sabato 27 Luglio, 2024
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XIX-XX

Quando per studiare si andava in collegio

Un tempo per studiare si andava in collegio. Vi era costretto soprattutto chi, vivendo fuori città, non aveva la possibilità di viaggiare tutti i giorni. C’erano collegi tenuti da religiosi (la maggior parte) e altri da istituzioni laiche. Angelo Brofferio ricorda il suo trasferimento del 1812 da Castelnuovo Calcea per frequentare il Collegio Reale di Asti, attivo già dal 1731. Nei primi anni del ventesimo secolo in città erano numerosi: dal Dante Alighieri, al Rinascimento e il Don Bosco di Viale alla Vittoria (in corso Dante dal 1962), la Fulgor, la Purificazione, e il seminario che puntava alle vocazioni religiose. C'erano anche i collegi per gli orfani, come il Michelerio e il Vittorio Alfieri, e i convitti, come il Bolla e l’Ardito, che garantivano il pasto e l’assistenza pomeridiana per lo studio. Un mondo di orari e regole che oggi appaiono spesso anacronistiche, ma che ha formato generazioni di collegiali. Esperienze importanti per gli studenti di allora, che non si dimenticano.

Negli anni Trenta un panorama ricchissimo di istituti religiosi e laici

 

Una storica descrizione di un collegio astigiano ce l’ha lasciata Angelo Brofferio quando ne “I miei tempi” ricorda come, a dieci anni, nel 1812, per poter continuare gli studi dovette lasciare la natia Castelnuovo Calcea e trasferirsi ad Asti al Collegio Reale. Arrivato in groppa a un asino, entrò in città dalla porta di San Quirico (piazza Marconi), la porta della forca e, raggiunto il padre che lo stava aspettando in piazza San Secondo, si diresse verso il Collegio: un monastero vecchio e disabitato, affacciato sulla deserta piazza dell’Annunziata (piazza Catena).

Lunghi anditi, lunghe gradinate, corridoi lunghissimi. Gli aprì il cancello un arcigno portinaio di nome Malugano, che gli parve “l’ombra risorta di qualche confessore di velate peccatrici”. Angelo vide corridoi interminabili, affreschi alle pareti di martiri decapitati e sante agonizzanti. Dopo una cena consumata con il padre Giuseppe, il viceprefetto e l’abate Soteri (cui Brofferio riserva una descrizione indimenticabile), venne accompagnato da Malugano nel dormitorio che era stato delle monache e gli venne assegnata una cella, in cui c’erano solamente un letto e una sedia impagliata. 

Quel collegio era nell’antico convento della Grande Annunziata delle suore Agostiniane Lateranensi, soppresso nel 1802 per disposizione napoleonica. Il Collegio (Collegio Reale) ad Asti era stato aperto già nel 1731, quando le riforme sabaude decretarono l’istituzione di scuole laiche, in cui affidare a insegnanti non più religiosi il compito dell’educazione. A fine Settecento il Collegio era nel palazzo Valpreda, già Malabayla di Canale (nell’attuale via Mazzini) e nel periodo francese fu collocato, appunto, nel soppresso monastero dell’Annunziata. Si trattava di un collegio-convitto a pagamento e quello di Asti raggiunse 130 posti.

Ogni studente indossava una divisa e per tutti vigeva una disciplina militare. Brofferio ricorda appunto come anche gli studi fossero accompagnati dal suono dei tamburi. Nel 1835 fu trasferito nel convento di Sant’Anastasio, dopo che il Comune acquistò dal conte Cotti di Ceres il complesso svuotato e abbandonato, anch’esso soppresso pochi anni prima. Va annotato che accanto alla scuola laica fiorivano in città istituzioni scolastiche, collegi, refettori, convitti, scuole private, la cui gestione era affidata a religiosi, in gran parte a suore.

