Colonnello, dal marzo 1917 chiamato a dirigere l’ufficio storico del Comando supremo
Un astigiano d’adozione ha avuto la possibilità di seguire la Grande Guerra da un punto di osservazione eccezionale. Un testimone di prima linea, lontano dal fango delle trincee, ma vicino e presente nelle più comode stanze degli alti comandi da dove partivano gli ordini. Un uomo chiamato a “raccontare” il conflitto dal punto di vista storico ufficiale con la penna e la macchina fotografica, ma anche un acuto osservatore che raccoglie nel suo diario privato impressioni e testimonianze. È Angelo Gatti, ufficiale del Regio esercito italiano, napoletano di nascita (9 gennaio 1875, a Capua), piemontese d’adozione (professore alla scuola di guerra di Torino nel 1912, e poi dalla metà degli Anni Venti definitivamente a Camerano Casasco, nell’Astigiano). Di lui restano memorabili alcuni ritratti dei protagonisti del Quindicidiciotto. Un esempio. Durante l’undicesima battaglia dell’Isonzo (agosto 1917) incontra sull’altopiano della Bainsizza il sovrano d’Italia, Vittorio Emanuele III. Il re sta seguendo le fasi d’attacco dello Jelenik, altura che sarà poi occupata dal XXIV Corpo d’armata guidato dal generale Enrico Caviglia. Sua Maestà ha l’immancabile, enorme, macchina fotografica a tracolla. È felice, perché è riuscito a scattare belle fotografie a due obici incontrati sulla strada. Ma anche perché ha saputo che gli uomini di Caviglia stanno procedendo verso il centro dell’altopiano. Gatti lo sente fischiettare il segnale di “a cavallo”. E ne resta sgomento. Lo descrive così: «È piccolino, è bruttino, è all’infuori un po’ del mondo. Un po’ sfiduciato, forse, un po’ fatalista».
Vittorio Emanuele III fischietta al fronte e scatta fotografie
Questo, e altri incontri, sono all’ordine del giorno per Gatti. Nel marzo del 1917, per volere di Cadorna, è chiamato a dirigere l’Ufficio storico del Comando supremo. Da questo osservatorio privilegiato l’allora colonnello (con precedenti incarichi di capo di Stato Maggiore del generale Cantore in Trentino e del generale Giardino a Gorizia) vede, incontra, parla con i protagonisti di quelle tragiche pagine di storia. Soprattutto, e succede ogni giorno, è a contatto con il Generalissimo, quel Luigi Cadorna, altro piemontese (di Pallanza) poi condannato dalla Storia. Non solo: lo deve seguire nei suoi spostamenti, capirne le direttive, osservare lo svolgimento delle operazioni e discuterne da un punto di vista, diremmo, storico. Ma mentre prepara il materiale per la successiva relazione ufficiale (minute descrizioni tecniche delle battaglie, dati statistici e osservazioni tattiche), Gatti ogni sera prende appunti sul suo diario. Un documento preziosissimo che diventa un’opera personale con osservazioni, giudizi, testimonianze, che vanno oltre gli scopi ufficiali dell’incarico di storico del Comando.
Collaborava già alla Gazzetta del Popolo e al Corriere della sera come esperto di temi militari
Un ruolo delicato e ottenuto grazie anche alla buona fama che l’ufficiale aveva acquisito con articoli non solo di natura militare, ma anche storica e letteraria, apparsi dapprima sulla Gazzetta del Popolo di Torino (1912-1914) e poi sul Corriere della Sera (1914-1926). E proprio nella veste di collaboratore militare del Corriere, pubblica, nel periodo della neutralità italiana, una serie di articoli (poi raccolti in volume con il titolo La guerra senza confini osservata e commentata: primi cinque mesi (agosto-dicembre 1914), Milano 1915, dedicato al direttore Luigi Albertini) da cui può dedursi un suo atteggiamento piuttosto tiepido riguardo all’entrata dell’Italia in una guerra di cui sembra intuire le possibili conseguenze eversive. Ma quando l’intervento appare inevitabile, lui lo accetta disciplinatamente. Angelo Gatti nel 1890, a 15 anni, era stato ammesso alla scuola militare di Napoli, per poi passare all’Accademia di Modena. Tre anni dopo, da ufficiale di prima nomina, era stato destinato alla guarnigione di Bologna, fino al 1898. Poi altri incarichi a Belluno, quindi Palermo (dal 1900), Torino, Milano e, ottenuto il grado di capitano, a Piacenza. Nel 1912 era arrivata la nomina a professore di storia e arte militare alla scuola di guerra di Torino. Quando Cadorna lo chiama al Comando supremo, Angelo Gatti ha 42 anni e il grado di colonnello di Stato Maggiore. La qualifica è quella di capo dell’Ufficio storico del Comando supremo. Ma le funzioni sono abbastanza vaghe, di fatto come storico “a futura memoria” della guerra italiana. Tanto che lui, preciso e pignolo, nell’agosto 1917, trascorre un periodo a Roma al ministero della Guerra, per raccogliere ulteriore documentazione. In questo periodo chiede e ottiene l’ammissione alla massoneria, come molti suoi colleghi, ufficiali superiori. Sempre al fianco di Cadorna, assiste ai principali eventi di quell’importantissimo anno di guerra: la 10ª battaglia dell’Isonzo (maggio), la battaglia dell’Ortigara (giugno), la conquista della Bainsizza (agosto) e infine (ottobre-novembre) la tragedia di Caporetto.
