Elementari del borgo Tanaro, con la maestra Fontana da Caltanissetta che si lamentava con mia madre perché ero troppo vivace e non avevo voglia studiare, ma mi promosse sempre per simpatia.

Poi, quando la guerra era già finita, frequentai tre anni dell’avviamento industriale: sempre rimandato e promosso agli esami di riparazione. Non avevo voglia di studiare.

In quegli anni d’estate ho fatto il fattorino in bicicletta dai fratelli Marengo di via Aliberti che le bici le vendevano. Provai anche da un meccanico di moto e in un laboratorio di cromatura. Feci anche la maschera al cinema Politeama per cento lire a sera e ricordo le lunghe gambe delle ballerine delle compagnie di varietà che si avvicinavano infreddolite alla stufa a legna che avevo il compito di tenere accesa nel retro del palcoscenico.

Alla fine della terza classe mia madre si raccomandò al bidello Ambrosio per farmi trovare un lavoro in qualche fabbrica.

Invece, visto che l’unica materia in cui eccellevo era il disegno, mi ritrovai apprendista alla Signum, un laboratorio artigiano del centro storico che faceva cartelloni e insegne per
negozi e segnali stradali. Un paio d’anni in prova e poi dal 1954 il mio primo libretto di lavoro. Ci sono rimasto per otto anni come apprendista a settemila lire a settimana e in effetti imparai molte cose del mestiere, tanto che a 21 anni decisi di mettermi in proprio.

Piero Fassi bambino

 

Un bello spirito imprenditoriale come si direbbe oggi…

Più che altro la voglia di non mangiare per tutta la vita il pane del padrone, che il detto popolare dice abbia sette croste. Mio padre era contrario, ma poi fu il primo ad aiutarmi a metter su il laboratorio sotto un portico alluvionato nel ‘48, vicino alla stalla dove c’erano i
cavalli in via Amalfi.

Mi feci stampare il biglietto da visita “Ditta Fassi pubblicità” e andavo a trovare clienti che già mi conoscevano per il mio lavoro alla Signum. Andai anche ad Alba ed ebbi la fortuna di
trovare un amico astigiano che mi diede la commessa per allestire i cartelloni dei camicioni della Vegé. Cominciavo a ingranare.

Ad Asti ci sono ancora mie insegne di negozi. Davanti alla Torre Rossa ne è rimasta una scatolata con la scritta “panetteria”. Pina mi aiutava già. Disegnavo tutto a mano, riportando in scala i caratteri sulla lamiera. Usavamo la tecnica del tampone a polvere di carbone, la stessa usata da Michelangelo, tanto per vantarmi.

L’impresa è agli inizi e cresce. È Pina a ricordare Piero che la portava sulla canna della bicicletta a prendere le misure e poi arrivò la prima Vespa 150, pagata 150 mila lire. Da allora la Vespa è sempre stata il mezzo di trasporto preferito da Piero che ne guida una ancora oggi.

Quando la famiglia si è allargata con la nascita di Maria Luisa e Maura, a Piero è cresciuta in testa un’idea destinata a cambiargli ancora la vita.

«Il lavoro di cartellonista andava bene e abbiamo potuto metter qualcosa da parte. Avevo però la preoccupazione di avere una sola fonte di entrate: pensammo di aprire un negozio, ce ne proposero uno di scarpe. Eravamo dubbiosi. Incontrai un giorno Germano Valente, che gestiva il Gener, un ristorante tipico molto conosciuto non solo dagli astigiani, poco distante dalla riva del Tanaro. Voleva venderlo, insisteva. Ne parlai con Pina. Non avevamo nessuna esperienza di ristorazione. Lei sapeva cucinare, ma sarebbe bastato?»

Nel giorno del matrimonio con Giuseppina Bagliardi nel 1960 a Nizza Monferrato.

 

Nel settembre 1970 la svolta. Firmate il contratto e…

 

…e abbiamo aperto il 3 gennaio del 1971. Mi ricordo bene: 64 persone incuriosite che pagarono il pranzo tremila lire. Ci fecero i complimenti e ricordo che, quando l’ultimo cliente ci salutò, andai in bagno e piansi per l’emozione.

Nei mesi precedenti, con l’aiuto di tanti amici, avevamo sistemato il locale e ritoccato il nome facendolo diventare: Gener Neuv. Ci pensò il più amico di tutti: Antonio Guarene, architetto e vignettista che conoscevo dai tempi dei cartelloni da esporre davanti ai cantieri dei palazzi in costruzione.

È stato Antonio a disegnare il guerriero con l’armatura e l’elmo piumato che è diventato il simbolo del nostro ristorante. Nei primi tempi ad aiutare Pina in cucina venne Secondo Buzzi, un cuoco che era andato in pensione da poco.