Michele Gallo in Asti e i suoi conventi del 1931, passando in rassegna i convitti e gli Istituti di educazione e di istruzione, conferma come fosse ancora profondamente radicata nell’educazione la presenza religiosa. Nella sua ricognizione cita tra gli altri: l’Istituto Salesiano fondato dal salesiano don Luigi Castellotti in via Don Bosco all’angolo con via Roccavione, che offriva ai giovani un collegio-convitto, un oratorio festivo, una compagnia di filodrammatica e una polisportiva; il Collegio-convitto laico Dante Alighieri, sorto nel 1920 in via alle Scuole (via Carducci) si trasferì poi in via Zangrandi e chiuse a fine Anni ’50; il Collegio-convitto Rinascimento in via Varrone, nel palazzo Nazari di Calabiani, autorizzato per corsi accelerati di scuola media; l’Educatorio convitto e semiconvitto femminile “Adele Ferrero”, fondato nel 1892, tra via Testa e via Radicati, diretto dalle Suore Giuseppine di Susa; l’Istituto Suore Salesiane M. SS. Ausiliatrice, aperto nel 1902 in via Natta, che funzionava come oratorio, ricreatorio festivo e pensionato femminile; l’Istituto delle Suore Stefanine di Celle Enomondo, in via Giobert angolo via Testa, pensionato per vedove e nubili, diretto da suor Bertorello; il Convitto Isnardi, nell’omonima via, per ragazze nubili; l’Istituto delle Suore Immacolatine, in via Bonzanigo, convitto femminile per la protezione delle giovani; il Collegio maschile Alberto Castigliano, per studenti delle elementari e scuole superiori. 

Non si può fare a meno di citare il Seminario, che ebbe un ruolo primario tra i collegi. Ha accolto centinaia di ragazzi, specialmente di campagna, che la famiglia mandava a studiare ad Asti. È stato per secoli la “fabbrica” dei sacerdoti. Aperto nel 1574 con 25 studenti, a fine ’800 i seminaristi erano poco meno di un centinaio. Dagli Anni ’70 le vocazioni sono andate riducendosi e oggi i pochi studenti confluiscono nel Seminario interprovinciale alessandrino di Valmadonna. Dal dopoguerra poi, con il nuovo benessere, era aumentato anche il desiderio di fare studiare i figli e per chi veniva da fuori città i collegi e i convitti erano una soluzione. Fondamentali per la formazione dei futuri maestri sono stati il Collegio della Fulgor e il Collegio N. S. della Purificazione, che per oltre 50 anni hanno ospitato educandi e educande della città e dei paesi vicini.

Furono soprattutto i figli dei contadini, degli operai, degli artigiani e dei commercianti a frequentarle, spezzando una consuetudine che vedeva solo i figli dei borghesi compiere un percorso di studi superiori. Arrivate ad Asti per occuparsi dell’assistenza e dei servizi di cucina presso il Convitto Adele Ferrero negli ultimi anni dell’800, le suore della Congregazione della Purificazione di Maria Santissima di Savona nell’arco di pochi mesi aprirono un piccolo convitto e un asilo infantile con servizio di doposcuola in un modesto alloggio in casa Girio, all’angolo tra piazza Cattedrale e via Borgnini. Al convitto iniziarono a iscriversi ragazze che frequentavano la Scuola Normale della città. All’inizio non mancarono difficoltà economiche e le risorse erano scarse, tant’è che nel diario di una delle convittrici, Celestina Cocito, si legge che la superiora custodiva un portamonete inesorabilmente vuoto ai piedi della statua di San Giuseppe.

Poco dopo, l’Amministrazione dell’Opera Pia Tellini propose alle suore della Purificazione di trasferirsi da via Borgnini a via Brofferio, dove iniziò la storia della scuola magistrale ad Asti. Nel 1923 dopo la riforma Gentile le suore ottennero l’autorizzazione ad aprire un Istituto Magistrale parificato. 

 

L’ingresso del collegio Rinascimento in via Varrone

La scuola magistrale statale aprì solo nel 1968

 

Piccole aule in affitto in un fabbricato di via Roero, “arredate del necessario”, ospitarono complessivamente 35 alunne. Agli inizi degli Anni ’30 diventò poi necessario disporre di più aule per ospitare 150 studentesse e trovare quindi un edificio adatto. Nel 1932 il podestà Buronzo suggerì alle suore l’acquisto di un terreno adiacente corso Regina (l’attuale viale Partigiani) sul pianoro in località Fornaci e le suore accolsero l’indicazione, anche se il luogo era distante dal centro e soprattutto dalla stazione.

Il 28 ottobre 1934 fu così inaugurato il nuovo edificio scolastico di piazzale Penna che ospitò l’Istituto Magistrale femminile. In molti ricordano ancora le lunghe file di collegiali in passeggiata nella zona nord con la divisa e la mantellina blu e il grande fiocco a pois. In provincia la formazione degli insegnanti rimase quindi appannaggio esclusivo della scuola religiosa fino a fine Anni ’60. L’istituzione dell’Istituto Magistrale statale ad Asti fu una scelta politico-amministrativa, frutto di un accordo tra le forze politiche.