Dalla battaglia dell’Ortigara trae la convinzione che non difettano gli uomini, ma i cervelli
Scrive Mario Silvestri in Caporetto, una battaglia e un enigma. (Anno casa editrice) «Impressionato da quel che ha constatato nella decima battaglia dell’Isonzo, Gatti segue ancor più da vicino quella dell’Ortigara. E raccoglie nuove lamentazioni, che si condensano nell’enorme deficienza di capacità tecnica delle truppe. Da ciò giunge alla conclusione che non difettano gli uomini, ma i cervelli. Anzi, per la guerra di montagna sul tipo dell’Ortigara, di uomini ne abbiamo troppi. Che ingolfano le prime linee, sono decimati dalle artiglierie (loro e nostre) e impacciano l’azione: meglio reparti più piccoli, formati da elementi giovani e specializzati». Precisa così il suo pensiero: «Ciò che ottiene un plotone di arditi alpini, non può essere fatto, anzi è fatto con danno, da una compagnia di fanteria. Si guadagna così in qualità e si risparmia in quantità». Insomma una nuova organizzazione, una nuova tattica, reparti più smilzi, più sciolti e preparati. Quello che faranno alla perfezione i tedeschi a Caporetto. Il colonnello Bencivenga, segretario di Cadorna, legge la relazione di Gatti, la trova ragionevole, ma provvedimenti nessuno. E lui commenta sul diario: «A me pare che la questione sia tremenda». I reparti di arditi, le prime truppe scelte dell’esercito italiano, vengono istituiti ufficialmente soltanto il 29 luglio 1917 a Sdricca di Manzano, con l’incoraggiamento del generale Capello. Moschetto a tracolla, bombe a mano e pugnale, per l’aggressione vicina, mitragliatrici e lanciafiamme per l’attacco a distanza: ecco l’immagine degli arditi creati dal colonnello Bassi. Che si faranno onore nelle battaglie successive, non certo a Caporetto dove siamo costretti sulla difensiva.
Dalle sue osservazioni nascono i reparti di “arditi”, le prime truppe scelte
Nell’undicesima offensiva dell’Isonzo (agosto 1917) gli austriaci subiscono, si sentono minacciati e chiedono aiuto agli alleati tedeschi per far arretrare gli italiani che hanno passato l’Isonzo e hanno occupato l’altopiano della Bainsizza. La strada verso Lubiana e Vienna appare più vicina. Sono in gioco le sorti dell’Impero. Chi ha aperto la porta, con grande sorpresa di tutti (anche di Capello e di Cadorna) è il generale Enrico Caviglia, ligure di Finalmarina, comandante del XXIV Corpo d’armata. Lo fermano la mancanza di riserve e la sete, la grande sete che attanaglia gli uomini in grigio-verde, i muli e i cavalli che si erano prodigati nell’arrampicata della Bainsizza e ora chiedevano, quasi con disperazione, acqua che non riusciva ad arrivare nelle prime linee. Gatti, da attento osservatore, si rende conto degli errori commessi anche in questa offensiva, che avrebbe potuto essere decisiva. E scrive sul diario: «Perché Cadorna, che comincia bene la battaglia, ancora una volta non la termina bene? Perché? Bisogna dunque concludere ciò che concludono gli avversari, che non sa dirigere? Perché se ne va in Cadore? Perché lascia fare a Capello? È inutile dire poi che Capello ha fatto male. Perché lascia che l’esercito si accasci nell’attesa?». Domande legittime, che non poteva però rendere pubbliche, pena la corte marziale.
