Gli astigiani che per vari motivi intendono recarsi in pellegrinaggio, dovendo scegliere una meta nelle vicinanze, abitualmente fanno riferimento al Sacro Monte di Crea. Anche l’attuale sindaco Maurizio Rasero nell’ottobre 2017, pochi mesi dopo la sua elezione, ha sciolto un voto fatto in campagna elettorale, raggiungendo a piedi da Asti il santuario di Serralunga di Crea. Luogo che, pur trovandosi pochi chilometri dopo Moncalvo, è però situato già in provincia di Alessandria. Anche nell’Astigiano, a Mongardino, c’è un sacro monte. L’unico della provincia di Asti e l’unico della diocesi di Asti, ma ignoto ai più.
Si trova su un’altura nei pressi del cimitero, alle porte del paese che sorge sulle prime colline che fiancheggiano la riva destra del Tanaro. È ornato da diciassette cappelle: le prime tredici, risalenti alla prima metà del Settecento, sono collocate ad anello intorno alla collinetta che le ospita e rappresentano le stazioni della Via Crucis, il rito cattolico con cui si ricorda il cammino di Gesù Cristo verso la collina del Golgota su cui fu poi crocifisso.
Dal Concilio di Trento l’invito a rappresentare la Passione di Cristo
Le altre quattro, costruite successivamente, si trovano ai lati della salita che conduce alla sommità della collina e dal punto di vista religioso precedono il ciclo della Passione. Delle due che si trovano all’inizio della salita, realizzate qualche anno dopo le altre tredici, una è dedicata alle anime del Purgatorio. L’altra inizialmente ricordava il miracolo di Sant’Antonio e la mula, ma il soggetto venne poi sostituito con la Natività di Cristo. Le due cappelle a mezza costa del Sacro Monte, realizzate nella seconda metà del Settecento, ricordano l’ultima cena e l’arresto di Gesù nell’orto del Getsemani.
Oltre alle diciassette cappelle, si deve considerare la chiesetta che sorge sulla sommità della collina. Inglobata nell’abitazione della famiglia Tartaglino − oggi proprietaria dei terreni del Sacro Monte − è intitolata a Sant’Antonio da Padova. Corrisponde alla quattordicesima stazione della Via Crucis, in cui si rievoca la deposizione del corpo di Gesù nel sepolcro. Probabilmente la realizzazione di un Sacro Monte a Mongardino è riconducibile ancora alle indicazioni date dalla Chiesa, duecento anni prima, con il Concilio di Trento per offrire ai fedeli − soprattutto ai più umili e ai meno acculturati − una rappresentazione scenica della Passione.
Notizie su origini ed evoluzioni del Sacro Monte si leggono nella pubblicazione del 1906 Mongardino e le sue cappelle del canonico Lorenzo Gentile, originario proprio di Mongardino, ricordato per i numerosi volumi scritti, frutto di ricerche storiche, dedicati non solo alla città di Asti. Altre indicazioni sono fornite da don Alfredo Bianco, già direttore della Gazzetta d’Asti, parroco di Mongardino dal 1934 al 1954 e, successivamente, cappellano del cimitero urbano di Asti, che nel 1937 aveva pubblicato la Storia di Mongardino. Sfogliando il volumetto con i testi scritti da Gentile nell’anno del completamento dei lavori di restauro delle cappelle, ristampato nel 1999 dalla pro loco del paese, si legge che
“Sul ciglio di un colle, che a un tiro di pietra dal paese s’eleva a guisa di cono e che più che da natura par fatto ad arte, fin dal principio del 1700, se pur non anche prima sorgeva una cappella dedicata a S.Antonio da Padova, da cui appunto il colle prende tuttora il nome. Un benemerito cittadino astigiano, Giorgio Andrea Zolla, vi aveva fondato un benefizio di giuspatronato della sua famiglia, coll’onere per l’investito della celebrazione di due messe settimanali.
Di esso nel 1721 era stato provvisto un D. Giuseppe Taliano della Montà, il quale anch’egli si rese grandemente benemerito del paese con un’opera che doveva tramandarsi come un sacro retaggio ai posteri, vogliam dire le cappelle della Via Crucis”.
Nel 1721 don Taliano venne quindi investito di un “beneficio”, ovvero un fondo patrimoniale costituito da beni che si concedevano a religiosi in usufrutto per compenso dei loro servizi, concesso da un certo Giorgio Andrea Zolla. Sulla figura di quest’ultimo non sono sopravvissute informazioni, ma sappiamo che il “beneficio” comprendeva cascina Milanesa − oggi sede dell’azienda vinicola Perroncito − numerose giornate di vigna e boschi, terre coltivate e rendite da crediti vari. Originario di Montà d’Alba, don Taliano diventò cappellano della confraternita della Misericordia di Asti, direttore spirituale dell’orfanotrofio femminile e successivamente si trasferì nella chiesa della Consolata. Decise di far costruire le tredici cappelle intorno al 1730 «in ciascuna delle quali era rappresentata una stazione della Via Crucis (la quattordicesima racchiusa nella chiesetta) in statue di terra cotta, con isfondo di pitture», come si legge nel testo del canonico Gentile.
Più preciso sulla data di costruzione delle cappelle fu don Bianco, che scrisse: «Questo piissimo e zelantissimo Sacerdote si accinse all’erezione delle cappelle, con intendimento di perpetuità, nel 1739. Questa data ci è suggerita da un verbale degli Ordinati Municipali».