Il percorso per l’istituzione della nuova scuola fu complesso e difficoltoso. Le aule furono collocate nell’edificio di piazza Cagni del complesso dell’ex “casermone”, nell’anno scolastico ’68-‘69 fu aperta la prima classe. La provincia di Asti, che fino ad allora aveva avuto soltanto istituzioni religiose per la preparazione dei maestri, ebbe così finalmente una scuola statale. Vi si iscrissero ragazzi in larga parte provenienti da famiglie contadine e operaie e i figli degli immigrati dal sud che avevano finalmente la possibilità di proseguire gli studi.  

 

Un menù del 1894 che ricorda l’incontro tra gli allievi del Collegio militare di Asti svoltosi a casa Scati di Melazzo, nell’Alessandrino. Dalla collezione privata di Adriano Benzi, Acqui Terme.

L’epopea del Don Bosco da Viale alla Vittoria a corso Dante (1962) La Fulgor dallo sport alla formazione dei maestri

 

L’altro grande e storico istituto formatore dei futuri maestri fu la Fulgor, già famosa tra le associazioni sportive astigiane. Prima della scuola, infatti, nacque la società sportiva, fondata nel 1905. La società era la continuazione dei ricreatori festivi gestiti dalla Cattedrale che, con il parroco Felice Morra, riuscì a trasformare il cortile del Duomo in una palestra di ginnastica e ad attrezzarla di alcuni strumenti.  Molti ricordano con piacere l’Oratorio di San Giovanni, dove trascorrevano i loro pomeriggi, specialmente giocando a calcio. Nel 1938 la Fulgor iniziò anche l’attività di convitto che operò per qualche anno con un numero limitato di giovani.

Nel dopoguerra il convitto ebbe un forte sviluppo mentre si ridusse l’attività ricreativa interparrocchiale, poiché i parroci preferivano animare i loro oratori. Nel 1947 vennero affidate alla Fulgor le Scuole Magistrali maschili e nel 1952 fu abbattuto l’edificio della vecchia Fulgor e le Magistrali si insediarono nella nuova sede di via Testa. Un ruolo primario tra i collegi cittadini lo ha avuto il Don Bosco. I Salesiani giunsero in Asti nell’ottobre 1919. Il parroco di S. Maria Nuova, don Robino, mise a disposizione una vecchia cascina e un terreno in viale alla Vittoria e sorse così l’oratorio Don Bosco.

Nacquero ben presto l’esigenza e l’idea di istituire un convitto e, ottenuta l’approvazione dai superiori torinesi, nell’aprile 1921 fu approvato il progetto di costruzione di un idoneo edificio. Nel ’22 in molti aderirono alla sottoscrizione per reperire i fondi necessari: la Cassa di Risparmio con 1000 lire, diversi parroci e molta gente comune versò quote. Già a ottobre arrivarono i primi convittori, quasi trenta, nell’ala appena ultimata e l’anno dopo entrarono in funzione il refettorio, il dormitorio, il teatro e la cappella. In breve i ragazzi superarono il centinaio e per loro, oltre allo studio, c’erano numerose occasioni di svago, nell’oratorio e in campagna. Dal ’26 al ’28 fu attiva anche una banda musicale.

Negli anni il Don Bosco diventò un grande polo di attrazione anche per i ragazzi esterni, che partecipavano alle varie iniziative, compresi tornei di calcio e le “olimpiadi”. Molto coinvolgente anche l’attività del cinema e della filodrammatica. Negli Anni Cinquanta gli ospiti del collegio sono via via aumentati, e i vertici salesiani decisero di cedere l’intero complesso di viale Vittoria e via Don Bosco, che faceva gola dal punto di vista edilizio, per trasferirsi nell’autunno del ’62 in cima a corso Dante, in una zona in fase di nuova urbanizzazione “dove c’erano solo grilli, gaggie e poca gente”. Nacque così la nuova parrocchia, con la chiesetta nel primo fabbricato.