Il suo Diario pubblicato postumo nel 1964 fa luce sulla disfatta di Caporetto
Arriva Caporetto. Il diario di guerra di Angelo Gatti (maggio-dicembre 1917), pubblicato per la prima volta nel 1964 da Il Mulino, ha un grande merito: contribuisce al chiarimento delle responsabilità militari della rotta e contrasta la tesi, sposata da Cadorna, della viltà dei soldati. Scrive nella prefazione il curatore Alberto Monticone: «Nel lavoro di Gatti ritroviamo tutti gli spunti che sono serviti a costruire la “leggenda” di Caporetto, registrati al solito fedelmente, ma abbiamo anche informazioni dirette, sparse qua e là nella cronaca dei fatti, nonché tre punti chiave, che confermano invece la validità dell’interpretazione di Caporetto come sconfitta dovuta a cause militari […] Non meno decisamente viene tratteggiato il grave stato di debolezza della nostra guerra, la vastità dell’avversione al proseguimento della lotta, l’aspirazione ad una pronta pace anche in chi sino ad allora aveva onoramente combattuto. Se era errata la diagnosi di uno sciopero militare, allora avanzata da più parti, era pur vero che, infranta la prima resistenza, un gran numero di soldati credette giunta la fine della guerra e, senza alcuna preoccupazione patriottica, si arrese facilmente o fuggì tempestivamente, gettando poi le armi per non essere rinviati in linea». Dopo la disfatta e la nuova linea di difesa attestata sul Piave, eccolo al fianco del generale Porro, rappresentante del Comando supremo italiano, al convegno di Rapallo (6-7 novembre). È qui che viene deciso di sostituire Cadorna con Diaz (lo chiedono gli alleati o è un chiaro disegno di Orlando e Vittorio Emanuele III?), è qui che comincia il nuovo corso del Regio esercito, è qui che l’Italia tutta cambia registro nei confronti della guerra con tedeschi e austriaci che dopo essere arrivati al Piave minacciano di arrivare persino a Venezia, e dilagare in pianura fino a Milano. Gatti rimane a fianco di Cadorna, che è promosso e rimosso, cioè nominato membro del Consiglio superiore di guerra interalleato di Versailles, come suo segretario particolare (dicembre 1917-febbraio 1918). Su questa esperienza, Gatti ha consegnato ai posteri un volume intitolato Un italiano a Versailles, pubblicato postumo dall’editore Ceschina di Milano nel 1958, in occasione del decennale della morte dell’autore.
Segue Cadorna a Versailles alla missione interalleata
Il colonnello, anche qui prediligendo la forma del diario, descrive le impressioni raccolte durante il periodo trascorso a Versailles con la Missione militare italiana presieduta da Cadorna. «L’opera – scrive nella premessa Raffaele Cadorna, figlio del Generalissimo – ha del diario tutti i pregi e, naturalmente, anche le manchevolezze: da un lato immediatezza delle impressioni, vivezza dei fatti registrati, rilievo dei personaggi che escono di getto […] Dall’altra la mutevolezza degli atteggiamenti, influenzati dal momento, dall’ambiente e dall’emotività dello scrittore, così che talvolta si vorrebbe, per riassumere tante vivide impressioni, un giudizio di sintesi». Ma sono i profili dei protagonisti che emergono dal lavoro di Gatti: i principali attori del dramma sono ritratti con autentici colpi di scalpello. Ecco Clemencau, Foch, Pétain, Weygand per i francesi; Lloyd George, Wilson, Robertson per gli inglesi; Orlando e Sonnino per gli italiani. Tutti tutelano gli interessi di parte. E occorrerà l’allarme suscitato dalle offensive tedesche della primavera del 1918 perché gli inglesi consentano finalmente a Ferdinand Foch di assumere il comando della coalizione con il fondamentale supporto dell’esercito statunitense, guidato dal generale John Joseph Pershing. Nel decennio 1915-26 si concentra la produzione di Gatti quale storico e commentatore di fatti militari. Diventa uno degli esperti e divulgatori più noti e seguiti del