giovedì 21 Novembre, 2024
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Il trovarobe

Tra porte-enfant culle, ciripà e borotalco

Per il benessere dei neonati e il sonno loro e dei genitori

Tra poco entreremo nei giorni della Natività e l’immagine classica dei presepi vede Gesù bambino adagiato sulla paglia tra Giuseppe, Maria, il bue e l’asinello. Ci sono interpretazioni che aggiungono un lettino di legno, forse per ricordare che in famiglia c’era un falegname.

In ogni caso le esigenze dei neonati rimangono le stesse da che mondo è mondo: un nido confortevole e possibilmente dondolante. Lo strumento ideale per il sonno è da sempre rappresentato dalla culla. Secondo le ricerche archeologiche ogni civiltà ha sviluppato modi e usanze di accudire i piccoli. La Bibbia narra del mitico ritrovamento di Mosé sulle acque del Nilo adagiato in una cesta di giunchi galleggianti. Anche i greci costruivano culle a forma di piccole barche che appendevano ai rami o alle travi delle case e si deve ai romani l’uso delle prime culle trasportabili, antesignane delle moderne carrozzine.

Il trasporto dei bimbi varia da civiltà a civiltà. Ancora oggi in Asia, Africa e Sud America ci sono popolazioni che mantengono forme di imbragatura dei neonati sulla schiena delle madri che consentono alle donne di avere le mani libere.

Nelle civiltà rurali delle nostre colline, fin dai tempi più antichi la culla era costruita con materiali come il legno e il vimini: le ceste, usate un paio di anni venivano poi passate alle nuove nascite. Ancora oggi ci può capitare di scorgerne su qualche mercatino dell’antiquariato.

Quando i bambini crescevano i lettini avevano le pajasse imbottite di crini di cavallo, paglia o foglie morbide recuperate dopo la sfogliatura del granoturco.

Oggi per le culle e ancora più per carrozzine e passeggini domina la tecnologia e i genitori si trovano di fronte a decine di soluzioni. È stato rielaborato anche un oggetto che era sempre presente nelle case dei neonati.

Il porte-enfant, in francese «porta-bambino».

Ecco la definizione della Treccani: “Una specie di sacchetto, di tela, picché, seta ecc., con la parte posteriore leggermente imbottita in funzione di materassino e quella anteriore più corta, spesso decorato con ricami e guarnizioni, usato per introdurvi il neonato e portarlo agevolmente fuori, oggi sostituito dalla carrozzina o dalla culla da viaggio, ma ancora in uso nella cerimonia del battesimo”.

L’uso del porte-enfant era strettamente collegato alla fasciatura piuttosto stretta che fino agli Anni Trenta e oltre veniva consigliata e spesso imposta alle mamme per – si diceva – il benessere e la futura crescita dei nascituri.

Le fasce erano di lino o cotone e di fatto avvolgevano il neonato o la neonata come una piccola mummia con le sole braccine libere. A contatto della pelle andava una pezza di cotone detta ciripà nome che deriva da un perizoma usato da una tribù indios. Naturalmente andavano lavati e si vedevano stesi ai fili del bucato delle case dove c’era stata una nascita. Poi sono arrivati i pannolini usa e getta e anche le fasce e i ciripà sono stari abbandonati.

È rimasto di quei tempi e di quella ritualità un altro prodotto: il boro-talco, una polvere brevettata da un farmacista di Firenze di origine inglese: mister Roberts.

Il prodotto agli inizi del Novecento era considerato un lusso non solo per neonati. Sulla scatola guarda caso c’era l’immagine di una  austera  bambinaia in divisa impegnata a “spolverare” un infante allegro e pasciuto.

 

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