Il grande edificio fu ultimato alla fine del ’62 e ospitò più di cento ragazzi che frequentavano gli istituti scolastici cittadini. Funzionava anche un doposcuola. Dal ’67 aprì una succursale della scuola media parificata Maria Ausiliatrice di via Varrone e accolse anche studenti esterni della zona, scomodi a raggiungere le scuole del centro. Nel ’75 la scuola diventò autonoma e chiuse poi nel ’97, con le nuove scuole medie e una diminuzione sensibile dei convittori. Nel ’99 tutto l’edificio fu venduto all’Asl e il campo di calcio è diventato un parcheggio del nuovo ospedale.

 

Il complesso del Convitto Don Bosco affiancato da viale alla Vittoria, ancora senza grattacielo e senza la parte nuova dell’ospedale

Nostra Signora delle Grazie a Nizza

 

In questa rassegna dei collegi astigiani vanno citate due realtà che forse non possono essere definiti propriamente “collegi”, ma che hanno lasciato tracce profonde nel tessuto sociale: l’Istituto Michelerio e l’Orfanotrofio Istituto V. Alfieri. Il vasto complesso di edifici compreso tra corso Alfieri, via Caracciolo, via Carducci e via Varrone che costituì il Monastero del Gesù, dopo la soppressione napoleonica restò abbandonato per alcuni anni.

Fu poi acquistato dal canonico Cerruti grazie alla munificenza di Clara Michelerio, e dal 1862 diventò sede dell’Opera Pia Michelerio. L’istituto aveva lo scopo di accogliere e ospitare gli orfani della città e del circondario, “allevarli cristianamente e insegnare loro un mestiere”. Dalle sue scuole uscirono centinaia di tipografi, falegnami, calzolai. Il Michelerio cessò l’attività nel 1971. Per anni prima del restauro sono rimaste le aule con i vecchi banchi di legno accatastati.

Per gli astigiani il Michelerio ha avuto una forte attrattiva affettiva ed emotiva ed è ancora oggi un “luogo del cuore”, intensamente segnato dal ricordo delle sue vicende e dei suoi ospiti. Il Michelerio si apriva alla città con gli spettacoli nel suo teatrino e la banda musicale, diretta da don Moccagatta, compariva anche in numerosi eventi e specialmente nella processione del Venerdì Santo. Per molti anni è stato l’unico collegio per orfani maschi, fino a quando non sorse l’Istituto Vittorio Alfieri – altro luogo caro agli astigiani –, un orfanotrofio maschile nato nel 1918, proprio nel primo dopoguerra, per accogliere prevalentemente gli orfani di guerra. La differenza tra Michelerio e Istituto Vittorio Alfieri è che il primo si presentava di ispirazione confessionale, mentre il secondo era di origini laiche, fortemente voluto dal sindaco Annibale Vigna e in gran parte sostenuto finanziariamente dal comm. Giovanni Penna. 

Un altro orfanotrofio che accolse orfani di guerra sorse all’interno dell’asilo Ferrer (poi Lina Borgo) nel 1918 e la gestione fu affidata a Lina Borgo. Dal ’18 al ’32 vennero ospitati 72 orfani, istruiti e avviati al lavoro. La convivenza dell’orfanotrofio con l’asilo crearono nel tempo problemi di tipo economico, di assistenza e di personale, per cui si progettò una nuova sede. Dopo diverse trattative, fu accolta l’offerta del comm. Penna, che mise a disposizione il terreno in “Regione Fornaci” (l’attuale inizio di corso XXV Aprile). Con il progetto del geom. Benzi e dell’arch. Fagnoni di Firenze, viene costruito il nuovo orfanotrofio “Vittorio Alfieri”, inaugurato il 13 novembre 1932. 

L’eredità di Lina Borgo passa poi a “Tota Teresa” (Teresa Macagno) e “Tota Gabriella” (Gabriella Goria), le due anime laiche dell’istituzione che, con la loro professionalità e il loro atteggiamento materno, sostituirono il ruolo che in precedenza nei collegi era stato delle suore. Costituirono per i ragazzi un punto di riferimento umano e scolastico, tanto che gli ex-allievi le ricordano oggi con riconoscenza e affetto. “Tota Teresa” è stata anche tra le storiche assistenti della colonia di Bordighera. Va anche citato l’Istituto N.S. delle Grazie, sorto negli ultimi anni dell ’800 a Nizza Monferrato. Nel 1925 entrò in funzione l’istituto magistrale parificato e dagli Anni ’60 a fine Anni ’80 il collegio ospitò circa cento ragazze che il sabato e la domenica potevano tornare a casa loro. La scuola magistrale chiuse nel 2000. Dal 1990 fu attivo anche il liceo scientifico: quello a indirizzo biologico chiuse nel 2004, con la riforma Gelmini, e quello ad indirizzo linguistico è tuttora funzionante, con circa 80 allievi in classi miste. 

