Al museo del “Tambass” a Rocca d’Arazzo tra i pannelli che rievocano la storia di questo straordinario sport si legge un testo del giornalista moncalvese Beppe Prosio che ha questo incipit: «Seduti ad un tavolino del Bar Roma in piazza del Teatro a Moncalvo, in un nevoso giovedì mattina del dicembre 1964» si ritrovarono tre personaggi che avrebbero fatto la storia contemporanea del tamburello piemontese. Diversi per età, professione e provenienza sociale, erano però uniti da un’identica, fortissima, passione per il tamburello (o tambass nella comune accezione dialettale).
Chi erano quei tre? Oscar Bonasso, originario di Murisengo, faceva il dentista a Torino, Adriano Fracchia il produttore di vino a Grazzano Badoglio e Giuseppe “Pinot” Ferrero si dava al bel tempo a Cocconato e dintorni da quel giovane e spensierato giocatore che era. Questa è solo una delle tante versioni circolate negli anni di quegli ormai lontani avvenimenti, tant’è vero che una testimonianza dello stesso Pinot non vedrebbe Fracchia tra i protagonisti della vicenda, spostando la data del primo incontro all’ottobre dello stesso 1964. Verosimile è che le due versioni non siano tra loro in contrasto e riferiscano semplicemente di due episodi diversi e conseguenti. Sta di fatto che a quell’incontro si deve far risalire il primo atto della rinascita del tamburello piemontese dopo lunghi anni, addirittura una quarantina, di sostanziale assenza dall’attività nazionale di vertice, con la sola eccezione del titolo italiano conquistato dalla squadra sponsorizzata Fiat nel 1960. Dunque, mese più mese meno, è trascorso da quei giorni mezzo secolo, cinquant’anni in cui il tamburello si è accreditato a pieno diritto, pur tra molti alti e alcuni bassi, come sport di un territorio che possiamo identificare, con un po’ di approssimazione, nel “grande Monferrato”, da Casale a Ovada, passando per l’Astigiana e l’Alessandrino. Sono confini di diffusione variabili e lambiscono le terre del pallone elastico, altro gioco sferistico che ha invece la sua pratica diffusione nell’Albese, nella Langa anche astigiana e supera gli Appennini arrivando fino all’Imperiese. In questi cinquant’anni il tamburello monferrino ha suscitato grandi entusiasmi popolari, espresso alcuni straordinari campioni, conquistato sul campo un incredibile numero di titoli italiani assoluti e giovanili, maschili e femminili, Coppe Italia, Coppe Europa e via andare. È stato, sia pure a fasi alterne, un fenomeno sociale ed economico di prima grandezza. Per dirla un po’ provocatoriamente, è stato anche il modo con cui le piazze campagnole, in cui da sempre sono nati i campioni ed è prosperata la pratica agonistica, si sono prese qualche importante rivincita sulle città degli stadi, delle palestre e delle piste.
Accadde infatti ciò che quei tre signori di Moncalvo — a cui si aggiunsero settimana dopo settimana altri appassionati, giocatori, dirigenti, incalliti frequentatori di sferisteri e scommesse — forse neppure immaginavano, sia pur nella più rosea delle ipotesi: l’esplosione di una travolgente passione che, dopo un ridotto torneo semiclandestino a sei squadre nel 1965 (vinto dal Gabiano-Cerrina), diventò fenomeno già nel 1966. Quell’anno le squadre partecipanti furono tredici e la finalissima di Murisengo, tra la formazione di casa, che risultò vincente, e il Portacomaro, si giocò davanti a oltre tremila spettatori. Quella partita resta un evento: la palla d’inizio l’aveva giocata Giovanni Conrotto, un grandissimo del passato, considerato ancora oggi il primatista della “volata” con una battuta di 147 metri. Il torneo dimostrò quanto fosse stata fino a quel momento sopita, ma non dimenticata la “voglia” di tamburello del Monferrato. La rinascita del tambass cambiò l’assetto socio-sportivo di un intero territorio. Una scossa, tanto più sorprendente se si pensa che per i primi tre anni di “ripresa”, tutto si svolse in totale autonomia organizzativa, sotto il nome di “Torneo del Monferrato”, con partite giocate indifferentemente su campi “liberi” e a muro, completamente al di fuori dagli ambiti federali che sarebbero stati integrati solo a partire dal 1968.
