sabato 27 Luglio, 2024
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Luciano Nattino: “Due o tre cose che so di me”

A Pordenone, nel settembre 2012, l’ultimo viaggio fatto insieme con Luciano dal Teatro degli Acerbi e faber teater, quando gli hanno dato il premio “stella dell’arlecchino errante” 2012 ed è stato rappresentato il suo “Il mondo dei vinti”. Astigiani pubblica in queste pagine ampi stralci dell’ autobiografia teatrale che Luciano Nattino ha mandato alle stampe nel febbraio 2015, edita dalla Casa degli Alfieri e dall’archivio della teatralità popolare.  Il testo, stampato in 500 copie, contiene anche la prefazione di Nando dalla Chiesa, che studiò all’Università a Milano con Nattino, la teatrografia degli spettacoli firmati da Luciano e una postfazione di Silvana Penna.

La mia iniziazione al teatro avvenne per due fattori importanti. Il primo: i burattini della famiglia Niemen che venivano alle feste di San Pietro (il mio rione) con Gianduja. Dalle otto di sera io prendevo posto dietro gli steccati di legno che dividevano i posti a sedere (paganti) da quelli in piedi. Era il posto migliore della categoria ‘non paganti’ e di là mi godevo lo spettacolo che imparavo quasi a memoria e che poi ripetevo per gli amici in cortile con i burattini di casa dentro un teatrino di compensato regalatomi per Natale… Dopo aver copiato le avventure di Gianduja, inventavo storie con ammazzamenti, truffe, travestimenti e sposalizi e le rappresentavo agli amici. Avevo undici anni.

La foto che ritrae Nattino è di Massimo Barbero, scattata a Pordenone nel 2012

Quei burattini in cortile e il Gelindo dai Salesiani

Il secondo: lo spettacolo popolare del “Gelindo”, cui ho assistito più volte in quegli anni d’infanzia all’oratorio dei Salesiani. “Gelindo” è una tradizione natalizia piemontese…

Ricordo quelle sere di freddo fuori e di calore dentro il teatro, con un pubblico foltissimo, le tante luci, le barbe finte, i canti, le scene comiche dei garzoni. Venti anni dopo sarò io a riprendere il “Gelindo” e da allora ogni anno, da 36 anni, lo porto in scena con bravissimi attori non professionisti. Negli anni sono più di quaranta gli attori astigiani che hanno lavorato per il “Gelindo”; alcuni non ci sono più, grandi amici del cuore, altri continuano.

All’oratorio di San Pietro

I miei genitori, entrambi operai, erano a casa solo per un ora a pranzo e poi a cena. Mio fratello, più grande di me di otto anni, era sempre via di casa per studio o per lavoro. Quindi i miei erano contenti di sapermi all’oratorio San Pietro, vicino a casa, dove andavo tutti i pomeriggi una volta finiti (o meno) i compiti. Lì ho incontrato dei vice parroci davvero importanti per la mia formazione complessiva. Tra tutti ricordo con affetto don Mario Musso e don Luigi Berzano.

Nell’estate ‘62 la madre di Tonino Catalano viene a cercarmi all’oratorio. Si vede che il don le ha parlato di me. “Mi dicono che sei bravo a scuola. Potresti dare qualche lezione a mio figlio?” Tonino quell’anno era stato bocciato in prima media e doveva ripetere…. facciamo amicizia e costruiamo una piccola squadra di calcio. Ma l’interesse per il teatro torna prepotente in me, con la voglia di salire su un palcoscenico vero, quello dell’oratorio, e di competere con la filodrammatica dei ‘grandi’, compagnia tutta maschile, come prevedevano i tempi. Così nel ‘63 trasformo la squadra di calcio in filodrammatica ‘Juvenes’ e preparo il primo spettacolo.

Luciano Nattino a 4 anni, su un “navet” al Tanaro. Il fratello Lorenzo era un provetto pescatore

 

Dalle pagine finali dell’antologia di terza media che ho terminato quell’anno (Tonino è stato finalmente promosso in seconda) prendo un bel racconto e lo trasformo in pezzo teatrale. È una novella che ho letto per conto mio perché a scuola, a quel tempo, non si arrivava agli autori del Novecento. Ha un titolo che mi incuriosisce subito: “La giara” di un certo Luigi Pirandello, di cui ovviamente non so niente…  Io sarò Don Lollò, l’autoritario e verboso padrone della giara, mentre Tonino sarà Zi’ Dima, il silenzioso concia brocche, parte a lui molto consona, sia per la sua struttura fisica mingherlina sia perché, già allora, dimostrava una più naturale inclinazione alla mimica che alle parole. Con “La giara” inizia il nostro sodalizio artistico. Tonino ha 13 anni, io 14…

Su quel palco reciteremo per alcuni anni, con frequenza quasi trimestrale, portando in scena commedie, farse tra cui “Le furberie di Scapino” di Molière, oppure testi inventati da noi. Il teatro è sempre pieno di spettatori, più che alle recite dei ‘grandi’: il nostro obiettivo è raggiunto…

Negli anni ‘65 e ‘66 vado entusiasta al Teatro Alfieri di Asti (in loggione ovviamente) a seguire le ‘pièces’ di Jonesco presentate dal Teatro delle Dieci di Massimo Scaglione o il cabaret satirico dei Gufi oppure Dario Fo e Franca Rame nelle commedie “La colpa è sempre del diavolo” e “La signora è da buttare”.

