Sergio Santi
4 maggio 1937- 13 dicembre 2017
Ex economo amministrazione prov. di Asti
Non credevo di morire. Prima o dopo tocca a tutti, dicevo, ma pensavo agli altri. L’ho presa come uno sgarbo. Di lì a poco sarebbe stato Natale: avrei rovinato la festa a tutti. Ricordo quel giorno, era il 13 di dicembre. L’ultimo giorno. Da non potere più dire domani. Avrei avuto ancora tanto da dire, da fare no, ormai ero in pensione. Ma da dire sì, perché a me piaceva parlare, raccontare. Avevo sempre la battuta pronta e una parola per tutti, anche perché conoscevo tutti. Mi preparavano la sedia, io mi muovevo piano, una gamba non mi seguiva più, dovevo aiutarla. Qui Sergio, sei comodo? chiedevano sistemandomi il bastone.
Ora che sono qui (ma qui dove? non l’ho ancora capito). Stiamo valutando, dicono.
La burocrazia) non ho più futuro, non mi resta che guardare indietro, come un fi all’incontrario. Ricordo tutto e vi ricordo tutti. I compagni di scuola (i mitici della quinta A ragionieri al Giobert del 1957), i colleghi d’ufficio alla Provincia, gli amici del bar. La mia famiglia. Ho visto il biglietto con la fotografi (noi da qui vediamo tutto) che avete mandato agli amici per ricordarmi: «A futura memoria», si diceva. Ho anche letto la frase: è un grande onore per noi essere la tua famiglia e mi sono commosso. Grazie.
Gigi Pistone
28 giugno 1928-18 marzo 2018
fondatore ass. Erca di Nizza Monferrato
Mi chiamo Gigi e sono nicese. A testimonianza del mio buon carattere c’erano tante persone quella mattina nella parrocchia di Sant’Ippolito; era una mattinata fredda ma piena di sole. Ora riposerò nella mia Nizza e sono felicissimo perché le ho dedicato tutta la mia vita.
Ho trascorso decenni alla ricerca del patrimonio storico e artistico della mia comunità, mosso dal mio forte senso di identità nicese. Ero molto conosciuto a Nizza fin dai tempi in cui ero il “bancario della Popolare di Novara” e successivamente quando ho ricoperto il ruolo di amministratore comunale negli Anni Ottanta.
Alla fine degli Anni Settanta abbiamo fatto nascere la nostra “creatura”: l’Accademia di cultura nicese, l’Erca. Spronavo al lavoro e alla ricerca tutti i soci e faceva sempre sorridere la mia battuta quando mi chiedevano: e tu, cosa fai? E io rispondevo sempre «io presiedo». Era bello passeggiare con il mio Raul per le vie di Nizza fino alla sede dell’associazione salutando gli amici e i compagni di una vita.
Ora ho raggiunto gli invincibili Granata, non più tornati partiti da quell’amichevole nel 1949.
Pietro Beccuti
19 ottobre 1923 – 23 aprile 2018
Comandante partigiano, socialista, ex sindaco di Calliano ed ex vicepresidente della Provincia di Asti
Pensandoci bene, il destino ha scelto proprio il giorno giusto per il mio addio a parenti e amici. Settantatre anni fa, proprio in questo giorno, stavamo infatti marciando su Torino, io, comandante della II Brigata Matteotti e tutti i miei compagni partigiani per andare a liberarla dai nazifascisti, insieme alla Monferrato e a tante altre Brigate. E la liberammo, dopo gli aspri scontri per “prendere” la famigerata caserma di via Asti, nei giorni successivi. Poi furono feste e balli e a Calliano tutti ridevano e cantavano come non avevano potuto fare nei vent’anni precedenti. Sono stati giorni gloriosi e indimenticabili che mi hanno segnato per tutta la vita e mi hanno soprattutto insegnato che si poteva essere socialisti anche in Occidente e che si doveva da allora in avanti lavorare e agire secondo i principi di democrazia e di giustizia che avevano ispirato tutti i ragazzi che per quegli ideali avevano perso la vita. Così ho cercato di fare per tutto il tempo che è venuto dopo, fossi l’insegnante elementare di tanti ragazzi monferrini o il sindaco del mio paese o il vicepresidente della Provincia: stare con la schiena dritta per garantire i giusti diritti a chi ne aveva sempre goduto poco, primi fra tutti gli agricoltori delle nostre colline. Tra le tante sfide vissute nel tempo non posso dimenticare la cosiddetta «battaglia dello zucchero» che, insieme ai giovani cronisti de La Nuova Provincia e ad alcuni coraggiosi rappresentanti delle istituzioni, abbiamo ingaggiato e vinto tanti anni fa contro chi il vino voleva farlo senza l’uva. Era un modo per restare “partigiani” anche dopo la Resistenza e credo che, pur nei limiti di ogni uomo, di esserci riuscito. Per questo, quando il 25 aprile sono uscito dalla chiesa di San Desiderio e ho sentito che la gente aveva scelto Bella ciao per salutarmi, ho pensato che potevo andarmene senza troppi rimpianti. Un segno l’avevo lasciato.
