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1949

Ecco come Asti celebrò i 200 anni della nascita di Alfieri

Risulta molto interessante leggere come Asti si preparò a vivere e visse le giornate del 1949 dedicate al bicentenario della nascita di Vittorio Alfieri. La guerra era finita da pochi anni, c’era stata l’alluvione nel settembre del 1948 e le ferite erano recenti, ma la città si impegnò per farsi trovare preparata e vinse la scommessa. Arrivò in visita il Presidente della Repubblica Einaudi, intervennero ministri, intellettuali, poeti, grandi nomi della cultura e del teatro del tempo, si allestirono mostre d’arte e di scenografia attente alle nuove tendenze, aperte ai principali artisti italiani e, naturalmente, vennero rappresentate tragedie, che coinvolsero un folto pubblico non solo di addetti ai lavori. Sono passati 70 anni da quel 1949 e il confronto con l’oggi dovrebbe far riflettere, in particolare sul fronte teatrale.

La più importante manifestazione culturale dell’immediato Dopoguerra

 

La guerra era finita da poco. Il 18 aprile 1948 la Democrazia Cristiana, con il 48% dei voti, aveva vinto le elezioni politiche superando il Fronte popolare dei comunisti e socialisti fermo al 31%. A Roma si era insediato un governo centrista guidato da Alcide De Gasperi e l’Astigiano aveva mandato in Parlamento i deputati Giacchero, Armosino e
Sodano per la Dc, Umberto Calosso per i socialdemocratici, Alessandro Scotti del
Partito dei contadini e il senatore Baracco democristiano. La giunta comunale di Asti
era ancora espressione della maggioranza di sinistra uscita dalle urne del 1946 con
a sindaco l’avvocato comunista Felice Platone.

Il 1948, ad Asti, era iniziato nella prospettiva della solenne celebrazione prevista per l’anno successivo in occasione del bicentenario della nascita di Vittorio Alfieri. La sera del 17 gennaio al Teatro Alfieri, Carlo Calcaterra, presidente del Centro Nazionale di Studi Alfieriani e docente all’Università di Bologna, aveva intrattenuto il pubblico sulla ricorrenza, degna della massima attenzione. Ma ci fu un evento che rischiò di far
saltare il programma della celebrazioni.

Le prime pagine de Il Cittadino dedicate alle celebrazioni

L’alluvione del 1948 rischiò di far saltare il programma delle celebrazioni

 

Tra venerdì 3 e sabato 4 settembre una notte di pioggia ininterrotta e torrenziale travolse la città, causando lo straripamento di Tanaro e Borbore. Nonostante gli ingenti danni e i lutti, la città reagì con coraggio, solidarietà, passione, prodigandosi nella ricostruzione. A poco meno di tre mesi di distanza, come annunciava Il Cittadino del 27 novembre, fervevano i lavori di restauro del Teatro Alfieri, resi più urgenti dall’avvicinarsi della scadenza preannunciata.

Il sindaco Platone non tenne conto di chi lo consigliava di concentrarsi sulla ricostruzione, anziché «perder tempo e spendere risorse» per celebrare l’Alfieri.
Il 7 gennaio 1949, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi (economista piemontese di ispirazione liberale, eletto al Quirinale nel maggio 1948, nato a Carrù nel 1874 e con azienda agricola in quel di Dogliani), già in visita alla città e in altre zone alluvionate il 18 settembre dell’anno precedente, accettò, con una lettera ufficiale al Prefetto di Asti Marconcini, l’incarico di presidente del comitato d’onore per le Celebrazioni Alfieriane.
Tra gli studiosi il momento era atteso da tempo, come ci confermano le parole di
Pietro Cazzani, primo direttore del Centro Nazionale di Studi Alfieriani. Due anni
prima, il 28 giugno del 1947, con un intervento appassionato su Il Cittadino, promuovendo l’avvio della poderosa impresa dell’edizione nazionale delle opere di Alfieri, egli, infatti, si chiedeva: «A che servono le celebrazioni dei centenari dei poeti?», fornendo una risposta al di là di ogni retorica: «Si può ricordare il poeta
con manifestazioni labili, che passano rapidamente; lo si può onorare con opere
durevoli, preparate nel silenzio di lunghi anni di lavoro, che appare ai più, nel suo
svolgersi, sterile perché non appariscente».