A inizio ‘67 mi ‘fidanzo’ con Silvana, a giugno compio 18 anni e a settembre mi iscrivo all’Università Bocconi di Milano mentre Tonino da tempo lavora come apprendista in varie ditte. Vengo ingaggiato come tastierista e cantante in un gruppo rock che suona nelle balere della regione e che è via via denominato “Gli altri”, “Bus Stop” e “Il viaggio di Alice”. Tonino collabora con il gruppo come animatore in mezzo al ballo, come aiuto tecnico e improvvisato batterista.

 

Ai tempi dell’Oratorio di San Pietro, secondo da sinistra con Renzo Fornaca, Renzo Moretto e Antonio Catalano

Il mio ’68 e il mito del libero amore

Il ‘68 è alle porte con la sua carica creativa, distruttiva e costruttiva insieme, con i suoi eroi (Che Guevara innanzitutto ma anche Ho Chi Min e Martin Luther King) e i suoi slogan: tra tutti il fortunato ‘la fantasia al potere!’.

Nel maggio ‘68 il Collettivo Studentesco della Bocconi, di cui faccio parte, decide di occupare l’università, come già succede in Francia e in altre città italiane… Io, che abito nel vicino Pensionato Bocconi, sono tra i più attivi (per motivi logistici) nell’occupazione, in particolare notturna, dell’università. Più che ‘occupare’ di notte si gioca a carte, si suona un po’ e poi si dorme. E smentisco la facile diceria secondo la quale, durante le occupazioni, si sarebbe praticato “il libero amore”. Macché. Le ragazze occupavano di giorno e al pomeriggio tornavano a casa, lasciando noi ragazzi da soli a cantare le tristi canzoni anarchiche o quelle del primo Fabrizio (De Andrè, ma allora si chiamava solo ‘Fabrizio’).

Quell’estate mi do a letture ‘impegnate’: Marcuse, Marx, Che Guevara, Feuerbach, Gramsci, Chomsky, la Monthly Review, ecc. e soprattutto entro in crisi totale con la mia fede in Dio.

Io, Dio e la fede

Ora, per spiegare il mio rapporto con la fede, devo premettere che porto ai lati del mio capo due orecchie enormi e un po’ a sventola. “È per sentirti meglio, bambina mia!” dice il lupo a Cappuccetto. In effetti debbo dire che, anche grazie a questo mio difetto, mi è sempre piaciuto ascoltare molto: le storie degli anziani, le pene di un amico, le voci del teatro, le risa di mia moglie.  “Le orecchie – dice Erri De Luca – sono cisterne in cui raccogliere l’acqua piovana delle storie.”

Dagli 11 ai 14 anni, ho fatto il chierichetto. Andavo a servir messa anche alle 7, prima di andare a scuola. Guadagnavo molti punti, quelli che dava il parroco, e intanto aspettavo quella voce. Prima o poi arriverà – mi dicevo. Un po’ come Jonesco, grande autore di teatro, che diceva d’aver sempre atteso una telefonata da Dio o almeno dalla sua segreteria di angeli. A 17/18 anni frequento un gruppo di pensiero attivo della parrocchia (Pensieri Nuovi) e nel ‘67 insegno persino il catechismo… ma niente. Dio, Dio dove sei?

Così, con l’onnipotenza dei vent’anni, decido che ho altre voci impellenti a cui dare ascolto: Rivoluzione, Non violenza, Liberazione, Pace, Diritti, Dignità’… Per cui leggo, partecipo ad assemblee, a riunioni serali (dove mi capita anche di dormire), a manifestazioni (dove mi capita di dover scappare per gli attacchi della polizia), a picchetti operai (dove, a parlar male del sindacato, si rischiano le botte)…

Ancora oggi non ho ritrovato la fede in Dio, ma non mi considero un “non credente”. Non mi piace essere un “non”. Non mi piacciono neanche altre definizioni: ateo, agnostico o laico. Certe barriere, oggi, o certe “isole” sono obsolete. Per definirmi, se proprio debbo, preferisco le parole ‘cercante’ o, meglio, ‘camminatore di domande’. Ma la mia non è una condizione comoda o serena. Spesso mi sento spaesato, senza navigatore. Quindi a volte invidio chi ha delle ancore di certezza, utili nel mare tempestoso degli interrogativi…

 

