Prima dell’inaugurazione del rinato Museo del Risorgimento in Palazzo Ottolenghi nello scorso maggio 2012, molti astigiani non attribuivano rilievo alla personalità del pittore Paolo Arri (Asti 1868- 1939), autore del ciclo dei ritratti “Grandi Italiani del Risorgimento” commissionati dal mecenate conte Leonetto Ottolenghi, in occasione dell’allestimento del “Salone del Risorgimento” per l’Esposizione Astigiana del 1898 (Foro Boario di Piazza Alfieri), nell’ambito delle celebrazioni per il Cinquantenario dello Statuto Albertino.
Acuto osservatore, Arri tratteggia con efficacia i personaggi storici (da Camillo Benso Conte di Cavour a Giuseppe Garibaldi ad Angelo Brofferio…), particolareggiandone gli abiti e gli elementi decorativi. Ciascun ritratto, al di là della testimonianza storica, denota le abilità espressive, acquisite dal primo maestro Michelangelo Pittatore, in virtù del cui lascito Arri frequenta l’Accademia Albertina di Torino, sotto la guida di Pier Celestino Gilardi.
La crescente diffusione della fotografia, fin dalla prima metà dell’Ottocento, sollecita i cultori del ritratto ad affinare il linguaggio pittorico: i neri e gli argenti della lastra suggeriscono inedite potenzialità di rilievo plastico e chiaroscurale sulla tela, per esaltare la costruzione dei piani del volto, la vibrazione emotiva dello sguardo. L’utilizzo della fotografia diviene inoltre necessaria qualora manchino modelli reali o si ritraggano personalità del passato, tuttavia la tendenza francese naturalista e la cultura figurativa del realismo europeo, dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia, affluiscono a Roma, a Firenze e, attraverso i pittori “del vero” ed i macchiaioli toscani e romani, influenzano la provincia e le generazioni più giovani.
Il nitido Ritratto di Giuseppe Manzone ventenne chiarisce le modalità compositive dell’epoca: la pennellata persegue una visione sintetica del soggetto, costruito con impasto fluido e brillante, fedele alla “verità” dell’osservazione. Segno e colore concorrono alla mobilità delle superfici ed all’individuazione dei tratti somatici del giovane allievo Giuseppe Manzone: lo schema costruttivo dei piani e delle luci guida l’occhio dello spettatore dalla chioma ricciuta alla vivacità dello sguardo, al lucido fiocco nero, all’inclinazione assiale del pennello tra le dita. Pare un taglio fotografico, ma il gioco obliquo dei contrasti si ricompone nell’armonia tonale di abiti e sfondo. La perizia esecutiva di Paolo Arri, è frutto di un costante e minuzioso esercizio quotidiano, maturato in decenni di attività. Il dipinto fu donato al Museo Civico dalla Cassa di Risparmio di Asti, in seguito ad una mostra tenutasi nel novembre 1932, e si accosta all’Autoritratto dell’artista quarantenne (1908), che la vedova Adele Rustichelli nel 1946 donò al Municipio di Asti, affinchè il marito pittore, scomparso infermo nell’indigenza, fosse ricordato dalla sua città.