Massimo Perosino
17 maggio 1966 – 22 marzo 2018
Impiegato Asl
Sono qui, ad impigrirmi ancora nel terrazzo assolato che è ricordare il passato. Sto così, come ho vissuto. Seduto accanto a me c’è papà Tino, mescolando il sapore del primo caffè del giorno e la sigaretta. Lo sguardo segue salire il fumo della malinconia, lo stesso sognare che ho rincorso un tempo. Vedo la nostra piazza e le panchine che non ci sono più guardare la Cattedrale. In quell’ombra di memoria rivive l’osteria di un porto di mare. C’è la motoretta e borse che fanno da armadio ad un uomo dal ventre gonfio che ha dilapidato ricchezza e fortuna. E quel ragazzo dai capelli lunghi, uscito di galera il giorno prima. Ci diverte, mostrando i muscoli del petto e la sua tigre tatuata animarsi. Arriva la signora curva che porta cibo ai gatti, ‘Vigin’ e le sue lunghe basette pesa il cartone raccolto, pagando con gli spiccioli di un ghiacciolo. Io e papà Tino ci passiamo la sigaretta e insieme lo vediamo arrivare tingendo a mano la sua bicicletta. Ha la camicia liberata dal lavoro appena sbottonata, sotto la sua divisa di usciere. È bello papà con la sua faccia e le sue smorfie di attore. È bello come in palcoscenico anche quando arranca su pietre e ciottoli. Sorridiamo guardandoci sorridere in queste immagini mai sbiadite. E mi rivedo bimbo affidarmi alla sua mano che conduce verso casa. C’è già mamma, che fatica e costruisce ricordi nella sua mente evaporata. Ma non ho mai smesso di ricomporre per lei i pezzi della memoria in frantumi. “Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale… Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue”. Il mio Montale. Le sue strofe, stoffa cucita sulla mia vita di adulto. Come i miei versi in quei fogli lasciati nei cassetti.
“Dentro qualcosa è cambiato
non s’ode più il ruscello scorrere
il fiato s’accorcia rassegnato
La fiaba volge al termine
L’ultimo applauso al giovane
…
Le voci s’allontanano silenziose
solo io silenzioso
ramingo
angosciato
il tempo se n’è andato»
E adulto non ho soffocato quel ragazzino. L’ho tenuto accanto a me in ufficio, allo sportello ogni giorno, quando insieme al dolore nei volti si affacciavano la speranza o la smagrita rassegnazione. Un aiuto, una parola, un sorriso per tutti. Erano il mio unguento per quei corpi piagati, non guariva ma rendeva più lieve la zavorra della malattia che fa morire soli. Quanto dolore ho visto. Tanto, da non poterne più, da volerlo distante da quel vecchio che non sarò. Pesava il fiato della sofferenza e io l’ho soffocato. Me ne sono andato nell’alito di un instante, refolo di un vento che fa cadere la foglia, in un ultimo inchino. Come te, Papà.
Margherita «Marga» Olessina
22 marzo 1947-13 aprile 2018
Impiegata Pci di Asti e titolare negozio di erboristeria
Il rosso e il verde sono stati i miei colori. Il rosso della passione politica intensa, vissuta negli uffici della Federazione del Pci di via XX settembre. In quelle stanze incrociai lo sguardo dolce di Roberto e me ne innamorai. Erano gli anni delle lotte per la parità e la dignità femminile. Credevo nell’Udi, l’Unione donne italiane e ho portato nei cortei i miei capelli ricci e la bandiera rossa. Poi è venuto il verde delle piante, il mio amore per la natura e il sapere dell’erboristeria. Le foglie e i fiori, non per niente mi chiamo Margherita, mi hanno insegnato una nuova vita così come la Bibbia che ho letto e riletto. Me ne sono andata nel sonno in un soffio di primavera.
Pierluigi Berta
17 gennaio 1961- 26 aprile 2018
Sindaco di Rocca d’Arazzo
Ho fatto cose e visto gente. E ne ho fatte tante e tante sono le persone che mi sono diventate amiche. Mi piaceva recitare, esserci, creare. Dicono che fossi un vulcano di idee e una volta pensate le mettevo in pratica. Non mi mancava la generosità. Ho amato il mio paese e ne sono stato riamato tanto che mi hanno voluto a loro sindaco. Ma il mio amore andava oltre i confini del mio Comune e si è allargato a tutto il Monferrato e all’Astigiano. Sarà per questo che al mio funerale, in quella mattina di fine aprile, c’erano i gonfaloni di decine di Comuni e tanti miei colleghi sindaci. Hanno parlato in tanti e tanti avevano gli occhi lucidi. Perfino gli alpini ai quali ho dato passione e fantasia anche durante l’Adunata nazionale del 2016. E c’erano quelli delle Pro loco che ho conosciuto negli anni del Festival delle Sagre. Adesso che il destino ha voluto che lasciassi davvero troppo presto la mia famiglia e tutti gli amici, fatemi fare l’ultima presentazione, con voce stentorea e bella presenza in scena: Signore e signori, grazie.
