Le “Cronache astigiane” di Enrico Chiaves percorrono numerosi secoli di storia, con levità e consapevolezza: soprattutto quella, enunciata dall’Autore nella prefazione, per cui: «in ogni paesino delle colline astigiane può essere successo quanto qui è narrato». I quattro racconti sono ambientati, rispettivamente, nel ’300, nel ’600, nell’800 e nel ’900: secoli emblematici e tra loro diversissimi, ma accomunati dal gusto per la narrazione che non è mai solo memoria lontana, ma è raccontata quasi sempre utilizzando il tempo indicativo presente, come appunto si conviene a una “cronaca”.
L’ultimo racconto contiene alcune riflessioni che permettono di chiarire l’intero significato del libro, che consiste nella ricostruzione minuta della storia narrata attraverso singole vicende apparentemente marginali che permettono di farla rivivere, per illuminare «un po’ di più le strade percorse da noi e anche, perché no, quelle che dobbiamo percorrere noi stessi». Se è indubbio che la Storia sia autoevidente, sono poi le micro-storie a offrire il significato complessivo: anche quando sembrano inventate, come quando alla fine della seconda guerra mondiale un soldato disertore smette i panni dell’esercito e veste quelli rubati a uno spaventapasseri, percorrendo a piedi la distanza, ancora oggi ragguardevole, tra Bologna e Asti, fuggendo da quella «fottuta robaccia schifosa che è la guerra». L’impressione che ne deriva è quella di una vicinanza – quasi una familiarità – tutta umana con la Storia, vissuta come un racconto complesso e collettivo. Non a caso, il libro è dedicato a un grande storico astigiano, perfettamente riconoscibile nell’affettuoso anagramma riportato in epigrafe: «Alla memoria del “noto bardo René”».
Enrico Chiaves, Di campi e di castelli. Cronache astigianeNeos Edizioni, 2011 Euro 13