Sergio Fassio studiava per diventare geometra e frequentava le aule dell’Istituto tecnico Giobert, quando non era ancora in via Gandolfino Roreto e la vecchia sede si trovava dove adesso c’è la Media Goltieri.
Lui era un ragazzo ironico e mise a frutto la sua innata capacità di disegnare realizzando un fumetto ispirato alla Divina Commedia, sostituendone i personaggi con gli insegnanti. Si era intorno al 1960 e a quei tempi il corpo docente non gradì. Sergio Fassio anche per questo perse un anno scolastico, ma riuscì comunque a diplomarsi. Fece poi il geometra per tutta la vita, aprendo un suo studio tecnico.
Nel frattempo coltivò anche altre passioni. Il servizio militare come allievo ufficiale ad Ascoli Piceno e poi come istruttore al Car di Arma di Taggia (dove ebbe come recluta un già famoso Gianni Morandi) lo portò all’interesse per le armi, tanto che, una volta congedato, poté frequentare assiduamente il poligono di tiro e diventarne commissario. Ma molti altri erano i suoi interessi, come la fotografia, e curiosamente divenne anche appassionato di lento fumo con la pipa. Fin da ragazzino dimostrò spiccate capacità e talento per il disegno e le arti figurative, che coltivò anche in seguito, forse con il rimpianto di non aver frequentato il liceo artistico.
Definire la pittura di “Giò” (così Sergio firmava i suoi quadri) è arduo, perché le sue espressioni artistiche sono molteplici. Ha spaziato un po’ in tutte le tendenze, passando con Sergio Fassio ritratto da giovane e poco prima della sua prematura scomparsa, alle spalle uno dei suoi quadri disinvoltura dal figurato all’informale. «La sua formazione non è stata accademica e neppure “di bottega” – ricorda l’amico fraterno Pierluigi Prigion – e non voleva neanche sentirsi definire un autodidatta». Il suo modo di dipingere si è nutrito di istinto e di curiosità, nell’accezione più ampia dei termini. «Nella sua produzione – aggiunge ancora Prigione – passava da un’opera concettuale o materica a un’altra di chiaro formalismo figurativo, oppure a una successiva concepita per non essere mai completata, perché a suo modo di vedere era già definita così». Fassio, da studente, con altri aveva convinto il preside Bruera a promuovere la nascita di un’annuale mostra di arti figurative degli allievi dell’Istituto Giobert, e l’iniziativa si protrasse per anni.
Ma dopo quelle prime esperienze, non volle esporre i suoi lavori in una mostra vera e propria. I suoi quadri, ancora freschi di colore, finivano spesso nelle mani di amici o di persone a lui vicine al solo cenno di un “mi piace” o “è bello”. Amava dipingere, non vendere la sua arte. Pochi mesi dopo la sua morte, avvenuta prematuramente a soli 64 anni nel giugno del 2007, per iniziativa della moglie Graziella venne allestita una “personale”. Oggi, dopo quasi vent’anni, molti dei suoi lavori, raccolti dagli amici di un tempo, saranno nuovamente visibili in un’esposizione che si terrà, con il patrocinio del Comune, a Palazzo Ottolenghi dal 5 al 19 maggio.