periodo. Chiaro nell’esposizione, capace di sintesi, non ha, e forse non l’ha mai preteso, il rigore scientifico dello storico di professione. Si accontenta di essere un osservatore e un commentatore attento di eventi di cui aveva una conoscenza diretta. Con un’apertura mentale e una indipendenza di giudizio non comuni. Va, poi, in ogni caso, distinta la produzione più strettamente legata all’attività giornalistica, talvolta finalizzata a scopi di convincimento e di propaganda, da quella diaristica, in certo qual modo privata, quasi tutta pubblicata postuma, e ben più interessante. Alla prima, come sottolinea il Dizionario biografico degli italiani pubblicato dalla Treccani, appartengono gli articoli di teoria militare, le corrispondenze dal fronte e, infine, i pezzi di commento alle vicende diplomatiche e alle scelte di politica militare postbelliche, poi raccolte nei volumi: Nel tempo della tormenta (Milano 1923), articolato in quattro sezioni dedicate all’illustrazione della vita dei soldati al fronte, ai riflessi della guerra sulla vita civile e sul dibattito politico in Italia e all’estero, e all’analisi del carattere e dell’opera di personalità militari di primo piano come Erich Ludendorff, Paul Ludwig von Hindenburg e, naturalmente, Cadorna. Quindi La parte dell’Italia. Rivendicazioni (ivi, 1926), in cui si trovano gli interventi di Gatti dall’ottobre 1917 alla fine del 1925 sui problemi relativi alla disfatta di Caporetto e sul ruolo decisivo dell’esercito italiano nella vittoriosa fase finale del conflitto. A questi dibattiti e in particolare alla rivendicazione della legittimità dell’uscita dell’Italia dalla Triplice Alleanza sono legati alcuni saggi di più ampio respiro, usciti su La Rassegna italiana del 1923-24, mai raccolti in volume. Mentre furono editi i testi di numerose conferenze tenute durante e dopo la guerra: La guerra (Milano 1915); L’Italia in armi (ivi 1916); Le presenti condizioni militari della Germania (ivi 1916); Servire! (ivi 1917); Per l’aspra via alla meta sicura (ivi 1917); Per la nostra salvezza (ivi 1921); Il problema sociale della nazione armata (ivi 1921). Di andamento più saggistico-letterario e dedicati, in parte o prevalentemente, alla rievocazione di personalità o avvenimenti eccezionali della storia ottocentesca sono invece Uomini e folle di guerra (ivi 1921) e Uomini e folle rappresentative (1793-1890): saggi storici (ivi 1925). I testi diaristici sono: Tre anni di vita militare italiana: novembre 1920-aprile 1924 (ivi 1924), e quelli postumi relativi al servizio di Gatti presso il Consiglio superiore interalleato a Versailles (curato dal fratello Carlo Gatti, con il titolo Un italiano a Versailles: dicembre 1917-febbraio 1918, ivi 1958) e agli eventi di Caporetto (Dal diario di guerra inedito, maggio-dicembre 1917, a cura di Alberto Monticone, Bologna 1964). Testimonianze che, per il punto di osservazione di Gatti, per la specifica competenza e per la conoscenza spesso diretta dei fatti, superano l’ambito della memorialistica per collocarsi a livello di fonte storica, con un grado di attendibilità assai alto per i fatti da lui direttamente riferiti.
Un ruolo di divulgatore della guerra e dell’arte militare
Proprio per la funzione assegnatagli di storico del conflitto, Gatti aveva raccolto documenti ufficiali, ordini, istruzioni, appunti di conversazioni, confidenze, in base ai quali elabora una linea di sostanziale difesa, seppur non priva di appunti e critiche, della strategia di Cadorna nel corso della guerra, sostenuta con argomentazioni serrate e in base alla documentazione in suo possesso. Il ritratto del comandante supremo, pur ammirato e affettuoso, tuttavia non ne nasconde gli insanabili difetti che lucidamente il colonnello individua. Tra questi: mancanza di duttilità, egocentrismo delle prospettive, eccessiva sicurezza del giudizio.