Le spese per la costruzione delle cappelle furono sostenute da “generosi oblatori” e da don Taliano stesso che inoltre finanziò per intero la realizzazione delle statue in terracotta da lui modellate e delle pitture. Fece poi costruire una casetta per il custode.
Fiaccole alle finestre la notte del Venerdì Santo
«Il primo che vi risiedette fu un tal Andrea Benasso di Mombercelli, eremita che portava l’abito del terz’ordine di San Francesco − riporta ancora Gentile che illustra poi un’ulteriore opera di don Taliano −. Nel 1745 comprò nel paese (nell’attuale via Roma, ndr) una casa che donò ai coniugi Giuseppe e Margarita Gentile da trasmettersi ai loro discendenti con l’obbligo di coadiuvare il custode nel mantener la pulizia attorno alle sue cappelle. All’investito aggiunse l’obbligo spirituale di recitare ogni giorno per fondatore un Pater e Ave, e ancor oggidì detta casa che sussiste è chiamata volgarmente casa del Pater noster, come pare è ricordato in un pietra incisa (attualmente non è più presente, ndr) incastrata in un muro esterno della medesima».
Le cappelle della Via Crucis diventarono un importante punto di riferimento per i fedeli e vennero frequentate da molte persone, alcune provenienti anche da località lontane, per quasi un secolo. Don Bianco ricorda che le cappelle «furono giusto orgoglio per il nostro paese che, nella notte del Venerdì Santo, dopo il solenne esercizio della Via Crucis, accendeva le fiaccole alle finestre, simbolo della sua fede accesa e inconsumabile.»
Il canonico Gentile ricorda invece la visita pastorale del 1750 di monsignor Giuseppe Filippo Felissano, all’epoca vescovo di Asti. Alla fine dell’800, però, il Sacro Monte di Mongardino cadde in stato di abbandono. Fu salvato soltanto dall’intervento delle famiglie più facoltose di Mongardino che, insieme alle suore del paese, nei primi anni del Novecento si presero carico delle cappelle, preoccupandosi della loro manutenzione. Una lapide, che ancora oggi è collocata sull’esterno di ciascuna struttura, ricorda quale sia stata la famiglia ad averla in custodia. «Era caduto in completo abbandono; distrutte interamente le statue, i muri stessi di parecchie cappelle caduti in rovina», scrive Gentile. Un importante contributo alla rinascita del Sacro Monte di Mongardino venne dato anche dalla scuola professionale dei Salesiani di Torino che fornì circa novanta statue colorate, realizzate in gesso, tuttora presenti nelle cappelle. Ciascuna struttura era stata decorata in quel periodo da pitture di vari artisti, alcuni dei quali provenienti da altre regioni. Oltre a Filippo Rovero di Mongardino, si ricordano Diomede Doddi di Roma, Vittorio Ferraro di Bassano del Grappa, Eugenio Bellotto di Pieve di Soligo, Serafino Marchisio di Torino, Marengo di Torino e Berton di Bassano del Grappa. I lavori di ristrutturazione, che permisero di riportare gli esterni delle cappelle all’aspetto originale del ‘700, terminarono nel 1906 e il 20 maggio di quell’anno si svolse una cerimonia di inaugurazione cui presero parte i vescovi Giacinto Arcangeli di Asti e Disma Marchese di Acqui. Un ultimo restauro delle cappelle, oggi di proprietà della parrocchia di San Giovanni Battista di Mongardino, è stato effettuato nel 1939, in occasione del bicentenario della loro realizzazione. Interessò le coperture delle varie strutture e le statue che vennero riparate negli arti, staccati dal busto. Una lapide collocata ai piedi della salita del Sacro Monte riporta il 6 agosto 1939 come data di inaugurazione dopo i lavori. Da allora lo stato di conservazione delle cappelle e dei loro arredi è però nuovamente peggiorato al punto da rendere ancora necessari ulteriori interventi di recupero.
Ora un nuovo restauro per riaprire la Via Crucis nel verde delle colline
Nei primi Anni ’90 sono stati effettuati lavori urgenti finanziati dal Comune di Mongardino e in tempi recenti in paese si è sentita la necessità, è più ancora il desiderio, di recuperare e valorizzare quel complesso che è un unicum nell’Astigiano, oltre a quella di riportare la completa celebrazione del Venerdì Santo. Per ragioni di sicurezza, infatti, da alcuni anni la celebrazione della Via Crucis parte dalla chiesa parrocchiale, attraversa il paese e termina al Sacro Monte, anziché effettuare, come un tempo, tappe alle cappelle. Ora si sta muovendo la Parrocchia per poter attuare un progetto di restauro, realizzato dall’architetto Piergiorgio Pascolati, considerando l’importanza del Sacro Monte dal punto di vista culturale e religioso, ma anche paesaggistico per la sua posizione tra il verde delle colline. Per poter progettare al meglio i lavori di ristrutturazione, alcuni anni fa è stato inoltre effettuato dagli studenti del Liceo Artistico Benedetto Alfieri di Asti, guidati dai loro insegnanti, un lavoro di catalogazione delle cappelle, inserito nel progetto “Le colline del mare” promosso dall’Ente Parchi di Asti.