Per proseguire: «Perché il Centro Nazionale di Studi Alfieriani non si fa vivo? Questo sarebbe il momento. Stiano tranquilli gli astigiani. Il Centro Alfieriano non ha dimenticato il suo poeta, già da due anni pensa al centenario, anche se la guerra orrenda ha ridotto al minimo la sua attività per qualche anno».

In realtà, come confermavano alcuni attenti osservatori (A. Antonucci, Le Celebrazioni Alfieriane. Einaudi ad Asti domani, “Stampa sera”, 9 aprile 1949), già nel ’47 l’amministrazione comunale aveva indetto una sottoscrizione pubblica per finanziare le Celebrazioni, raccogliendo – a quanto risulta – non più di mezzo milione di lire.

Si stava infatti costituendo un parterre straordinario di ospiti illustri. Con una lettera a Calcaterra del 31 dicembre 1948, Benedetto Croce esprimeva il rammarico per non poter tenere ad Asti, per motivi di salute, il discorso commemorativo in occasione dell’avvio delle Celebrazioni: «potessi! […] celebrerei una festa dentro me stesso,
perché, come Lei sa, ho un grande affetto per la robusta e originale e difficile poesia
alfieriana…».

Il 16 marzo 1949, Il Cittadino dava la notizia dell’avvio delle Celebrazioni dal 9 aprile, con la rappresentazione del Filippo, sottolineando l’arduo compito di mantener fede all’impegno assunto: «La grave sciagura dell’alluvione che si abbatté sulla nostra città lo scorso settembre sembrava aver scritto l’atto di morte delle celebrazioni. Fortunatamente non fu così! […] Sarebbe stato troppo crudele e ingiusto che Asti a causa di un male tanto grave e inatteso non potesse celebrare il suo figlio più degno».

L’evento ottenne vasta eco sui giornali stranieri

 

Nella stessa data, il giornale tracciava un’interessante mappa dell’eco dell’evento all’estero: mappa sorprendente per noi, oggi. A prescindere dalla stampa italiana, si citano infatti il giornale argentino La Prensa, con un paginone centrale illustrato; l’Italia libre di Buenos Aires; Der Tagesspigel di Berlino, il 16 gennaio, con il riferimento ad Alfieri come allo “Schiller italiano”; Le Soir di Bruxelles, il 22 gennaio, oltre a riviste
inglesi e di altri paesi. Costante il rimando alle precedenti Celebrazioni del 1903 per il centenario della morte del Poeta.

Fotografia di scena. Mirra, 1949, regia di Orazio Costa. Flora Carabella, Cecri, e Antonio Crast, Ciniro (Fondazione Centro di Studi Alfieriani)
Fotografia di scena. Mirra, 1949, regia di Orazio Costa. Anna Proclemer, Mirra, e Flora Carabella, Cecri (Fondazione Centro di Studi Alfieriani)

Il 9 aprile 1949 arrivò il presidente Luigi Einaudi

 

Il 9 aprile, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, giunto ad Asti «col direttissimo da Roma delle 8.45», con un completo blu scuro e un cappotto nero, viaggiando «su una carrozza saloncino» accompagnato dalla «gentile signora donna Ida», vestita «in nero con guarnizioni grigie di pelliccia e cappello grigio», dopo essere stato accolto in stazione fra «bandiere e fiori» dalle autorità cittadine (il prefetto Marconcini, il sindaco Platone) al suono della banda del 21° reggimento fanteria, attraversò la città con un’auto scoperta fra gli applausi della folla e, dopo la messa nella cappella privata
della Prefettura, celebrata dal canonico Scarabello, una riunione nel salone dei
ricevimenti sempre della Prefettura – presente anche il vescovo monsignor Rossi – e un breve passaggio in municipio, si recò in teatro, affollato di studenti nel loggione, dove prese posto nel palco d’onore per la manifestazione inaugurale, fedelmente ripercorsa nella cronaca de Il Cittadino del 13 aprile.

