La grafia nitida e lievemente inclinata sulla busta postale già indicava l’indole artistica, le lettere tonde e distanziate ne confermavano la sensibilità estetica. Così si annunciava l’amichevole invito di Enrico Colombotto Rosso alle esposizioni o alle presentazioni di volumi d’arte.
Animo irrequieto, Enrico affrontava itinerari spirituali e intensi soggiorni alla ricerca di verità fuggevoli, ma mai dimenticava di ritornare alle radici, nella natìa Torino dalle ombre metafisiche e, in maturità, dal 1991 a Camino, tra le dolci colline del Monferrato casalese. Enrico Colombotto Rosso (Torino 1925-Camino 2013), Cornacchia, 1995, olio su cartone, cm. 170 x 100, donazione dell’Autore, 2004, Musei Civici di Asti allestimenti di prosa contemporanea per il Teatro Stabile di Torino su testi di Wilde, Witkiewicz, Jonesco, Strindberg, e disegni di costumi per il cinema con i registi John Huston e Jacques Beker. Bozzetti di scenografia e di costumi sono esposti a Palazzo Alfieri (fino al 20 aprile 2019), nell’omaggio promosso dalla Fondazione Eugenio Guglielminetti, che conserva la suggestiva donazione di Colombotto Rosso, in seguito alla scomparsa dell’amico scenografo astigiano. Il giovane Enrico attratto dai linguaggi espressionisti, negli Anni Cinquanta viaggiò negli Stati Uniti, in Germania, Austria e Francia, soffermandosi in particolare a Parigi negli studi di Leonor Fini, Stanislao Lepri e Jelenski, esponenti della tendenza surrealista europea. A Torino strinse amicizia con Mario Tazzoli, Luigi Carluccio e Giovanni Testori, promuovendo alla Galleria Galatea inedite mostre di Giacometti, Bacon, Max Ernst.
Con l’inconfondibile sguardo cristallino, coltivò la conoscenza della psiche umana, incurante delle epoche storiche, tuffandosi nel germe originario dell’esistenza, segnata dal dolore ed esaltata dalla passione, frugando nei meandri profondi della vita e della morte. Letteratura, storia e poesia nutrirono la sua pittura, innovativa nella poetica, preziosa nella tecnica. Sue opere comparvero in prestigiose rassegne in Europa, Asia e Americhe. L’impegno scenografico negli Anni Settanta offrì visionari Molti astigiani serbano il ricordo dell’“uomo delle farfalle”, progetto espositivo realizzato da Colombotto Rosso per il Comune di Asti nella ex Chiesa di San Giuseppe-Centro Giraudi (ora Spazio Kor) nel settembre 2004: grandi pannelli dipinti a tempera in un flusso timbrico voluttuoso e luminescente, percorso da creature alate, larve filiformi e libellule metamorfiche, generate dal nero bozzolo e già minate nello sfaldarsi delle trasparenti elitre.
Dalla danza vorticosa nell’atmosfera cangiante alla struggente agonìa, la caducità della farfalla è simbolo di bellezza e vanità, di fascino e perversione. Nel battito dell’ala si cela il perenne ciclo della vita cosmica. I Musei Civici di Asti custodiscono alcune enigmatiche opere, dedicate al fluire del tempo, all’imperfezione umana in perenne sfida della conoscenza, al di là della ragione, della scienza e della conquista tecnologica. Il rigoroso pennello di Enrico Colombotto Rosso, naufrago temerario, si libra, tra vampe sulfuree e chimere notturne, alla purezza catartica dell’emozione e della fantasia.