giovedì 31 Ottobre, 2024
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Nel Monferrato i muri sono quelli del tambass

Si gioca nelle piazze dei paesi trasformate in sferisteri. Storia e campioni

Con nove squadre in lizza, ha preso il via dal 20 marzo la 41esima edizione del campionato di serie A di tamburello a muro. È lo sport per eccellenza della tradizione monferrina, detto “tambass” per distinguerlo dal “tamburello,” che indica il gioco in campo libero. Spinti da un forte campanilismo, con la voglia di divertirsi e di primeggiare, ben sapendo che gli sport che danno fama e visibilità mediatiche sono altri, sono schierati i quintetti dello stellato Grazzano di capitan Vittorio Fracchia che ha avuto un inizio un po’ incerto giusto per ribadire che quattro scudetti filati non sono la garanzia di un quinto (roba da Juve). Il Grazzano ha come avversari per la finalissima del 31 luglio a Vignale il resto di un agguerrito plotoncino dove sono allineati il Moncalvo di Alessio Monzeglio, il Portacomaro di Fabrizio Artuffo, il Montemagno di Sandro Appiano, l’Ovada capitanato da Attilio Macciò e nelle rosa un Marco e uno Stefano di cognome Frascara, altro mito degli Anni ’50 ‘60 del secolo scorso, che di nome faceva Giuseppe ed era l’unico giocatore italiano che in battuta usava il tamburello al posto della “paletta”, attrezzo a quei tempi ritenuto indispensabile per avere un maggior effetto leva. Spicca tra i partecipanti al campionato a muro l’insolita dualità di Montechiaro, presente con due squadre: quella della Pro loco di Davide Tirone e quella del Rilate Montechiaro con sede ad Asti, ma campo di gioco la piazza del mercato del paese, guidata in campo da Stefano Panzini e diretta da un presidente come Beppe Bonanate, munciarin purosangue che abbandonò lo sferisterio di casa del divenire ai tempi di Aldo Marello uno dei più acclamati giocatori italiani al libero. Tra i contendenti del torneo seguono il Tonco di Matteo Gaggiano e il Vignale, quintetto diretto in campo da Guglielmo Ulla e presieduto da una giovane signora, Annalisa Arzani a conferma che il muro non è solo “roba da uomini”. 

Il muro di Castell’Alfero. Il campo di Moncalvo è ricavato ai piedi dei bastioni del castello dei Gonzaga.

Nove squadre in serie A e ci sono anche i tornei allargati di serie B, C e D

 