Luciano Nattino nel ruolo dell’Augusto in “Che fine farà la donna cannone?”,

Dove finiscono le utopie

… anche gli ultimi sussulti del ‘68 finiscono, e lo fanno in modo inequivocabile e terribile con una data: 12 dicembre ’69, strage di Piazza Fontana proprio a Milano. Finisce la stagione delle utopie, del pacifismo, dell’internazionalismo e inizia quella della violenza stragista, del terrorismo, degli anni di piombo…

Quel pomeriggio del 12 dicembre ’69 il cielo è plumbeo su Milano. Sono quasi le 17 quando esco dal Pensionato Bocconi per andare a prendere il tram per la Stazione Centrale. C’è qualcosa di strano, è l’ora di punta e c’è pochissimo traffico! Anche sulla banchina dei tram non c’è nessuno… Non riesco a capire. Il tram non arriva. Perderò il treno. Sirene in lontananza. Di colpo una donna, un’anziana. Sbuca dietro di me e urla a un’altra donna ferma sull’altro lato della strada: “I comunisti! Han messo una bomba! I comunisti! Una bomba! Una strage!” Cosaa? Non riesco a crederci. Non riesco a chiedere. La donna è terrorizzata, agitata. “I comunisti!?”… Mi dico che è impossibile, che non può entrarci la sinistra. Ma, a proposito… Tasto un fianco del mio eskimo marron. Ho ‘L’Unità’ in tasca, piegata per il verso giusto, come ho visto fare dai compagni del PCI. Non la compro spesso, ma oggi, per il viaggio in treno… Mi prende un insolito imbarazzo e una improvvisa paura. Mi guardo intorno, sfilo il giornale di tasca e lo metto in borsa. Poi ritorno di corsa in Pensionato, non so se più turbato per la notizia o per la mia pavidità. Del resto, non è un caso se, alle manifestazioni dove c’erano scontri con la polizia, io facevo parte del ‘Settimo Leprotti’.

Dal ‘Collettivo Gramsci’ al ‘Mago Povero’

Negli anni dell’università, riporto settimanalmente agli amici da Milano le novità teatrali che seguo al Piccolo, alla Palazzina Liberty o al Teatro Uomo: una mole enorme di stimoli e di impulsi poiché il teatro, attraverso diverse esperienze (Dario Fo, Nuova Scena, Collettivo di Parma, Gruppo della Rocca), diventa strumento di contro informazione, di nuova proposta culturale.

Ritorna in me e Tonino la vecchia passione. Decido di abbandonare la musica, per la quale mi sento inadeguato, e ritorno al teatro.

Scelgo la tesi: voglio laurearmi con Carlo Bo approfondendo l’impegno politico nel teatro di Arthur Adamov, uno degli autori, insieme a Beckett, Jonesco e altri, considerati del “Teatro dell’Assurdo”.

Prendo a prestito il titolo di un testo di Adamov: “Off Limits”  per ‘cucire’ in realtà una serie di testimonianze legate alla guerra in Vietnam allo scopo di denunciarne le drammatiche conseguenze…

Debuttiamo a fine giugno ‘71 alla Festa de L’Unità di Asti. Sette attori uomini e una sola donna di fronte a una quarantina di persone; le altre impegnate a rosicchiare costine di maiale. È il primo spettacolo della nuova squadra, dove non mancano i componenti ‘storici’ della filodrammatica e della band musicale: Tonino, Renzo, Lorenzo Bartolomeo (ci tiene al doppio nome), Silvana, Matteo, Mario d io. Abbiamo scelto il nome della formazione: ‘Collettivo Gramsci’, denominazione che trae un po’ in inganno i dirigenti comunisti astigiani perché, in realtà, recuperiamo Gramsci in chiave critica verso il PCI di allora.

Una settimana dopo mi laureo alla Bocconi con 110 e lode. Ho appena compiuto 22 anni.

Il primo spettacolo serve ad avvicinare altri giovani al Collettivo. Inoltre la neonata ARCI di Asti ci concede la sede, in pieno centro città, per le prove e le rappresentazioni. Metteremo sul terrazzo, prospiciente piazza San Secondo, una enorme bandiera del Vietnam, e proprio nel periodo del Palio, quando la città si riempie di bandiere e gonfaloni di tutt’altro genere…

Un altro dei primi spettacoli porta come titolo: “Grazie padrone ma noi abbiamo le nostre” dove per ‘nostre’ si intendono le storie e le canzoni popolari. In quegli anni il canto popolare sta acquisendo un certo interesse in Italia anche per il suo valore di critica sociale. Noi abbiamo la fortuna di conoscere da vicino, in quanto astigiano, Franco Coggiola, ricercatore di canti popolari e direttore dell’Istituto De Martino, allora con sede a Milano, nonché aiuto regista di Dario Fo in uno storico “Ci ragiono e canto”. Franco ci dà consigli, ci offre canti inediti, ci stimola a proseguire.

