Less is more. Meno è di più. Meno è meglio. È il primo pensiero entrando in quella bottega di corso Alfieri 421, nel cuore del rione Santa Caterina. L’ultimo tratto del corso principale di Asti prima di arrivare sulla rotonda di corso Torino. Così centrale, così discreta che potresti anche non accorgerti della sua esistenza. Eppure è lì da almeno due secoli. La prima licenza nell’800. Poi arrivò la famiglia Mainero e dagli Anni 60 è diventata Elsa Perosino Alimentari.
Massimo Terzuolo non ha cambiato nome, anche se mamma Elsa se n’è andata da qualche anno. Lei e papà Agostino lì dietro al bancone ci sono stati per 42 anni a servire e a scambiare chiacchiere e battute con i clienti, astigiane e astigiani da generazioni oppure immigrati dal Sud e ora da tutto il mondo.
Il negozio è lì dall’800 e resiste ai supermercati di corso Torino
A due passi dai grandi supermercati di corso Torino, quel negozietto afferma che il miglior risultato, il «di più», si ottiene ispirandosi al concetto dell’essenzialità. Due locali, i ripiani mai stracarichi, un pezzo per tipologia, qualche volta due. Un migliaio di prodotti in tutto. Tutto in fila ordinato e pulito.
Un diploma da ragioniere e la passione per lo sport, soprattutto il nuoto, Massimo sorride. Chiude gli occhi azzurri in un pensiero e comincia a raccontare.
«Ho iniziato ad aiutare i miei genitori a 15 anni; a 23 anni ho rilevato l’attività. Sono qui da 26 anni. Ho mantenuto la bottega e l’atmosfera di una volta. C’è di tutto: poco ma tutto. Nell’era del troppo, questa è la mia filosofia». La vetrina del negozio è emblematica: tre bottiglie di the, un’aranciata, qualche bustina di Idrolitina, alcune conchiglie e chincaglieria marina sparsa. «Volevo fare un inno all’estate» scherza. Mentre parla, dietro di lui scorrono le lancette di un orologio che ha come sfondo una fotografia in bianconero con Massimo poco più che neonato in braccio a mamma Elsa e papà Agostino accanto. Era il 1969 e Massimo aveva pochi mesi.
Al bancone anche le frittelle di mele rese celebri da Arti&Mercanti
«Ricordo una frase che diceva mio papà alle clienti con le borse troppo piene: «l’abbracci bene come se dovesse abbracciare a me!». E le clienti ridevano. Oggi non succede più che si esca da qui con le borse troppo piene. Le mie clienti hanno già una certa età, molte mi considerano un po’ il loro figlio, e i giovani che vengono comprano il fresco: prosciutto, formaggi, pane».
Per invogliare i più giovani, il negoziante discreto tiene anche qualche raffinatezza: le uova di quaglia, di pernice, di fagiano e delle sue oche. I peperoni smujà nell’aceto. Frutta e verdura degli orti locali. Sono famose le frittelle di mele che Massimo cucina durante “Arti&Mercanti”, la festa che anima ogni fine settembre questo scorcio di corso Alfieri. E poi detersivi, un flacone per tipo, carta igienica, biscotti, vino, poche scatole di pelati, la pasta, il riso, la caramelle nelle storiche burnie di vetro. Un freezer con alcuni pacchetti di verdura congelata.
La disposizione dei prodotti, ma anche gli oggetti, rimandano a un mondo fuori dal tempo: una bilancia marca Vittoria a due piatti ancora in attività, lontana da ogni idea di peso elettronico. «Negli Anni 80 i miei pesavano anche i bambini su quella bilancia, come Giovanna che è ancora una mia cliente».
Nel libro Doppio clic di Pippo Sacco, c’è una foto di com’era quell’ultimo tratto di corso Alfieri nei primi del ‘900. La strada non ancora asfaltata, la bottega era già lì. Accanto, i palazzi più bassi di ora e attività che non esistono più come la tintoria Matta, dove ora c’è un bed and breakfast. «Quando ero bambino – ricorda Massimo – i titolari della tintoria compravano da noi l’alluminio per coprire i bottoni durante la tintura e lavatura del camoscio».
Il ruolo sociale di un negozio dove puoi spendere 50 cent di verdura
Ma in quel «less is more», c’è di più. Lo racconta Claudio Cerrato, critico d’arte e cliente fisso della bottega: «Massimo gestisce questo negozio in modo sociale: molti clienti sono anziani, quando sono malati lui porta loro a casa la spesa fosse anche solo una bottiglia d’acqua. Questa è una zona dove abitano tanti pensionati con la minima: l’altro giorno un signore ha chiesto a Massimo verdura per 50 centesimi, era il budget e lui l’ha servito. Capisce che funzione sociale ha un negozio del genere? Siamo lontani da ogni concetto di consumismo. Certo, a volte, vieni a fare la spesa e non c’è quello che cerchi ma anche questo fa parte del gioco!»
D’estate, pioggia permettendo, Massimo fa le consegne in sella alla sua Honda Transalp: «Tutto l’anno faccio consegne a domicilio agli anziani e ai disabili: Peppino è il mio cliente più âgé, ha 98 anni. Quando qualcuno è malato, porto a casa la spesa. È un servizio che apprezzano». Questo, secondo le classificazioni commerciali, sarebbe un negozio di prossimità. Come ce n’erano tanti in tutte le città e nei paesi prima che arrivasse lo tsunami delle grande distribuzione.
Ma questa insegna è molto di più. Quanto Massimo sia amato, stimato e riconosciuto nel suo ruolo sociale, lo dimostrano i tanti che, passando, si fermano anche solo per un saluto. Come il parroco di Santa Caterina don Fabio Marongiu, prima di celebrare la messa del pomeriggio. Un “ciao” umano scambiato come accade in un paese, più che in una città. Un ciao che aggiunge un “di più” a quell’alimentari discreto che resiste.