Il campionato del “muro” dal 2001 schiera anche una serie B con 7 quintetti: due di Vignale, uno a Portacomaro, Montechiaro, Tonco e due particolari squadre, Calliano e Castell’Alfero, sodalizi di vecchia data, ma che in questo momento per motivi organizzativi preferiscono la serie cadetta in attesa di una auspicabile risalita. In B, ma fuori dal perimetro monferrino, milita anche il Bagnocavallo, che agevolato dal non dover effettuare trasferte dal Ravennate all’Astigiano, accede direttamente ai quarti di finale. Su tre altri campi storici del Centro Italia si destreggiano in serie C, assieme ad un drappello di quintetti nostrani, giocatori di Firenze (il solo sferisterio italiano in erba sintetica), Faenza (Ravenna) e Mondolfo nel Pesarese, terra storica del pallone a bracciale grosso, che si fronteggiano a casa loro per poi vedersela in finale con la vincente del girone piemontese. C’è pure una serie D che grosso modo ricalca geograficamente le serie C. Come si è visto il panorama di questo sport è vasto e variegato con un protagonista che lo rende speciale: il muro. Una parola che da Berlino in avanti è simbolo di divisione e oggi sta “tornando di moda” in tutt’Europa e nelle zone dove prevale l’insicurezza e la divisione. Nel Monferrato del tambass il muro è un segno di identità oltre che essere parte integrante del gioco: presente in campo, delimita uno dei lati lunghi del rettangolo dello sferisterio. Si tratta di muraglioni più o meno regolari. I muri monferrini sono sovente i bastioni di antiche mura, ancora in mattoni crudi, a volte intonacati, qualcuno in cemento armato. Il tambass è tecnicamente un gioco sferistico disputato in campi delimitati da un muro, o da altra struttura di appoggio, con palla colpita con il tamburello alternativamente da giocatori di squadre opposte; si disputa sulla distanza dei 19 giochi, ciascuno da conquistare con il sistema di punti tipo quelli del tennis :”15”-“30”-“40” e ” gioco”. In senso storico il tambass è un adattamento di antichi giochi che risalgono al Rinascimento con la nascita e l’evolversi di quello che sino al termine dell’Ottocento era tra gli sport nazionali per eccellenza, giocato da ricchi e poveri: il pallone a bracciale. Diversi gli attrezzi e il sistema di assegnazione dei punti (le cacce sono prerogative del pallone a bracciale e di quello a pugno). Il tambass non è che una delle 150 specialità dei giochi sferistici, a loro volta suddivisi in quattro grandi famiglie: pallone a bracciale, palla a pugno, tamburello e pelota, la quale soltanto nella versione basca (quella a noi più conosciuta) conta 34 versioni. I giocatori, famosi e non, che hanno animato questo mondo dall’inizio del secolo scorso sono un migliaio e l’elenco aggiornato ad una trentina di anni fa dal maggior storico degli sport sferistici del Novecento, il prof. Remo Gianuzzi, di Castagnole Lanze, “100 anni di pallone elastico- storia del pallone e del tamburello” ne elenca oltre 700 tra pallone elastico, tamburello, bracciale toscano, bracciale piemontese e tambourin francese, dedicando particolari profili a quelli più noti anche se manca Emilio Medesani, che oggi ha 59 anni, ed è stato il più forte mezzovolo a muro dell’ultimo trentennio. Una riga invece il prof. Gianuzzi (al quale è stato dedicato il nuovo sferisterio di Castagnole Lanze) la pubblica per Gianni Gambaruto, di Portacomaro, classe 1937, dal profilo di bohèmien che badava più all’amicizia che ai soldi. Annoverato tra i più grandi, se non il miglior battitore di ogni tempo con Armando Pentore di Castell’Alfero e il suo compaesano Celestino Ponzone, Gambaruto, oltre ad essere in grado di scagliare la palla a 130 metri con l’attrezzo di un tempo, misura straordinaria e mai più emulata, sfoderava colpi di prestigio: uno raro, l’altro unico. Il primo era la battuta bassa e tagliente che superava i terzini costringendo il mezzovolo a faticosi e inutili spostamenti. L’altro consisteva nel battere, nelle giornate di sole, al limite estremo del campo (allora 90-100 metri) una palla altissima, che sembrava perdersi nel cielo per poi cadere a piombo su abbagliati ricacciatori. Classificare i giocatori è impresa scomoda e quasi sempre imprecisa. Lo ha ricordato sul n°11 “Astigiani” del marzo 2015 Paolo Monticone, che ha ripercorso le tappe fondamentali delle nascite Torneo a muro del Monferrato. Nell’ultimo mezzo secolo alcuni eventi hanno differenziato il tambass dagli altri sport sferistici: il passaggio, non senza polemiche, dalle quadrette ai quintetti, l’abolizione della battuta a muro e il tamburello di nuovo tipo, plastificato. Le formazioni a quattro giocatori svanirono nell’arco di un ventennio, a partire dal 1955, quando al Federazione nazionale aveva una struttura molto semplice, dopolavoristica, gestita dal generale Olmetti e faceva capo all’Enal. Il quintetto si impose subito sui campi liberi lombardo-veneti-trentini, mentre in Piemonte, sia a libero che a muro, dovrà aspettare I’avvio, nel 1976, del 1° Torneo del Monferrato, quello misto libero-muro che durerà 4 anni e da cui nascerà il campionato a muro, fortemente voluto da personaggi come Adriano Fracchia da Grazzano. Il terzo fattore rivoluzionario avvenne nei primi anni ’60 con la comparse dei tamburelli non più in pelle di capra e poi di cavallo, ma di materiale plastica elastico, più efficienti e molto meno costosi. Un tamburello base oggi costa 12 euro, in pelle di cavallo almeno dieci volte tanto. 

1977, la piazza di Grazzano si ferma per il passaggio di una mietitrebbia. Tutte le foto di questo servizio sono di Giuseppe Prosio, tratte dal volume scritto con Carlo Cerrato “Campioni di collina” (Daniela Piazza Editore)

Si passò da 4 a 5 giocatori e lo scisma del 1985 rientrato dopo 11 anni

 