La relazione scomparsa contro Badoglio a Caporetto e il diario negato
Tutto questo sconfinava spesso nella presunzione, rendendo Cadorna incapace di vedere e accettare la realtà delle cose. Così come Gatti non gli risparmia l’accusa di non aver compreso il diverso carattere della guerra mondiale rispetto alle precedenti: non più guerra di eserciti – nota il Capo dell’ufficio storico – bensì guerra di nazioni, cui tutta la popolazione, per la diversa natura dell’azione bellica e per i progressi
della tecnica, è tenuta a partecipare. Altrettanto interessanti le notazioni su altri protagonisti, quali Capello e soprattutto Badoglio. Gatti indica chiaramente le fondamentali responsabilità nella disfatta di Caporetto, su cui aveva scritto una prima relazione ufficiale, poi scomparsa. Come sono sparite le pagine della Commissione d’inchiesta che riguardavano Badoglio, unico a non finire sotto processo e, anzi, promosso alla carica di sottocapo di Stato Maggiore a fianco di Diaz. Per coprire l’astro nascente al servizio di Mussolini e del fascismo, a Gatti viene sempre impedito di pubblicare il diario, come era sua intenzione fin dal 1925. Conclusa la guerra, Gatti lascia l’Esercito con il grado di generale. Si sta avvicinando alla cinquantina e si sposa con Emilia Castoldi stabilendosi definitivamente a Camerano Casasco, nell’Astigiano. Decide così di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura. Nel quindicennio successivo (1925-39), sia per l’avvento del fascismo e il mutato clima storico-politico, sia soprattutto per una sua profonda crisi spirituale (seguita alla morte improvvisa della moglie, il 27 febbraio 1927) ha un deciso cambiamento di interessi. All’attività di storico e commentatore politico-militare subentra quella più specificamente letteraria, in particolar modo narrativa. Scrive un profilo biografico dedicato a Il generale G. Washington (Roma 1932) e un articolo celebrativo del Ventennale della Vittoria (in Nuova Antologia, 1 novembre 1938). Sono queste opere a segnare il suo definitivo distacco dall’opera storica, ormai coltivata solo in qualità di direttore dell’importante collana mondadoriana “Collezione italiana di diari, memorie, studi e documenti per servire alla storia della guerra del mondo” (34 volumi pubblicati nel decennio 1925-35, tra i quali opere di Cadorna, Salandra, Giardino, Mira, De Bono e dello stesso Gatti). Ecco arrivare il fortunatissimo romanzo Ilia e Albert, pubblicato nel 1930. Si tratta della trasfigurazione letteraria della vicenda dell’amore tra l’autore e la consorte scomparsa. Quest’opera segna l’inizio di una vasta produzione narrativa, che concorse a fargli ottenere, nel 1937, la nomina tra i sessanta dell’Accademia d’Italia, accanto a personaggi come Mascagni, Bontempelli, D’Annunzio.
Scrive un romanzo di successo e dedica una raccolta di racconti alla vita contadina di Camerano
È un ritorno alla letteratura, visto che le prime prove letterarie risalgono ai suoi anni giovanili e consistono nella raccolta di liriche di stampo classicistico-carducciano intitolata Giovinezza (Piacenza 1899), nei bozzetti di L’orecchio di Dionigi. Scene (Milano 1902) e nella commedia d’impianto tardo-veristico La via chiusa (ivi 1909). Rispetto a questi testi, in Ilia e Alberto si confermano la scelta di campo antinovecentesca di Gatti e la sua propensione per l’osservazione e il ritratto psicologico dei personaggi. Specialmente del protagonista, Alberto, di cui è descritta e analizzata dapprima la felicità coniugale, poi la crisi esistenziale e spirituale conseguente alla morte della moglie Ilia, fino al recupero della dimensione della fede. Una sorta di comunione mistico-medianica, tramata di echi dalla Malombra fogazzariana, con la defunta. Una prevalenza di tematiche spiritualistico-religiose che, comunque, non toglie concretezza anche ai personaggi minori, tutti delineati con una prosa “media” orientata (specie nella seconda redazione del romanzo) verso un’espressione piana e appropriata: del resto, proprio il carattere della “medietà”, nella concezione dei personaggi e nello stile con cui sono rappresentati, è indicato da Gatti quale tratto distintivo della tradizione italiana del romanzo nella conferenza Gli Italiani e il romanzo (tenuta nel 1932 a Parigi, alla Sorbona). E prosegue il profilo biografico della Treccani: «Di tale tentativo di studiare e rappresentare l’umanità “media” (che già nell’opera storiografica emergeva chiaramente, per esempio, in molte pagine di Uomini e folle rappresentative), il volume Le massime e i caratteri (ivi 1934) rappresenta l’esito più tipico degli interessi, del metodo di lavoro e dello stile dell’autore: il libro è una raccolta di riflessioni (ora in forma di notazioni quasi diaristiche, veloci ed epigrammatiche, ora più ampie e articolate) sul comportamento psicologico, sentimentale e pratico degli italiani contemporanei. L’intento è dare alla nostra letteratura un genere fino ad allora non coltivato e proporre un’etica normativa, che, contro la disgregazione delle filosofie irrazionalistiche e dell’arte decadente del Novecento, riproponesse l’unità della persona umana nella sua totalità psicologica e pratica». Articolata in otto sezioni (dedicate per lo più ad argomenti di etica privata), l’opera doveva essere seguita da un secondo volume dedicato all’etica pubblica, che Gatti realizzò in parte in Ancoraggi alle rive del tempo (ivi 1938), una raccolta di articoli (apparsi in massima parte sul Popolo d’Italia), in cui tornava «pazientemente a raccontare e dipingere gli uomini della storia o quelli della [sua] osservazione» (p. 24), in una serie di capitoli dedicati alternativamente a personalità storiche di rilievo, allo studio di problemi di attualità o a meditazioni morali.