Collaboriamo anche con Carlo Petrini che a Bra sta tentando con l’ARCI strade analoghe di riscoperta delle tradizioni musicali ed enogastronomiche della campagna del Roero e delle Langhe. Ma all’inizio è dura.

Il PCI e il sindacato piemontesi sono molto ‘operaisti’ e le nostre proposte vengono giudicate ‘nostalgiche’ o comunque inadatte a celebrare le ‘vittorie’ della classe operaia. Teniamo duro, forti delle nostre convinzioni. E facciamo bene… supportati dalle ricerche di due antropologi dell’Università: Gian Luigi Bravo e Piercarlo Grimaldi (con quest’ultimo collaborerò molto nell’allestimento di mostre, nella produzione di libri e di eventi)…

 

Nel 1972 primo spettacolo a Torino “Il fascismo è una tigre di carta”

L’attività di animazione teatrale

Quelli, tra il ‘70 e il ‘73, sono anche gli anni in cui nasce ‘l’animazione’ nelle scuole, nei quartieri, nei luoghi del disagio… Per l’anno scolastico ‘73/‘74 proponiamo al Comune di Asti un’attività di animazione in una scuola elementare periferica. Il progetto è accettato e Tonino da allora si impegna in tale attività utilizzando il sabato, quando non lavora, per andare a ‘fare animazione’ in quella scuola. Sarà così in diverse altre scuole per gli anni a venire, finché Tonino lascerà la fabbrica e farà l’animatore precario per il Comune di Asti.

Nel frattempo Tonino partecipa attivamente a tutti gli spettacoli del Mago Povero (nuova denominazione del gruppo, autunno ‘72) che hanno titoli lunghi e argomenti politico-sociali innovativi tra cui: “Muori operaio ma non far rumore” (su ecologia e salute in fabbrica), “Prendete una donna e bruciatela come strega” (sulla condizione femminile), “Vivo in gabbia e mi nutro di incubi” (sulla situazione nelle carceri e nei manicomi) portati in giro per la regione e oltre. Cambia la cifra stilistica: meno canzoni più parti teatrali ma soprattutto suggestioni e spunti dai più famosi gruppi e maestri della scena internazionale d’avanguardia: Living Theatre, Bread and Puppet, Grotowski. La voglia di imitarli ci induce a creare un teatro essenziale e grottesco, volto a una ‘crudeltà’ scenica, alla provocazione nei confronti del pubblico, all’uso di pupazzi ecc. ben riassunto in un manifesto/cartoncino: “Al teatro, al nostro teatro vorremmo dare tutto il gusto e la libertà del travestimento del povero che fa scoppiare, nella sua magia, tutte le convenzioni costruite dai padroni”.

Di quegli anni uno spettacolo più maturo è “Un pezzo di legno morto bambino” con dodici attori in cui Tonino interpreta Pinocchio (con una scena di nudo integrale che farà scandalo) e in cui affrontiamo, attraverso il capolavoro di Collodi, il tema dell’handicap, un tema a noi molto caro…

Fino al ’78, oltre che occuparmi della scrittura e della  regia, salgo anch’io in scena interpretando vari ruoli tra cui quello del Grillo parlante. Il gruppo si è fatto numeroso: venti persone circa, a cui se ne aggiungono altre venti quando proponiamo azioni teatrali di strada, tra cui “Fucilati banditi partigiani” un’operazione complessa che coinvolge interi paesi o centri città.

È la stagione degli ‘happening’, eventi in piazza o strada su tematiche sociali o civili emergenti: la situazione nelle carceri e nei manicomi, il pericolo nucleare…

Fucilati banditi partigiani, happening in strada (1975). Nattino con cappello e impermeabile nel ruolo del capo dei fucilatori

 Aggregazioni e partenze

Nel Collettivo (abbiamo sempre chiamato così il gruppo che aveva sede in un negozio di via Pascoli) si creano dei sottogruppi secondo campi di interesse personale (musica, teatro, animazione, grafica) o secondo diverse visioni culturali… Nel ‘77 avviene all’interno del gruppo una significativa frattura di carattere politico-culturale che porta un nucleo ad allontanarsi dal gruppo stesso. Ai primi di novembre eravamo soliti organizzare uno ‘stage’ di due/tre giorni ai Caffi di Cassinasco sulla Langa astigiana, dove c’era un ristorante albergo gestito da Pierino Testore (ex partigiano e sindaco di Canelli) e da sua moglie Nerina. Lo stage aveva l’obiettivo di aggiornare la progettazione culturale del gruppo oltreché di rinsaldare l’amicizia e i legami fra i suoi componenti (con gli inevitabili eventi paragoliardici notturni).