Io ero in sala. Non avevo gena, raccontavo storie. Avevo disegnato scritte sulle travi e sul camino c’era una stemma araldico inventato: un pesce infilato in una forchetta e il motto “se ’l Tani fuisa vin, an faria pèss”. Passavamo con i cabaret e servivamo al cucchiaio come si fa nelle trattorie. La prima specialità, di quei tempi, erano le quaglie alla piastra.

Pina, quand’era già una cuoca famosa, a chi le domandava se avesse mai seguito corsi di cucina, rispose che aveva sempre e soltanto seguito corso Savona. Eravate degli splendidi autodidatti della ristorazione.

Abbiamo ammirato gli altri, a cominciare dai migliori, decidendo poi di testa nostra. Siamo andati in Francia e in giro per mezza Italia. Puntavamo alla qualità, senza guardare al prezzo delle materie prime.

La selezione dei fornitori fu severa. Volevamo capire e imparare. E così, a poco a poco,
le tovaglie le abbiamo messe di lino, le postare d’argento e i bicchieri di cristallo della Riedel che ci vendette Angelo Gaja.

In quel periodo sono anche nate amicizie splendide con altri ristoratori. Ricordo i viaggi con Guido e Lidia Alciati di Costigliole e le nostre famiglie, ma anche i Ferretto del Cascinalenuovo di Isola e tanti altri.

Siamo entrati nell’associazione “Le Soste” che raggruppava il meglio della ristorazione
italiana. Io mi sentivo un dilettante accanto a cuochi famosi, anche se allora non c’era
come adesso il mito degli chef.

Nel 1983 arriva la prima Stella della guida Michelin, un riconoscimento che avete mantenuto per anni.

Il giorno che uscì la guida ci arrivò al ristorante una grande corbeille. Il biglietto d’auguri era di Guido e Lidia Alciati che la stella Michelin l’avevano già da anni.

Il nostro Gener girava e la clientela cresceva. Durante la settimana erano soprattutto pranzi e cene d’affari, il sabato e la domenica cominciavano a vedersi gli enoturisti e i primi stranieri.

Il ritratto di famiglia sulla porta del ristorante

 

E con le lingue come te la cavavi?

Nessun problema, mi facevo capire. E se proprio serviva, mi aiutavo disegnando. Diciamo che ho inventato il menù a fumetti. Abbiamo avuto clienti dall’estero straordinari. Una coppia di canadesi, lui ingegnere, lei hostess, erano amanti dell’Italia e non mancavano mai di venire a trovarci. Qualche volta sono stati anche più di un mese, facevano tappa ad Asti e giravano le Langhe e il Monferrato.

Siamo diventati così amici che abbiamo avuto la sorpresa di essere citati nel loro testamento.

Il Gener Neuv ha avuto anche clienti famosi e la sua cucina è stata apprezzata da personaggi in visita ad Asti come Papa Giovanni II o il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Sono state belle soddisfazioni. A volte arrivava gente importante con l’autista e noi
non sapevano neppure bene chi fossero. Ci è capitato così con Michele Ferrero e la moglie mentre il vecchio Miroglio, il fondatore dell’industria tessile albese, si faceva conoscere perché veniva a gustare la finanziera della Pina, la migliore del mondo diceva, e se ne faceva dare un paio di porzioni di portare a casa.

Nella vita del Gener Neuv una data ha lasciato il segno e non solo per modo di dire, visto il livello dell’acqua che nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1994 invase il locale.

Non possiamo dimenticarlo. Quella sera avevamo un gruppo di tedeschi a tavola che la facevano andare per le lunghe. Sapevamo che il Tanaro era grosso, nel pomeriggio avevamo già spostato le macchine. Andai a vedere sugli argini e mi resi conto del pericolo.

Rientrai e convinsi i clienti ad andarsene. Ricordo uno di loro che voleva ancora una bottiglia di Barolo. Ho dovuto quasi bisticciare per mandarlo via con gli altri. Poi abbiamo spento tutto e siamo risaliti a piedi lungo corso Savona, sotto la pioggia, verso il cavalcavia dove ci aspettavano per portarci a dormire da parenti.

Al mattino alle sei ero sulla gradinata di fronte a piazza Campo del Palio che era un lago d’acqua e fango. Sentii uno dire che tutto il rione Tanaro era devastato e che il Gener Neuv era sotto tre metri d’acqua. Sbagliava di poco, il segno dell’alluvione si fermò a 2,70 metri.

Quando nel pomeriggio riuscimmo a raggiungere il nostro ristorante potete immaginare la
devastazione: porte e finestre sfondate, arredi divelti, la cucina invasa dal fango, la
cantina sommersa. Certi tavoli siamo andati a recuperarli negli orti dei vicini più a valle.