Seguì, in teatro, l’orazione ufficiale di apertura delle Celebrazioni da parte del ministro della Pubblica Istruzione Guido Gonella, incentrato sul tema della libertà, lungo una linea ideale da Alfieri a Leopardi, Manzoni, Gioberti, Mazzini. La prima giornata si chiuse a Palazzo Alfieri, raggiunto, come raccontano le cronache, con il corteo di macchine fra due ali di popolo, per l’inaugurazione della mostra alfieriana.

Tra gli ospiti anche i poeti Quasimodo e Montale

 

Le cronache fissano l’immagine di Luigi Einaudi accolto all’ingresso di Palazzo Alfieri da Carlo Calcaterra e Pietro Cazzani, presidente e direttore del Centro Nazionale, e poi, attraverso le stanze della Casa, fra una «folla di studiosi, di scrittori, di parlamentari, di uomini celebri nei campi dell’arte e della scienza», come scrive Il Cittadino, citando tra gli altri «il poeta Quasimodo, il professore Bedarida della Sorbona di Parigi, il critico Ruggi, il poeta Montale, l’onorevole Calosso, il regista Bragaglia».

La Mostra Alfieriana esponeva manoscritti, edizioni rare, cimeli, mobili e arredi nelle stanze del palazzo affidate, dalla sua costituzione nel 1937, al Centro Nazionale di Studi Alfieriani. La Mostra Alfieriana esponeva manoscritti, edizioni rare, cimeli, mobili e arredi nelle stanze del palazzo affidate, dalla sua costituzione nel 1937, al Centro Nazionale di Studi Alfieriani, ed era stata intesa come “biografia documentata”, secondo il programma ufficiale delle Celebrazioni: diciotto facciate fitte, comprensive anche delle informazioni relative alla Fiera del Vino, dal primo al 15 maggio, e delle Noterelle turistiche relative al territorio Astigiano, definito «meno conosciuto di quanto merita», pubblicate dalla Tipografia dell’Arethusa, in via Carducci 40, in città. Percorso il tratto di corso Alfieri «dalla casa del trageda a palazzo Di Bellino», Einaudi si recò infine a inaugurare la Mostra storico-artistica astese, curata dall’Ente Provinciale del Turismo,
presieduto dal dottor Bussa, tramite il professor Vergano per la parte storica, Laretto e Conti per la parte artistica, comprendente opere di Gandolfino da Roreto, Guglielmo Caccia, Bonzanigo, oltre a libri sacri, codici, miniature.

Interno del Museo Alfieriano (fotografia d’epoca, Archivio della Fondazione Centro di Studi Alfieriani)

Con orgoglio, il programma ufficiale delle Celebrazioni sottolineava: «Per la prima volta Asti mostra le glorie della sua vita secolare in una sintesi esauriente e completa».
Le cronache riferiscono della partenza del presidente Einaudi in treno, diretto alla Mostra del tessile a Torino, mentre autorità e invitati si riunivano al ristorante Salera per una colazione offerta dal Comune.

Si spesero circa 10 milioni di lire, sei stanziati da Roma

 

Nel pomeriggio Convegno degli insegnanti delle scuole astigiane, nell’«aula massima della scuola dell’Avviamento professionale di via Giobert» e incontro del ministro Gonella con il provveditore Bologna e i capi dei vari istituti. Alle 17 s’inaugurò la Mostra nazionale d’arte contemporanea, con oltre duecento opere di Morandi, De Pisis, Carrà, Sironi, Casorati, Cremona, Guglielminetti e «fra i giovanissimi», come scriveva Oscar Navarro su L’Unità del 10 aprile, anche gli astigiani Valerio Miroglio e Amelia Platone, nella ex chiesa dell’Annunziata in piazza Catena, sede anche della Mostra di scenografia allestita da Eugenio Guglielminetti, con un centinaio di opere di autori diversi,
fra i quali Prampolini, Ratto, Paolucci, Turcato, Veronesi.