In un momento serio dello stage, alcuni del gruppo (Gigi Spina, Gian Luigi Porro e altri) contestano la conduzione rigida del Collettivo e troppo filo-PCI (rappresentata da me, Catalano, Fornaca e altri). Erano quelli i mesi dell’‘autonomia’, della contestazione radicale dei partiti e dei sindacati (con ‘cacciata’ di Lama dall’Università) o, su un altro fronte, degli ‘indiani metropolitani’…

In quegli anni assistevamo a un’involuzione culturale del Teatro italiano, ad iniziare dai Teatri Stabili, mentre venivano emergendo ‘dalle cantine’ artisti geniali (come Carmelo Bene e Leo De Berardinis) e forme nuove di aggregazione e di intenti teatrali (cooperative, teatro ragazzi, teatro ricerca). Attribuivamo tale involuzione al ‘professionismo teatrale’ considerandolo il principale male storico del teatro, in quanto attento soltanto agli incassi del botteghino e dunque incapace di suscitare nuovi stimoli culturali e un nuovo pubblico. Nel Collettivo, la parola ‘professionismo’ sembrava quasi una bestemmia. In questo eravamo confortati dal pensiero di Gian Renzo Morteo (un mai troppo rimpianto docente torinese, nostro ‘fratello maggiore’) che ‘bastonava’ severamente il teatro superficiale, fatto solo di mestiere…

Con queste stesse nostre convinzioni arriviamo al 1978…, anno in cui a Tonino, da due anni incaricato a contratto semestrale come animatore comunale, decide dopo una animata assemblea tra noi di fare dell’arte il suo lavoro futuro…Da quel momento sperimentiamo il ‘professionismo’ con tutto quel che comporta in risvolti struttural-burocratici e in quelli organizzativo-promozionali. Per fortuna i primi spettacoli di Tonino, da solo in scena: “Spaventapasseri”, “Pietre” e “Zarathustra” vanno piuttosto bene. “Pietre” è addirittura invitato a festival internazionali.

Dall’altra parte, come Collettivo, continuiamo a produrre spettacoli e nel ‘79 “Il Bertoldo” compie una significativa tournée, toccando anche la Sardegna con una decina di repliche.

 

“Un regalo fuori orario” con Federica Tripodi e Tommaso Massimo Rotella, regia di Patrizia Camatel

Il partito chiama e Moby Dick risponde

Il 1978 è anche per me un anno importante sul piano delle scelte di vita e di lavoro. Dopo la laurea e il militare, da alcuni anni, insegno francese in Istituti superiori di Asti e provincia, lavoro che mi lascia un certo tempo libero per l’attività teatrale. L’impegno politico-amministrativo al Comune di Asti però aumenta (divento capogruppo PCI in Consiglio Comunale dove sono stato eletto dal 1975 al ‘91) e il partito mi chiede di entrare a pieno tempo nella Segreteria provinciale. Conflitto interiore. Devo lasciar la scuola? Che cosa diranno i miei, dopo i sacrifici fatti per farmi studiare? Come spiegar loro che vado a guadagnare la metà dello stipendio statale? E il teatro? Quello non lo mollo di sicuro. Mentre sto decidendo che fare, mi risolvo a sposarmi e a metter su casa con Rosalba, conosciuta un anno prima e coinvolta subito nel Collettivo.

Nel settembre ‘78 decido: entro a pieno tempo nel PCI di Asti. L’impegno mi consente comunque di seguire sia il lavoro di Tonino che quello del Collettivo, almeno per il momento.

L’anno successivo sono Maurizio e Armando che lasciano il loro precedente lavoro (Maurizio lo studio grafico, Armando la fabbrica) e si affiancano a Tonino nella scelta professionistica. Sta per nascere il primo importante spettacolo ‘di compagnia’: “Moby Dick”, dove un interno di campagna si trasforma in una baleniera… Lo spettacolo si avvale delle musiche originali di Paolo Conte, conosciuto per l’occasione e col quale collaboreremo per altri cinque lavori. Paolo ci ‘regala’ (è il caso di dirlo in quanto non ha mai voluto compensi) dei brani fascinosi e misteriosi, tra cui una fantastica habanera che accompagnerà il finale tragico di Pavese/Achab.

Bufala e controbufala

Arriva il 1980 e con esso la campagna per le elezioni al Comune di Asti durante la quale avviene un episodio curioso che impegna il nostro Collettivo in un’azione molto divertente. Su un settimanale locale della Democrazia Cristiana (‘Astisabato’) appare la notizia di una presunta ‘distrazione’ dell’Assessore all’Urbanistica di Asti (il comunista Giorgio Platone) su un complesso ex industriale che sta cambiando la propria destinazione d’uso, ospitando, tra le altre, anche l’attività del nostro gruppo. ‘In cambio’ di tale ‘distrazione’, noi beneficeremmo, secondo il giornale, di locali gratis dalla proprietà del complesso. In realtà noi da mesi stiamo pagando alla proprietà un affitto piuttosto oneroso. Come rispondere a tale ‘bufala’ elettoralistica? Innanzitutto andiamo in nutrito gruppo, lo stesso pomeriggio, di fronte alla sede astigiana della DC, a sventolare copie del contratto d’affitto.