Uno sconforto. Dissi a Pina: qui ci tocca star chiusi almeno un mese. Mi guardò come si compatisce uno che delira.

Ai tempi del Gener Neuv con un ospite d’eccezione: il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2003 in visita ad Asti con il presidente della Regione Piemonte Enzo Ghigo. Fassi è con la moglie Pina le figlie Maria Luisa e Maura e il nipote Giacomo

 

E invece esattamente dopo 30 giorni, ai primi di dicembre avete riaperto. I giornali di allora parlarono di miracolo.

Per i miracoli servono i santi e gli angeli e noi li abbiamo visti all’opera. Hanno anche nome
e cognome a cominciare dal mio amico Luigi Pavese di Montemarzo che il lunedì sull’argine davanti al ristorante si presentò con un trattore e un generatore e mi gridò “Piero nui ai suma”. Noi ci siamo.

E da quel momento è stato un susseguirsi di gesti di amicizia e concreta solidarietà. Clienti, amici, produttori di vino, colleghi ristoratori ci sono stati vicini. Dall’associazione “Le soste” arrivò un assegno di 21 milioni e 500 mila lire, raccolti durante una serata di solidarietà
a Milano.

Con quei soldi andammo a comperare arredi e sedie. C’era chi veniva a portare il pranzo per gli operai che lavoravano al restauro, altri mandavano personale per darci una mano. Mi aiutò anche mio fratello.

L’architetto Guarene seguiva i lavori e quando l’elettricista Gianni Chiola riuscì a far riaccendere le luci fu bellissimo. Fatto sta che il miracolo avvenne e un mese dopo l’alluvione con un solo fuoco e un forno Pina cucinò per 60 persone. Il nostro Gener era rinato.

Torneremo ancora sul Gener, spostiamoci su un tema che ti ha visto protagonista per anni: il Palio.

Mi è sempre piaciuto e l’ho seguito fin dalla ripresa del 1967, naturalmente da borghigiano dei 3T Tanaro, Trincere, Torrazzo.

Dal 1975 mi hanno voluto rettore e lo sono stato per 11 anni, con qualche alternanza fino al 1996. Tanta passione e un solo sagrin, non essere riuscito a stringere il Palio da vincitore, ma mi consolo con i tre “Palio d’Argento” assegnati dal Lions per l’attività paliofila nel borgo.

Ci sono foto di un Fassi furioso in piazza circondato dai carabinieri.

Quasi mi arrestarono. Era il 1977, fu un Palio maledetto. Avevo visto abbattere nei box Kim, il nostro cavallo, feritosi in batteria.

La finale la corsero solo in due: Cattedrale che vinse e Costigliole. Lo ripeto, un Palio
maledetto, con ritardi e scorrettezze. In Consiglio del Palio ho sempre detto la mia per il bene della manifestazione. Sono stato tra i primi ad appoggiare l’idea di correre in piazza Alfieri e avevo trovato anche il modo di acquistare le tribune per evitare di doverle affittare ogni anno.

Per il futuro vedo un Palio aperto e libero com’è nella nostra storia. Ma il vero problema, dopo oltre 50 anni dalla ripresa, è che presso gli astigiani tra i favorevoli al Palio e gli inevitabili contrari, vince ancora il partito dell’indifferenza.

Piero Fassi nei giorni immediatamente dopo l’alluvione del novembre 1994 mostra la distruzione del Gener Neuv. Il ristorante riuscì nel miracolo di aprire dopo un mese e l’amico Antonio Guarene celebrò la riapertura con una vignetta

 

Torniamo al Gener Neuv che avevamo lasciato risorto dopo l’alluvione.

Siamo tornati a lavorare tutti e quattro: io, Pina, Maria Luisa e Maura. La clientela era tornata, ma un ristorante come il nostro risente anche del clima economico del territorio.

La crisi ha cominciato a farsi sentire. Meno pranzi di lavoro, meno ospiti da fuori. Ogni fabbrica o ufficio che chiudeva voleva dire meno giro anche per noi. Abbiano fatto due conti e considerando l’età e le scelte che stavano facendo le nostre figlie ci sarebbe piaciuto cederlo a qualcuno che mantenesse alto il nome del Gener Neuv.

Sono passati mesi di incontri, purtroppo non decisivi, e alla vigilia di Natale del 2013 abbiamo spento le luci. Poco dopo siamo stati contattati da chi, facendosi forza del nome di Eatly, ci ha proposto l’acquisizione del logo e del marchio e il trasferimento in un nuovo locale in via Leone Grandi, vicino al Teatro Alfieri, cosa che è avvenuta nel novembre 2014.