La giuria della mostra d’arte era composta da Marziano Bernardi, Corrado Cagli, Felice Casorati, Albino Galvano, Edoardo Rubino. In particolare, per la mostra di scenografia, erano stati banditi due concorsi, uno per un bozzetto libero e uno per un bozzetto
ispirato al teatro alfieriano, con giuria composta da Felice Casorati, Lorenzo Gigli, Paolo Grassi. Non mancarono, nella programmazione, alcuni interessanti convegni, come quello degli autori, scrittori e critici drammatici, avviato a Casa Alfieri e proseguito a Teatro, «per la discussione di problemi teatrali», nelle giornate di lunedì e martedì. Fra i presenti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Silvio d’Amico, Giuseppe Lanza, Giovanni Titta Rosa. Contributi di Annibale Pastore sul Senso e valore del teatro alfieriano e di Onorato Castellino sugli interpreti alfieriani; di Anton Giulio Bragaglia per il Parere sull’arte comica di Alfieri e di Henry Bedarida sulla Merope.

Altri convegni si tennero nel mese di maggio, apertosi con la Fiera del vino e la Mostra delle attività economiche della Provincia: in particolare, il 5 maggio, il Convegno nazionale degli studenti universitari, organizzato dal Circolo Universitario Astigiano, per onorare il sacrificio degli studenti Luigi Zamboni e Giovanni Battista De Rolandis, bolognese il primo e astigiano il secondo, «caduti per il trionfo del tricolore» nel 1794, precursori del Risorgimento

Oratori ufficiali, il professor Olindo Guerrini, rettore dell’Università di Bologna, e due studenti, il bolognese Guido Rossi e Giuseppe Cirio, astigiano. Il 22 maggio, infine, si svolse il Congresso dei bibliotecari d’Italia, in Casa Alfieri.

L’Alfieri sdoganato dall’ingombrante abbraccio del fascismo

 