Va citato un curioso e duro scisma, il secondo della storia dopo quello del 1927 che sancì la nascita della Fipt da una costola della fascistissima Fngp (Federazione nazionale ginnastica italiana). Tutto ebbe inizio nel congresso federale di Rimini del 1985 per il rinnovo della dirigenza Fipt, guidata dal professore mantovano Emilio Crosato e dal suo vice, l’avvocato Giorgio Todeschini di Asti. Nei loro entourages qualche divergenza doveva esistete da tempo se all’apertura delle urne la mozione Crosato passò non tanto agevolmente e il gruppo Todeschini votò contro, dimettendosi dalla Federazione. Con Todeschini, l’altro uomo forte era l’ingegnere veronese Luigi Guadagnini, che un anno dopo, nel 1986 diverrà presidente di una secondo organismo federale, la Figt (Federazione italiana gioco tamburello) che fece subito  concorrenza alla federazione madre soffiandole poco meno del 45% delle società: tutta l’area bergamasca, il Salvi di Verona allora il primo quintetto d’Italia, ma un solo grande giocatore, Aldo Cerot Marello. Il Piemonte, muro compreso, rimase con Crosato e la federazione scismatica durò 11 anni. Come in ogni scisma che si rispetti la disputa, oltre qualche incompatibilità caratteriale tra le due fazioni, era tutta “teologica”. Crosato sosteneva che il tamburello italiano dovesse uscire dal guscio prima allargandosi a livello nazionale e poi guardare oltre i confini patrii per giungere alla meta agognata del riconoscimento olimpico. Todeschini era convinto che i 100 milioni che al tempo il Coni versava al tamburello, nel frattempo accasatosi sotto il cappello della Federazione del tennis, andassero investiti solo nelle zone storiche del Centro Nord non senza qualche puntata al Sud. L’avvocato astigiano e i suoi sostenitori miravano a potenziare le nicchie in cui il tamburello era nato e cresciuto, salvandolo dal declino e dalle ambizioni ritenute irrealizzabili causa la territorialità non espandibile e la dinamica di gioco poco televisiva. La culla del tambass e dei suoi progenitori è lo sferisterio, dal greco ‘sfairistérion’, spazio del ginnasio e anche delle terme e delle ville lussuose dove si insegnava il gioco della palla per educare il corpo all’agilità e alla grazia. Dei cinque grandi sferisteri storici (Via Napione a Torino, le Cascine a Firenze, Via Irnerio a Bologna, il Barberini di Roma e il più maestoso di tutti quello di Macerata) è sopravvissuto al mutare dei tempi soltanto l’ultimo, anche se il pallone a bracciale ha lasciato il posto alla lirica. Di rilevo ne restano una decina, in centri minori italiani, intendendo degni di note particolari solo quelli che hanno conservato la terra battuta. 

Il campo di Moncalvo è ricavato ai piedi dei bastioni del castello dei Gonzaga. La torre fa parte del terreno di gioco

Gli storici muri di Castell’Alfero, Moncalvo e Vignale

 

Nel tamburello a muro piemontese, la struttura architettonica classica è conservata solo in tre: Castell’Alfero, Moncalvo e Vignale. Grosso modo sono utilizzati con le stesse misure (80 metri x 17 in larghezza e 10-12 metri in altezza del muro), ma con caratteristiche molto diverse.  Quello di Castell’ Alfero detto la “bombonera” per il suo muro ovoidale è il solo ad ergersi per tutta l’altezza in calcestruzzo. La sua accentuata curvatura che imprime un’ampia e varia angolatura alla palla a seconda da quale spicchio di muro cada in campo, amplifica quel classico “fattore campo,” che di solito mette in difficoltà gli ospiti. Solo Mara riusciva a fare perdere qualche partita ai campioni di casa Franco Calosso e Armando Pentorei.  Moncalvo è uno sferisterio da sempre unico in Italia per il suo doppio appoggio: muro destrorso e ciascuna delle parti del campo delimitata a sinistra dalle torri del Castello Gonzaga, da cui venne ricavato nel 1878. Anche qui il fattore campo è al massimo livello. Particolare poco noto è che questo impianto ha un gemello quasi speculare proprio a Recanati: linea aperta a sinistra e due torri destrorse. Il campo “Cesare Porro” di Vignale porta il nome del segretario comunale che ne rifini la struttura su una base edificata 110 anni fa. Per la sua straordinaria linearità, abbellita sul lato esterno da una fila di ippocastani che in estate regala un prezioso ristoro, è ritenuto il miglior sferisterio italiano, sede storica delle finali del torneo a muro quando le tribune arrivano a stipare oltre un migliaio di spettatori. Gli appassionati della palla a pugno lo paragonano al Mermet di Alba. 

Montemagno, si gioca anche sotto la pioggia

A Grazzano le partite sono ancora interrotte dal passaggio della corriera

 

Peccato che l’asfalto abbia rovinato due impianti molto belli come le piazze con storici muri d’appoggio di Portacomaro e di Montechiaro, questo tra i più ostici per il portone sul muro lato ricaccio che sovente impedisce di colpire la palla. Non ha caratteristiche particolari lo sferisterio di piazza Cotti a Grazzano Badoglio, se non quella che ancora oggi si sospende la partita per lasciar passare la mietitrebbia o la corriera. Ogni sferisterio è bello a modo suo, ha caratteristiche non ripetibili altrove e può fregiarsi dell’affermazione di Benedetto Croce “Ogni luogo è uno stato d’animo”. 

 

ALBO D’ORO

 

1976, 1977 Grazzano 

1978, 1979 Portacomaro

1980, 1981, 1982, 1983 Grana 

1984 Vignale 

1985, 1986, 1987 Grazzano 

1988 Moncalvo 

1989 Montemagno 

1990 Moncalvo 

1991 Montemagno 

1992, 1993 Vignale 

1994 Castell’Alfero 

1995, 1996 Montemagno 

1997 Moncalvo 

1998 Castell’Alfero 

1999 Portacomaro 

2000 Montemagno 

2001 Grazzano 

2002 2003 Vignale 

2004 Montechiaro 

2005, 2006 Castell’Alfero

2007 2008 2009 Tonco 

2010 Moncalvo 

2011 Portacomaro 

2012, 2013, 2014 2015 Grazzano

 

 

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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