Nello stesso tempo abbiamo una pensata: quella di ‘vendicarci’ della ‘bufala’ inventandone una più eclatante. Decidiamo così di elaborare e far stampare per la settimana successiva un falso ‘Astisabato’ per dire in modo ironico la verità e per distribuirlo in città. Erano quelli i tempi del ‘Male’, una rivista che faceva uscire ogni tanto, a livello nazionale, dei falsi e ironici ‘Corriere della sera’ o ‘l’Unità’, ma nessuno avrebbe mai prefigurato un ‘Male’ locale.

Si mettono al lavoro i più bravi tra noi in materia, anche dei futuri giornalisti nazionali (Sergio Miravalle) e poi, una volta stampato, andiamo in diversi fra noi il sabato successivo, alle sette di mattina, a distribuirlo agli edicolanti dicendo trattarsi di un inserto del normale ‘Astisabato’. Del resto, aveva la stessa impostazione grafica. Tutti gli edicolanti eseguono a puntino l’invito pensando di avere tra le mani un inserto vero. Insomma, si generò un caos tale che la città rise per giorni interi. Finimmo anche sui giornali nazionali. Finimmo anche in Tribunale per concordare col giudice il ritiro della nostra denuncia ad “Astisabato” e il contestuale ritiro della denuncia della DC per la nostra bravata. In quegli anni, sul fronte spettacoli, a “Moby Dick” segue “On the road” (1981), un lavoro sul mito americano e sul viaggio immaginario, che vede l’innesto di Lorenza Zambon, attrice di Padova. Nel 1982 nasce “Galileo”, lavoro a cui sono particolarmente legato, su un ‘maestro inverosimile’, poeta dell’insegnamento sui grandi misteri dell’universo e della vita, costretto dal potere a una didattica tradizionale.

L’anno successivo, nel giugno ‘83, vede la luce Scaramuoche per la quale collaboriamo, oltre che con Paolo Conte per le musiche, con lo scenografo Eugenio Guglielminetti che ci ‘regalerà’ (anche lui) i progetti delle scene e dei costumi per altri tre lavori.

Nel frattempo la formazione non professionistica, col nome di ‘Collettivo’, continua a produrre spettacoli, tra cui due ottimi “Il Re nudo” e “Lancillotto”.

Il capitolo dedicato alla tragedia del Rocciamelone del 2 ottobre 1983 dove persero al vita Renzo Fornaca, Francesca la sua fidanzata e Luisa Steffenino è stato pubblicato in anteprima da Luciano Nattino nel numero di Astigiani del settembre 2013 per la rubrica “Se ci penso” con il titolo  “La notte che cercai la stella di Renzo”.

 

I maggio 1974 in piazza Alfieri. Da sinistra Renzo Moretto, Lorenzo Nisoli, Renzo Fornaca, Giancarlo Ferraris, Luciano Nattino, Roberto Giannino, Graziella Borgogno

 

Una poetica che dà i suoi frutti

Gli anni seguenti vedono l’affermarsi ulteriore del gruppo professionistico che ottiene anche i riconoscimenti (con contributo) del Ministero e della Regione Piemonte.

Nel 1985, dopo aver svolto, per due anni, l’incarico di Assessore all’Istruzione e ai Servizi Sociali del Comune di Asti, lascio il lavoro di partito. Il mio totale assorbimento nel ruolo amministrativo, ha creato difficoltà e notevoli dissapori interni al gruppo (e anche con Rosalba) per le mie continue assenze… Ma tutto si appiana con la mia entrata a pieno tempo nell’organico professionistico del gruppo. Inizia di nuovo un periodo molto fertile che vede la nascita di ottimi spettacoli: “Conferenza Buffa”, un assolo di Tonino molto fortunato; “La Barca” (con Lorenza e Alessandro Haber) un ‘giallo’ poetico di Gérard Gélas, grande amico regista e autore, direttore del Théâtre du Chêne Noir di Avignone; “Il valzer del caso” di Victor Haïm (con Lorenza e Giovanni Todescato), un testo metafisico che adattiamo per 30 spettatori seduti attorno a un grande tavolo rotondo; “Il vecchio e il mare”, una nostra rivisitazione del grande romanzo di Hemingway, e diversi altri. Questo è anche il periodo in cui nasce “Van Gogh”, lo spettacolo a cui sono più affezionato, il cui testo è finalista al Premio Riccione 1987.