Nel giro di pochi mesi ogni paese sentì la necessità di avere una sua squadra, un suo campo di gioco, spesso ricavato sulla piazza principale ai piedi dei bastioni, con i propri campioni, una bandiera da opporre a quella delle “piazze” vicine. Un positivo campanilismo che ogni domenica svuotava, letteralmente, i paesi le cui squadre giocavano in trasferta. Quasi una febbre che affollò la scena di squadre e squadrette destinate a scomparire nel giro di pochi anni, ma che produsse anche una sensibile crescita qualitativa del gioco. L’attenzione degli sponsor fece tornare a casa i campioni monferrini dispersi in varie parti d’Italia e arrivarono da Veneto e Lombardia i “forestieri” che avevano avuto come apripista, dieci anni prima, il fuoriclasse Marino “Mara” Marzocchi, ancora oggi considerato da molti il più forte di ogni tempo. Proprio in quegli anni, nelle file del mitico Castell’Alfero di patron Sandro Vigna, si rivelavano l’immensa classe e il genio balistico di Aldo “Cerot” Marello che avrebbe aperto la strada ad altri bravissimi giocatori nostrani come, per citarne solo alcuni, Franco Capusso, Beppe Bonanate, Renzo Artuffo e, in tempi più recenti, al cosiddetto clan dei chiusanesi con indimenticabili protagonisti come Riccardo Dellavalle e Andrea Petroselli, ma anche il “trifulau” Dario Pastrone e il genio di panchina Giorgio Valle.
La grande fiammata era inevitabilmente destinata, dopo il ballo di una sola estate del Viarigi che aveva messo, accanto ai due numeri uno dell’epoca, Aldo Marello e Renzo Tommasi, i bravissimi fratelli Basso e Luciano Policante, a normalizzarsi, con campi accorciati, stop ai giochi sotto i bastioni, costi crescenti. Così fu, ma quel fuoco acceso a Moncalvo non era destinato a spegnersi. Nel 1976 sarebbe nato il Torneo del Monferrato a muro, spettacolare e di tradizione, che quest’anno compie i 40 anni. Un gioco radicato e unico dove il muro di mattoni, cemento o pietre diventa determinante con i suoi anfratti, i bordi, le sporgenze che trasformano ogni piazza in un campo unico, dove il fattore casalingo è molto importante. Partite caldissime, magari interrotte dal passaggio della corriera, con un tifo che sa di campanile e di sano agonismo. I due modi di giocare a tamburello, “libero” e a “muro”, da allora convivono.
Nel 1979 nel “libero” lo scudetto sarebbe andato alla storica piazza di Ovada. I primi Anni ’80 avrebbero visto la “rivoluzionaria” nascita del tamburello femminile e infine, per tornare ai maschi, sarebbe cominciato, all’inizio degli Anni ’90, un lunghissimo periodo di predominio monferrino con la lunga epopea, di marca astigiana in terra alessandrina, del Castelferro.
Subito dopo la straordinaria avventura del Callianetto – undici titoli italiani in dodici anni – finita, non senza eredi di qualità e quantità, proprio alla vigilia del cinquantenario della rinascita. Cento di questi giorni, tambass.
Torneo a muro e campo libero. Un ricco palmarès
Garetto, Aldo e Franco Calosso, Pentore, Uva, Quilico, Pinot e Sandro Ferrero, Besso, Cussotto, Sibona, Cassullo, Medesani, Carlin Verrua. Troppo lungo sarebbe elencarli tutti e si finirebbe per dimenticarne troppi. Per spiegare il fenomeno tamburello in Monferrato bastano i risultati ottenuti in mezzo secolo. Nel massimo campionato maschile, i titoli “piemontesi” sono 24 su 47 tornei disputati (dal 1968, anno del rientro nella Fipt) fino a oggi. Li hanno conquistati, nell’ordine, il Murisengo (’69 e ’73), il Castell’Alfero (’70 e ’72), il Viarigi (’74), l’Ovada (’79), il Castelferro (dal ’92 al ’97 e nel 2000), il Callianetto (ininterrottamente dal 2002 al 2011 e poi nel 2013). Ancora più entusiasmante il palmarès della Coppa Italia (21 affermazioni su 28 disputate), sia pur con due sole squadre vincenti: il Castelferro, con undici Coppe tra il 1987 e il 2000, e il Callianetto, con dieci tra il 2003 e il 2013. Undici sono invece i titoli italiani femminili “piemontesi”: due dell’Asti 93 San Martino San Rocco, uno del Castello Cortanze, tre del Chiusano, uno del Chiusano-Callianetto, tre del Callianetto, uno del Settime-Callianetto e uno dell’Alegra Settime. Infine il Torneo del Monferrato a Muro che compie quarant’anni nel 2015. Qui domina il Grazzano Badoglio con 9 titoli in trentanove edizioni, seguito da Vignale e Montemagno con 5, Portacomaro, Grana, Moncalvo e Castell’Alfero 4, Tonco 3, Montechiaro 1.