A guerra finita lascia l’esercito. La perdita prematura della moglie nel 1927 lo fa diventare scrittore
Rispetto a tale produzione essenzialmente saggistica si segnalano le prove narrative di Racconti di questi tempi (ivi 1935) e la raccolta più legata alla sua vita nell’Astigiano: La terra. Racconti del paese di Camerano (ivi 1939). In queste opere, rispettivamente nella forma del racconto esemplare e della novella veristica di ascendenza verghiano-deleddiana, torna il tema dello studio della psicologia e del comportamento umano, di cui si denunciano la disgregazione, l’insoddisfazione e la disperazione nel contesto della moderna società urbana o si evidenziano, attraverso la descrizione della rassegnata fatica del lavoro campestre, la profondità spirituale e la serena religiosità dei contadini a contatto diretto con la natura nel microcosmo rurale del paese nell’Astigiano. Si tratta di una tematica spirituale e religiosa che si ritrova anche nel recupero-riproposizione (in funzione antiermetica) del classicismo carducciano-parnassiano nelle liriche dei Canti delle quattro stagioni (ivi 1936, in parte ripresa di poesie di Giovinezza) e del Villagio povero (Roma 1940, nuova redazione di due sezioni del volume precedente). Negli ultimi anni le attività di studioso di letteratura, saggista e, soprattutto, di conferenziere (in diverse celebrazioni promosse dalla Accademia d’Italia o da altre istituzioni culturali) hanno finito per prevalere sulla sua opera di scrittore. Così, se nella serie di interventi dedicati a De Roberto, ai Promessi sposi, a Fogazzaro e D’Annunzio (tutti raccolti nel citato volume dei Discorsi), sono ricostruite le figure degli autori Gatti guardava nella sua opera di narratore. Il volume Sulle vie dell’epopea (Milano 1941) è una raccolta di profili di fatti o personaggi della storia moderna e contemporanea che rimanda alle sue opere storiche.
Il Mercante di sole del 1942 è ambientato nel mondo contadino dell’Astigiano
L’unica opera narrativa di questo periodo, il romanzo Il mercante di sole (Milano 1942), ripropone, con un’intonazione più cupa e amara, l’ambientazione (il mondo contadino dell’Astigiano) e le tematiche dei racconti di La terra. Le tonalità cupe e la commistione di prose descrittive e di riflessione caratterizzano le sue ultime due opere: L’ombra sulla terra. Storia sentimentale di tempi feroci (ivi 1945), una sorta di diario intimo del tempo di guerra (scritto tra l’ottobre 1942 e il maggio 1944, con diversi richiami al Diario sentimentale della guerra, 1923, di A. Panzini); e Risucchi (ivi 1947), raccolta di meditazioni diaristiche, narrazioni, ritratti di uomini e quadri naturali. Angelo Gatti si spegne a Milano il 19 giugno 1948, all’età di 73 anni. Muore uno scrittore brillante, muore un militare che, grazie ai suoi scritti e alla sua attendibilità, ha assicurato una fonte storica di grandissimo valore sulla tragica pagina della Grande Guerra.
Per saperne di più
– La guerra rappresentata, Rivista di storia e critica della fotografia, Anno I, Numero 1, Ottobre 1980
– Angelo Gatti, Atti della Giornata di Studi su Angelo Gatti, Edizioni Provincia di Asti, 1999
Si ringrazia la dott.ssa Barbara Molina, responsabile dell’Archivio storico del Comune di Asti, per la preziosa collaborazione.