È la storia del grande artista ‘trapiantata’ negli anni ’60 del Novecento.  Un lavoro che ci offre molte emozioni, soddisfazioni, successi di critica e pubblico, e che vede il coinvolgimento (oltre a Tonino e a Lorenza) di due nuovi attori, Giuliano Amatucci e Giancarlo Previati con cui lavoreremo in futuro, anche se Giuliano, purtroppo, ci lascerà presto in seguito a una malattia. In precedenza erano entrati Gigi Cilumbriello e Francesco Visconti. Con quest’ultimo realizziamo “Bambinate” di Raymond Cousse, un lavoro tenero e crudele nello stesso tempo, per il quale crea le musiche Giorgio Conte (allo ‘stesso prezzo’ del fratello Paolo) con cui collaboreremo negli anni a venire. In quegli anni Tonino e io precisiamo la poetica del gruppo che si fonda sempre più sulle tematiche dell’‘assenza’ e dell’‘handicap’ e Tonino, di suo, ci aggiunge anche ‘la fame’ dell’attore…

 

Nattino è sempre stato appassionato di marionette e burattini

Asti Teatro e le nostre sfide

Quelli sono anche gli anni in cui il festival Asti Teatro si afferma a livello nazionale. Il nostro gruppo (che ha contribuito a farlo nascere) ne contesta però il carattere di chiusura all’interno di luoghi deputati, senza un coinvolgimento efficace della città.

Nel 1987 proponiamo così una sorta di ‘festival off’ che, con un piccolo contributo del Comune, ottiene uno straordinario successo di pubblico, grazie anche alla qualità degli artisti invitati: Danio Manfredini, Marco Baliani e Ruotalibera, Marco Martinelli e le Albe, Cada Die Teatro ecc. Tanto successo che… l’anno seguente la Commissione di Asti Teatro rigetta il nostro progetto di riedizione. Evidentemente abbiamo dato fastidio. Così ‘emigriamo’ in provincia e proponiamo il nostro programma in un castello di proprietà di architetti e ingegneri svizzeri: Castelburio, a Costigliole d’Asti. Altro successo. Tanto successo che… l’anno seguente (1989) la Commissione di Asti Teatro ci richiama a tenere il nostro ‘off’ ad Asti.

Prepariamo un nuovo lavoro. Nasce “Creature”, su San Francesco e il pane… Debutta nel ‘90 a Milano al Centro di Ricerca Teatrale, che contribuisce alla produzione, e viene ospitato solo a Pontedera e Modena, oltre a partecipare ai festival di Asti e Reggio Emilia. Che peccato! Dopo tanti complimenti… Una grande soddisfazione però è quella di presentare “Creature” di fronte a Grotowski, maestro della scena internazionale. Ciò avviene a Pontedera, nei locali del suo Workshop Internazionale, e lui, al termine, ci ringrazia e si intrattiene con noi per lunghe ore della notte.

Un incontro memorabile!

Un tipico atteggiamento di Luciano regista durante le prove (foto Marco Vergano)

La Casa degli Alfieri a Castagnole Monferrato

Nell’estate ‘91 Gigi e Maurizio vanno per primi a vedere il posto. È una collina isolata tra i comuni di Castagnole Monferrato e Scurzolengo che ospita i ruderi di una casa padronale del ‘700 detta La Bertolina. È il luogo giusto per realizzare l’utopia/sogno di una casa/teatro con abitazioni dei soci, uffici, sala prove, parco, foresteria ecc.

Contattiamo amici tecnici per il progetto e nella primavera ‘92 depositiamo domanda e incartamenti al Comune di Castagnole Ci vorranno quasi due anni per ottenere la licenza, siglare la convenzione, accendere i mutui, avviare i lavori ecc. ma nell’estate ’94 Tonino è il primo ad entrare nella Casa, seguito da tutti gli altri: Lorenza, Franca (la nostra socia amministratrice), Maurizio e io (che da sei anni sono tornato ‘single’ dopo la separazione da Rosalba).

Decisamente possiamo lavorare meglio e nascono altri importanti spettacoli, primo fra tutti “Maudie e Jane” tratto dal “Diario di Jane Somers” di Doris Lessing. Per la parte dell’anziana barbona occorre un’attrice in età che accetti di spogliarsi nuda in un certo momento dello spettacolo. La scena è indispensabile e centrale nel rapporto tra Maudie, l’anziana, e la giovane Jane… “Certo…- dice qualcuno di noi – potessimo avere con noi Judith Malina, non ci sarebbe problema!”. “E perché non tentare?” dice qualcun altro. E ci mettiamo a cercare il contatto e, una volta ottenuto, le scriviamo e le proponiamo il progetto. A breve giro di posta e per telefono lei ci risponde positivamente. È fatta: Judith Malina, la fondatrice insieme a Julian Beck del celebre Living Theatre di New York, lavorerà con noi per uno spettacolo! Tutto fila liscio. Judith si comporta come un’allieva disciplinata, Lorenza è al meglio, Maurizio realizza una stupenda scenografia e lo spettacolo va benissimo. Debutta al Festival di Santarcangelo, diretto da Leo De Berardinis, e lo teniamo in repertorio per altre tre stagioni teatrali vincendo anche il Premio UBU nel ‘95 per la miglior attrice (Judith) e il Premio Giuseppe Fava per il miglior testo civile. “Maudie e Jane” è il nostro spettacolo con il maggior numero di repliche, pari solo a “Conferenza Buffa” di Tonino, rappresentato ininterrottamente per sette stagioni.

