La passione per il teatro di Nattino ha inizio verso gli undici anni, quando incomincia a collezionare burattini della famiglia Niemen e si esercita con gli amici in cortile. Poi la parrocchia: i suoi genitori lavorano tutto il giorno e lui passa il pomeriggio nella sua parrocchia di San Pietro, anche con l’intento di formare una squadra di calcio: la “Juvenes”. Aveva 14 anni. La squadra di calcio ha poca fortuna ed è trasformata in una filodrammatica. E poi la Bocconi, la laurea con 110 e lode sul teatro dell’assurdo.
E poi il Collettivo Gramsci, il Mago Povero, la Casa degli Alfieri, sempre sull’onda e prima dell’onda nuova del teatro contemporaneo. Il teatro d’impegno sociale, dopo il Sessantotto e ancora dopo la data di “marca”, di passaggio: la strage di piazza Fontana, che Nattino vive molto da vicino.
Il teatro dialettale e la teatralità popolare recuperati soprattutto quando lo sviluppo industriale sembrava spazzar via ogni richiamo alle tradizioni. Nel corso della sua “attività/vita” per il teatro ha realizzato più di 70 lavori teatrali come autore, regista e attore , «e tuttavia, ancora oggi, mi considero un “principiante” perché c’è in me l’emozione, mista a disagio, della ripartenza, della pagina bianca, dell’ “oddio, mi tocca ricominciare…”». Del principiante ha anche tessuto uno stupefacente elogio, due paginette pubblicate alla fine del libro. Il volume è concentrato, ma dilatabile all’infinito: speciale il capitoletto dove l’autore parla della fede: invidia chi ce l’ha, ma lui è forse sulla buona strada: “camminatore di domande”.