Sembrava una rinascita e invece…

Noi dovevamo avere un ruolo di consulenza e supporto, ma le cose non andarono per il
verso giusto. Parlarne mi alimenta un certo senso di colpa e di impotenza. È come vedere un figlio che prende una strada sbagliata. Non potevo sapere che dopo pochi mesi, il 4 luglio 2015, il dolore, come padre, sarebbe diventato immenso, così profondo da togliere la voglia di vivere.

Tutti ricordiamo lo sgomento per l’uccisione di Maria Luisa, accoltellata nella sua tabaccheria di corso Volta, a opera di un rapinatore solitario. Un delitto assurdo e crudele, che ebbe una vasta eco nazionale.

Quando mi telefonarono quella mattina per dirmi di andare in ospedale che era successo qualcosa a Maria Luisa, pensai a un incidente in Vespa. Arrivai al Pronto Soccorso e c’erano della macchie di sangue sul pavimento.

Nessuno mi diceva niente. Bastarono gli sguardi. Fuori erano arrivati in centinaia, gli amici di Maria Luisa e suo marito Walter, gente che la conosceva e aveva apprezzato la sua dolcezza.

Fummo soffocati dalla solidarietà. Il giorno dei funerali e anche dopo. Non abbiamo voluto
assistere al processo di quell’uomo che ce l’ha rubata per una manciata di euro. Siamo
andati avanti, stringendoci nel ricordo di Migia che nei nostri cuori e nei cuori di chi
le ha voluto bene è sempre viva.

«Mi piace scrivere e naturalmente anche disegnare. Nel 2013 avevo già mandato alle stampe “Piero Fassi racconta”, un libro autobiografico ricco di fotografie. In queste “Cartoline” ho raccolto ricordi. Alcuni mi commuovo a scriverli, in altri ci rido su. I ricordi sono come le ciliegie, uno tira l’altro».

Piero che cos’è per te l’astigianità?

Nell’ultima di copertina del mio primo libro avevo scritto “Asti è viva in me: essa è arte, musica, enogastronomia, lavoro, amicizia, bellezza, malinconia e soprattutto speranza”. Oggi aggiungo che vorrei gli astigiani un po’ più entusiasti della loro città. Siamo lavoratori,
tenaci ma a volte un po’ troppo lasmi sté. Si capisce o devo fare in disegno?

 

 

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

Sergio Miravalle

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

3,917Mi PiaceLike
0FollowerFollow
0IscrittiSubscribe

GLI ULTIMI ARTICOLI CARICATI

IN EVIDENZA

Accadde nel quarto trimestre 2009-2019

2009 24 ottobre - Muore all’età di 78 anni Elio Ruffa, figura storica del Borgo San Rocco, fondatore del Comitato Palio e Rettore, tra...

Sul calendario ottobre-novembre-dicembre 2019

7 ottobre Nella notte esplode una bomba carta all’esterno del Tribunale di Asti. L’esplosione, avvertita in gran parte del centro storico, non provoca feriti...

La collina di Spoon River

Felice Appiano 11 aprile 1924 – 7 settembre 2019 Veterinario I cavalli sono stati importanti nella mia vita. Nel 1935 ho sfilato al Palio a 9 anni...

Il vescovo “austriaco” sotto accusa, fu difeso da Silvio Pellico

Filippo Artico è nominato vescovo di Asti nel 1840. Siamo in pieno Risorgimento. Il prelato ha 43 anni ed è nato, nell’impero austro-ungarico, a...

Volume monumento celebra la conquista dell’Africa orientale

È un ponderoso e monumentale volume in-folio di 570 pagine che colpisce l’attenzione soprattutto per la particolare legatura: Italiani di Mussolini in A.O. (Africa...

Piano, da Asti all’argento di Rio

È un’opera scritta a quattro mani quella che il pallavolista astigiano Matteo Piano ha realizzato insieme a Cecilia Morini, la psicologa dello sport che...

Scrivere di guerra e migrazioni per dissolvere paura e pregiudizi

Il più recente libro di Domenico Quirico, astigiano, uno dei più grandi inviati di guerra del nostro giornalismo. Dalla quarta di copertina: “Scrivere di...

Tutte le parole che servono per raccontare la città ai turisti

Se ben scelte, le parole sono magiche: prendono il turista per mano, lo accompagnano alla scoperta di nuovi territori e lo immergono in vibranti...

CONTRIBUISCI A QUESTO ARTICOLO

INVIA IL TUO CONTRIBUTO

Hai un contributo originale che potrebbe arricchire questo articolo? Invialo ora, saremo lieti di trovargli lo spazio che merita.

TAG CLOUD GLOBALE

TAG CLOUD GLOBALE
INVIA IL TUO CONTRIBUTO

POTREBBERO INTERESSARTI ANCHE