Con Judith e quattro attori del Living Theatre (più Tonino, Lorenza e Giuliano Amatucci) lavoreremo ancora per realizzare il “Chisciotte”, un testo mio dal capolavoro di Cervantes, con regia della stessa Judith. Proveremo persino a New York in una sala del Cafè La Mama e debutteremo a Roma al Teatro Valle nella primavera 1998.

Intanto la nostra Casa ospita negli anni diversi amici artisti di varie discipline: vengono da noi per provare i loro spettacoli la Banda Osiris, Onda Teatro, Cesar Brie, Erbamil… e tanti altri. Organizziamo laboratori per attori con maestri internazionali…

Nel ’96 entra anche nella Casa, con la sua risata trascinante, Alba, la mia seconda moglie, dopo una bella festa di matrimonio nel parco.

Nel frattempo, in quegli anni, creiamo nuovi lavori, tra cui “La fortezza vuota”, un testo mio sull’autismo (finalista al Premio Vallecorsi di Pistoia)…

C’è però una novità.

 

Nel ruolo di angelo in una delle rappresentazioni del Gelindo della Compagnia Brofferio

La “factory” e il Teatro degli Acerbi

Da qualche anno ciascun socio di Casa degli Alfieri sta seguendo proprie strade, per ragioni sia artistiche che personali. È subentrata infatti una ‘stanca’ della concezione di ‘gruppo artistico’. Dal 1999 Tonino decide di abbandonare il teatro per come l’avevamo inteso fino a quel momento… Intende concentrarsi sulle sue capacità di artista a tutto campo: pittore, costruttore di macchine ‘celibi’, poeta, inventore di ‘musei sentimentali’ e di ‘universi sensibili’. Maurizio, che negli ultimi anni ha seguito Baliani nelle produzioni RAI, decide di collaborare con Tonino e propone di trasformare la compagnia in una sorta di “factory” con ciascuno dei quattro soci che persegue un percorso artistico (e un bilancio) personale ma con uffici e amministrazione comuni…

Debbo dire però, per quel che mi riguarda, che la decisione della ‘factory’, ancorché realistica mi spiazzò non poco…. In seguito dunque cercai attori per creare dei nuovi spettacoli: “Il Conde” da un racconto di Claudio Magris e “Ginestre a Portella” con 14 attori.

Entrai in contatto con gli attori del Teatro degli Acerbi, una giovane formazione astigiana con alcuni già buoni talenti. Inizia un periodo di “annusamento”, poi di prova e infine di realizzazione di spettacoli: un molto amato “Canto per Vanzetti”  uno riuscitissimo “Renzo Tramaglino, sposo promesso” (con Fabio Fassio), un fortunato “Francesca e l’Eroe” (con Patrizia Camatel) e diversi altri.

Nel frattempo, con loro, mi dedico al ‘giardinaggio’ teatrale, cioè ai tentativi di ‘coltivare’ i talenti per formare di nuovo una ‘compagnia’. Nel corso della mia attività/vita per il teatro ho realizzato più di settanta lavori teatrali, di cui oltre cinquanta scritti da me, più una ventina di autori contemporanei. Inoltre mi son sempre occupato di teatro dialettale e di teatralità popolare…

Ultime creazioni con mia scrittura e regia: “Il mondo dei vinti” da Nuto Revelli (con cinque ‘acerbi’ e sei attori del Faber Teater di Chivasso, con cui ho tenuto per sei anni una felice esperienza di ‘Residenza Teatrale’), “Il barbiere di Re Vittorio” (con  uno strabiliante Fabio Fassio), “Francesco sulla strada” (un altro omaggio al santo di Assisi, con Mariapaola Pierini, Tommaso Rotella e Fabio Fassio) e “Ofelia non deve morire” (con un’incantevole Patrizia Camatel).

Nel 2012 arriva la brutta bestia

Poi nel 2012 mi è ‘arrivata’ la SLA (sclerosi laterale amiotrofica), una brutta bestia che toglie progressivamente le forze. In questi giorni sto scrivendo, a fatica, il testo di “Dio e la manutenzione dell’asina”, un lavoro per contastorie con asina (Claudio Zanotto Contino e Geraldina), con la regia di Patrizia Camatel, che debutterà a Lucca nel giugno 2013 alla rassegna dei Teatri del Sacro. Sarà il mio ultimo testo? Chissà? Però, guarda il caso: finire con ‘Dio’ non è poi così male.

Nel 2014 Luciano Nattino, utilizzando al computer un programma di scrittura oculare, scriverà ancora il testo dove affronta il tema della Sla in un intenso dialogo tra il malato e una psicologa. È rappresentato ad Asti (anche nella hall dell’ospedale durante un suo ricovero), in numerosi teatri d’Italia e al festival di Avignone.

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