Lo straordinario caso di Valfenera negli Anni Trenta
Il riproporsi della tradizione come risorsa inedita per l’individuo che vive la società complessa è un dato ormai consolidato da una letteratura scientifica che si va facendo via via più consistente. Una ricerca diretta, agli inizi degli anni Ottanta, da Gian Luigi Bravo, ha messo in evidenza, attraverso un’approfondita indagine sul terreno, il nesso statistico tra ripresa della festa contadina e partecipazione attiva dell’individuo che vive la società complessa. La misurazione della partecipazione alla festa ha evidenziato inequivocabilmente come la ripresa di questo istituto folclorico sia da individuare in un bisogno che matura soprattutto nell’individuo che giornalmente esplora più formazioni sociali.
Questo fenomeno, che nel corso degli anni Ottanta è parso depotenziarsi via via che si imponeva una cultura dell’immagine, dell’effimero, dell’apparire piuttosto che dell’essere, era soprattutto vissuto e percepito come un fatto sommerso che, carsicamente, riaffiorava senza indicare una precisa direzione di senso. A legittimare questo percorso, questo bisogno individuale, soggettivo, per alcuni versi falenico, a renderlo evidente agli occhi della società, sono stati gli anni Novanta e poi ancora i primi anni Duemila, che hanno portato alla ribalta individui che sentono l’esigenza, in particolare, di mettere in scena il teatro popolare della Settimana Santa e il mistero della Natività.
È in questo fecondo contesto che va inserito l’originale progetto culturale denominato Le diciotto ore della Passione, organizzato dalla Casa degli Alfieri, con la direzione e regia di Luciano Nattino – studioso che più di altri ha capito e interpretato in chiave post-moderna il mondo della tradizione – a partire dal 2006, seguendo un itinerario notturno che univa Castagnole Monferrato a Chivasso, toccando località quali Cocconato, l’abbazia di Santa Fede a Cavagnolo, le rovine della città romana di Industria presso Monteu da Po ecc.
Il teatro popolare sacro è una pratica cerimoniale che gli studiosi di fine Ottocento e di inizio Novecento ritenevano in via di disparizione e ne tramandavano le testimonianze “quasi a futura memoria”, titolando i loro saggi Reliquie del dramma sacro: così fecero, ad esempio, Rodolfo Renier nel 1896 ed Euclide Milano nel 1905. Queste rappresentazioni, che all’epoca sembravano destinate a una rapida estinzione, conoscono ora, nella post-modernità del tempo presente, un’intensa stagione di riproposizione che annualmente anima le colline del Piemonte meridionale.
Il ruolo di Gesù interpretato dal futuro sindaco del paese
Nell’ambito di questa storia del teatro popolare sacro, caratterizzata da periodi di oblio e di stagioni di più intensa riproposizione, si inserisce La Passione di N.S. Gesù Cristo in 6 quadri, messa in scena a Valfenera il 20, 21 e 27 aprile 1930, cui si riferiscono le inedite fotografie di queste pagine. La rappresentazione sacra di Valfenera era stata promossa su iniziativa del Circolo Giovanile Cattolico “Beato D. Bosco”. La messa in scena del 1930 si inserisce verosimilmente nelle iniziative che il mondo cattolico astigiano organizzò nell’ambito del Giubileo straordinario del 1929-1930, indetto dal Papa Pio XI in occasione del proprio cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale. La Passione a Valfenera venne peraltro ripetuta anche negli anni seguenti: sappiamo infatti che fu nuovamente messa in scena il 23 aprile 1933.
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La locandina dell’edizione del 1930 informa che il dramma sacro coinvolgeva “50 attori” e “40 cantori”; questi ultimi eseguivano “speciali cori a 4 voci” tratti dalla Trilogia sacra di Lorenzo Perosi. A dirigere la corale vi era il priore di Villanova don Giovanni Asso. La partecipazione del pubblico era sollecitata dal richiamo di “vestiti e costumi sfarzosi”, “grandiosità di quadri plastici” e “meravigliosi effetti di luci”. Sei i “quadri storici” in cui si articolava il dramma: la congiura del Sinedrio; l’Ultima Cena e l’istituzione dell’Eucaristia; Gesù nel Getsemani; Gesù dinanzi a Caifa; la condanna a morte e il viaggio al Calvario; la morte in croce.
Lo spettacolo venne realizzato all’aperto: “il palco espressamente costruito – annunciava il settimanale cattolico La Gazzetta d’Asti – è di notevoli dimensioni, così da permettere il perfetto movimento dei cinquanta attori che vi agiranno”. Tra questi, nell’impegnativo ruolo di Gesù, merita segnalare il nome di Giovanni Battista Marocco (1895-1982), originale figura di intellettuale cattolico, che divenne anche sindaco del paese, autore fra l’altro di alcune pubblicazioni di storia locale piemontese: Valfenera nei secoli della sua storia (1947) e Mezzenile: appunti di storia civile e religiosa (1980). Un frammento di storia dunque – quella del teatro sacro di Valfenera – che riaffiora dal passato a integrare e a rendere più trasparente questa ripresa di una tradizione di rappresentazione popolare, che oggi torna a simboleggiare il teatro della vita, narrando quelli che sono i momenti emblematici dell’essere al mondo.
Le Schede