Giacchino “Jachì” Ferlisi
23 agosto 1931-11 maggio 2018
Ex operaio e negoziante, da Milena ad Asti
Chissà se al distretto militare mi avessero destinato da un’altra parte la mia vita come sarebbe stata. Invece dalla mia Sicilia mi mandarono ad Asti alla caserma di fanteria: lassù nel profondo Nord. È per questo che, quando da emigrante, nel 1961, presi anch’io il treno del Sole e scesi alla stazione di Asti, respirai aria di casa. Ho fatto l’operaio alla Sisa e poi da Fava&Scarzella e poi all’Ibmei. E avevo fatto salire mia moglie Cristina con le nostre figlie Maria e Giulia. Laura invece è nata ad Asti, la famiglia aveva attecchito e ora ci sono anche i nipoti che mi chiamano nonno Jachì, il diminutivo che mi ha dato mia moglie. Negli anni il mio cuore si è fatto doppio: siciliano e astigiano. Noi di Milena siamo arrivati in tanti. Mezzo paese si è trasferito ad Asti. Ai primi tempi era dura per tutti e io aiutavo i miei paesani. Ne ho accolti tanti in casa e con don Martinetto, parroco di San Paolo, cercavamo una sistemazione. Intanto con mia moglie abbiamo aperto un negozietto di alimentari. C’era nostalgia di cose siciliane. E così in via Aliberti vendevamo un po’ di tutto, dall’olio al tonno alle arance. Ma con il tempo alle specialità del Sud ho aggiunto quelle piemontesi che piacevano tanto ai turisti. Li accoglievo nel salotto, in fondo alla bottega e loro si stupivano e facevano foto. Ora il mio colorato negozio di cose buone è chiuso e cerca nuove e più giovani passioni.
Michele Basile
7 aprile 1957-27 maggio 2018
Fotografo ed ebanista
Ce l’ho messa tutta per combattere la mia malattia, ma non è bastato affrontarla con coraggio. Eppure il coraggio mi aiutò a superare il 1994, quando l’alluvione sconvolse la mia casa. Figli e passioni hanno illuminatole mie giornate. Amavo fotografare. Sui giornali ho raccontato per immagini la città nella sua vita di tutti i giorni, ma anche quando la cronaca dei fatti diventava più drammatica. Sono stato ebanista e scultore, parole che descrivono appena il piacere che provavo nel lavorare il legno. Creavo opere con gesti leggeri e misurati, perché il mio modo di essere era così.
Alessandra Appiano
30 maggio 1959 – 3 giugno 2018
Giornalista e scrittrice
Con le doppie iniziali A.A. io e mia sorella Antonella eravamo in testa a tutti gli elenchi alfabetici e a scuola, nella nostra Asti, in quegli anni felici, abbiamo lasciato il segno. I miei compagni del liceo per scherzare mi avevano dedicato un filmino super 8 con una dichiarazione d’amore collettiva alla “Più bella della classe”. Con le mie amiche però “non me la tiravo” e mi sono rimaste amiche anche quando sono andata a studiare a Milano, spinta dalla professoressa Badoglio che, oltre alla matematica, mi insegnò a credere nel futuro. E il futuro mi ha sempre guidata, fin da quando da studentessa dopo gli esordi a Tele Asti sono apparsa in Rai tra le telefoniste della trasmissione Portobello, con Enzo Tortora. Mio padre Felice e mia madre Liliana mi raccomandavano di studiare e tenere la testa sul collo. Deve essere andata così visto che mi sono ritrovata in poco tempo a scrivere testi e copioni e poi un libro e poi un altro. E ho anche vinto il premio Bancarella e a Milano, qualche tempo fa, mi hanno dato l’Ambrogino d’oro. Sono diventata testimonial di azioni di solidarietà internazionale. Mi hanno definita ironica e arguta, elegante mai volgare e sempre dalla parte delle donne. Un anno fa è uscito il mio ultimo libro, Ti meriti un amore, dove ho ricostruito l’assassinio di Gloria Rosboch, la professoressa che si era illusa di aver fatto innamorare un suo allievo, e poi un volume di racconti a scopo benefico, Il bicchiere mezzo pieno, ma forse io stavo iniziando a vederlo mezzo vuoto il bicchiere della mia vita. Ciò che ognuno di noi ha dentro è molto diverso dalle foto che si postano sui social o da come si deve apparire in uno studio televisivo. Ricordatemi sorridente all’uscita del liceo e rileggete i miei libri, sarà un modo per continuare a restare insieme.
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La Collina di Spoon River del numero di marzo 2018 nelle righe dedicate a Bruno Binello conteneva un errore. La passione paliofila di Bruno è stata per tutta la vita non per il rione San Paolo ma per il borgo di San Martino-San Rocco di cui è stato anche rettore. Scusa Bruno.