 

Alzabandiera con saluto al Duce dei convittori ospitati negli Anni ’30 al Collegio Don Bosco

Dal 1857 al 1866 Asti aveva ospitato anche il Collegio militare

 

Nella storia astigiana va ricordato anche il Collegio Militare, una realtà educativa che ebbe breve durata. Il Regio Collegio militare ebbe sede nei locali della Grande Annunziata in piazza Catena, il convento delle suore Agostiniane Lateranensi rimasto vuoto dopo lo spostamento del Collegio Reale, citato all’inizio di questo articolo per il Brofferio. Nel 1857 il Ministero della Guerra trasferì da Racconigi ad Asti il Collegio Militare e fu una decisione che la città accolse con grande favore.

Per entrare a far parte del collegio occorreva essere cattolici, avere un’età compresa tra i 10 e i 13 anni e pagare una retta di 600 lire l’anno. Il corso durava cinque anni e al termine gli allievi erano destinati alla Reale Accademia Militare di Torino o di Modena per la fanteria, o di Pinerolo per la cavalleria. Il Collegio Militare ebbe vita breve. Fu soppresso nel 1866. Dopo la sconfitta di Custoza, di poche settimane prima, e la crisi economica che ne seguì, il governo ridusse le spese e chiuse, oltre a quello astigiano, anche i collegi militari di Parma e di Firenze, lasciando la Nunziatella a Napoli e poi il Morosini a Venezia.

 

La sala del teatrino interna al Collegio Don Bosco dove recitava un’affiatata filodrammatica

Per favorire gli studi c’erano i convitti Bolla e Ardito

 

Oltre ai collegi, in città esistevano anche alcuni convitti, la cui funzione era soprattutto quella di offrire un luogo dove poter pranzare e studiare ai ragazzi di fuori città che frequentavano le scuole astigiane.  Il convitto Bolla fu aperto da Davide Bolla nel 1940 in via Comentina, dove disponeva di aule e di locali al piano terreno e al primo piano. Per qualche anno funzionò anche una scuola interna, elementare e media. In seguito il convitto accolse ogni anno una trentina di ragazzi, che con il treno o la corriera giungevano ad Asti di buon mattino.

Al Bolla facevano colazione, venivano accompagnati a scuola, poi tornavano per pranzare e per fare i compiti con due assistenti, per poi tornare a casa la sera. Ben presto se ne occuparono due laureati, Giuseppe Bolla, il figlio del fondatore, e la moglie Emma Pelissero, che diressero il convitto per molti anni, poi affiancati dal figlio Mauro. Nel 1971, poco dopo la riforma scolastica che istituì scuole medie in diversi comuni dell’astigiano, il convitto Bolla chiuse.

Alcuni lo ricordano ancora oggi per la disciplina con cui era organizzato, che tuttavia consentiva elasticità e comprensione. Le stesse finalità aveva l’Istituto Ardito, semiconvitto maschile. Il prof. Primo Ardito, appena laureato, nella casa di famiglia all’angolo di via Testa con via al Castello, dal 1947 offrì ospitalità agli studenti. Pre-scuola dalle 7 alle 8,15, pranzo e, dopo la ricreazione, doposcuola fino alle 18,30. Di sera tenne anche corsi di recupero e corsi per adulti sia di alfabetizzazione che per conseguire un diploma.

Il prof Ardito, poi insegnante alla media Gatti e in seguito allo Scientifico, nel 1963 chiude l’attività dell’istituto che portava il suo nome. Poco distante, all’inizio di via al Castello, fu attivo fino agli Anni ’60 anche il Doposcuola Studium gestito dalla prof. Clelia Scaffa e dalla figlia. Oggi modi e modalità di studio sono profondamente cambiate e anche la stagione dei collegi, così come si era sviluppata per lunga parte dell’Ottocento e del Novecento, non ha più avuto motivo di sopravvivere. Sono rimasti luoghi delle memoria per generazioni di ragazzi e ragazze.   

 

Le Schede

 

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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