L’informato cronista dell’articolo citato su Stampa sera, “Einaudi ad Asti domani”,
fornisce alcuni dati circa i costi delle Celebrazioni, “emanazione” del Centro Nazionale di Studi Alfieriani, finanziate grazie al sostegno di vari soggetti: mezzo milione di lire frutto della sottoscrizione pubblica ricordata, un analogo contributo da parte della Cassa di Risparmio di Asti, sei milioni stanziati dal Governo e due milioni e mezzo dalla Provincia. Poco meno di 10 milioni di lire del tempo equivalenti a circa 200 mila euro di oggi, una cifra sorprendentemente bassa se rapportata ai costi attuali.
Il giornale torinese esprimeva, inoltre, la sua chiave di lettura dell’evento, mettendo
in luce con ironia attualizzante un po’ sbrigativa il destino di strumentalizzazioni toccato al Poeta: «Asti vuol bene all’Alfieri. È suo figlio. Le dà un volto internazionale, ed un volto simpatico, perché assertore della libertà e del coraggio». Il riferimento era alle precedenti Celebrazioni del 1903: «primo centenario della sua morte, quando tutta la città si unì plebiscitariamente per esaltarlo». C’è anche un preciso riferimento al fascismo che «dopo aver osteggiato l’Alfieri, lo prese improvvisamente d’assalto e, ancora un po’, gli avrebbe dato la tessera».
Non va dimenticato che Mussolini firmò nel 1925 e poi anche nel 1939 l’albo d’onore dei visitatori della casa di Alfieri, durante le sue visite ad Asti. Secondo il giornale, non mancarono successivamente occasioni in cui Alfieri «diventò comunista». Per concludere: «Non risulta che sia diventato democristiano, ma è probabile che i democristiani non lo amino troppo, almeno come bandiera».
Le Celebrazioni furono occasione per la messa in scena di tragedie alfieriane. Il Cittadino di sabato 9 aprile, esponendo il calendario delle manifestazioni comprese
fra il 9 aprile e il 29 maggio, elencava tre spettacoli teatrali con la regia di Orazio Costa, al Teatro Alfieri: Filippo, il giorno dell’avvio delle Celebrazioni, con la Compagnia del Piccolo Teatro della città di Milano, repliche domenica 10 e lunedì 11 aprile, ore 21.15; Oreste, martedì 3 maggio, con la Compagnia del Piccolo Teatro della città di Roma, replica il giorno successivo; Mirra, stessa compagnia, sabato 7 maggio, replica il giorno 8.
Le cronache informano che tra il pubblico, così numeroso per il Filippo da avere il teatro gremito, c’era anche il sindaco di Milano Greppi, accompagnato da assessori e consiglieri, «portatore di un dono della città di Milano alla città di Asti: una pietra marmorea, di cui è costruito il Duomo di Milano», affinché venisse «murata sul palcoscenico del teatro».
I giornali diedero ampia eco al successo delle Celebrazioni. Così, in un articolo del
10 aprile su Il Popolo di Milano, senza firma, si legge: «Questa sera Asti non sembra più un grande centro agricolo ma una metropoli, tanto è intenso il traffico di macchine lussuose e affollati gli alberghi e i bar di forestieri venuti da ogni parte d’Italia, dalla Svizzera, dalla Francia e dalla Gran Bretagna, gente che conosce e ama l’Alfieri e che visitandone la città natale vuol rendere omaggio al grande trageda precursore del Risorgimento».
L’allestimento di Filippo, in particolare, segnò l’inaugurazione del teatro rinnovato: «Dopo tre mesi di lavori per restauri, questa sera, splendente di luci, stucchi e dorature, con sapienti innovazioni nella sala e accorgimenti tecnici sul palcoscenico,
si è riaperto il Teatro Alfieri […] Pubblico molto elegante di scrittori e giornalisti e
numerosi onorevoli. Tra gli stranieri in un palco a sinistra figuravano personalità francesi provenienti da Montpellier, città che conserva ancora numerosi manoscritti e parte della biblioteca di Vittorio Alfieri».
Anche su Il Tempo di Milano del 10 aprile venivano citati, fra il pubblico, «Eugenio
Montale, l’editore Valentino Bompiani, il soprano Margherita Carosio, comitive di svizzeri e un gruppo di francesi di Montpellier».
Il 12 aprile, sulle pagine de Il Tempo di Roma, Silvio d’Amico esprimeva una iniziale perplessità: «Strano paese il nostro dove, interrompendosi dopo decenni l’oblio pressoché totale della tragedia alfieriana, tutt’a un tratto i registi per mettere in scena
due tragedie del poeta scelgono lo stesso giorno e la stessa ora, a Roma e ad Asti, come se noi spettatori s’avesse il dono dell’ubiquità», alludendo al contemporaneo
allestimento dell’Oreste, con regia di Luchino Visconti, al Teatro Quirino di Roma, con Vittorio Gassman nella parte del protagonista.
Il famoso critico esprimeva un giudizio positivo sulla capacità di Orazio Costa di condurre in modo del tutto originale la dizione del verso, «con un’accentuazione parca, delicata, non di rado sussurrata»; sulle scenografie di Gianni Ratto, «sfondi d’una Spagna di torva maestà» e sui costumi di Ebe Colciaghi (al contrario bocciati, come quelli della successiva Mirra, sulle pagine de Il Cittadino del 1 maggio), per la loro «predominante cupezza»; sull’interpretazione degli attori, da Gianni Santuccio, Filippo, lontano dal «tiranno convenzionale: truce sì, ma esangue e combattuto» a Lilla Brignone, Isabella, «incantevole, per candida innocenza e per grazia regale»; da Giorgio De Lullo, Carlo, «romanticamente baldo e puro» al Battistella, interprete di «un mefistofelico Gomez». Per concludere: «Il successo dello spettacolo, replicato in tre giorni quattro volte (e da domani trasportato a Milano) è stato grandissimo, tra gli intellettuali come tra la folla». Non senza ironia, Federico Doglio, su Democrazia del 24 aprile, concludeva il suo resoconto, Palcoscenico batte ridotto, annunciando come, lieti per il successo, gli astigiani stessero già preparandosi «per il prossimo maggio».
Se, per Oreste e Mirra, il programma ufficiale metteva a disposizione degli spettatori-lettori il Parere composto da Alfieri, per Filippo era il regista a offrire una breve nota illustrativa, trattandosi non solo di regia, ma anche di “riduzione” del testo alfieriano da cinque a quattro atti in sei quadri, con un’operazione complessa, per uno spettacolo definito da Lorenzo Gigli, su La Gazzetta del popolo di Torino del 10 aprile, di «alto livello», coraggioso per la scelta di un «tono intimista, sospeso, sussurrato, pieno di lunghi silenzi, di azioni mute», tale da «condurre le parole ad essere udite come moderne, anzi come attuali, come significative, nella loro apparente colloquialità, indipendente dal verso».
Al Filippo fecero seguito, come si è detto, altri due allestimenti, Oreste, martedì 3 maggio, con la Compagnia del Piccolo Teatro della città di Roma e, in conclusione, Mirra, portata in scena dalla stessa Compagnia, sabato 7 maggio, entrambe replicate il giorno successivo.
 
In quei giorni, salirono sul palcoscenico, per recitare Alfieri, i nomi più grandi del
teatro italiano. Su Stampa sera di venerdì 24 dicembre 1948, Silvio d’Amico aveva preannunciato l’Oreste di Luchino Visconti, il «più spregiudicato dei nostri registi», presentato a Roma il 9 aprile, con Vittorio Gassman, nella parte del protagonista; Ruggero Ruggeri, Egisto; Marcello Mastroianni, Pilade; Paola Borboni, Clitennestra; Rina Morelli, Elettra. L’Oreste proposto da Orazio Costa, a conferma del “ritorno di fiamma” dovuto alle Celebrazioni, vedeva in scena Antonio Crast, Oreste; Tino Buazzelli, Egisto; Giancarlo Sbragia, Pilade; Elena Da Venezia, Clitennestra; Rossella Falk, Elettra. Dobbiamo ricordare tuttavia che, nonostante l’ingente investimento
economico, l’allestimento di Visconti ottenne uno scarso successo e non mancarono critiche anche agli spettacoli astigiani, se è vero che il 19 maggio, su Oggi, la “Cronaca teatrale di Mosca” relativa alla Mirra, usciva con il titolo Vittorio Alfieri salvato in extremis e affermava: «Lo spettacolo è stato presentato ad Asti a conclusione delle celebrazioni alfieriane, e dobbiamo dire che se proprio non le ha riscattate, le ha salvate. Dopo lo strano Oreste di Luchino Visconti, ed il penoso Filippo di Orazio Costa, lo stesso Costa, cui le severe critiche hanno giovato, ci ha dato una Mirra rispettosa dell’endecasillabo. Non la recitazione scoppiettante ed alogica di Gianni Santuccio, ma quella piana e rispettosa dei legamenti sintattici di Anna Proclemer che ha reso con drammatica semplicità l’intima tragedia della non già peccaminosa, ma atterrita Mirra».

Un cronista d’eccezione, Eugenio Montale

Con la Proclemer-Mirra, Costa aveva posto in scena Antonio Crast, Ciniro; Flora
Carabella, Cecri; Giancarlo Sbragia, Pereo; Ave Ninchi, Euriclea.
Possiamo affidare la sintesi di queste giornate a un testimone d’eccezione più volte citato, che pubblicò il 15 aprile 1949, su Il Corriere della Sera, un articolo dal titolo Le Celebrazioni dell’Alfieri. Tornano ad Asti come a una Canossa. Era Eugenio Montale a esprimere un giudizio che teneva conto della programmazione complessiva di mostre, convegni, teatro: «Le celebrazioni alfieriane continuano, come ho detto. Asti, che giustamente si considera come uno dei maggiori semenzai (vulgo pépinières) di quello spirito risorgimentale che tanto deve all’Alfieri, si è fatta in quattro per render facile il soggiorno ai congressisti e ai numerosi invitati; e si può dire che c’è riuscita. Certo non era facile accostare questi due poli, post-cubismo e tragedia alfieriana, senza provocare uno choc. Il giorno che simili salti di trapezio saranno possibili senza urti e scosse, tutto l’insieme della vita intellettuale italiana ne risentirà un beneficio e si sarà formato anche da noi quel clima temperato, umano, veramente sociale che oggi, e non solo nel campo del teatro, dobbiamo invidiare ad altri Paesi».

 

 

 

 

 

 

 

L'AUTRICE DELL'ARTICOLO

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Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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