sabato 27 Luglio, 2024
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Una vita per la musica

Il rock romantico della “Locanda delle fate” ha conquistato i giapponesi

Annunciato a metà dicembre l’ultimo concerto al Teatro Alfieri

Luciano Boero ha la faccia di uno che è stato ragazzo negli anni Sessanta e adesso smettere di esserlo è più difficile che smettere di fumare. È il bassista della Locanda delle Fate, gruppo rock astigiano (lui però è oriundo albese) che sabato 9 dicembre suonerà al Teatro Alfieri di Asti. E sarà, o dovrebbe essere, per l’ultima volta. Il concerto chiuderà un’epopea musicale che merita di essere ricordata.

 

La storia di questa straordinaria band incarna come meglio non si potrebbe il detto “nemo propheta in patria”. Non abbastanza ricordata in Italia, dove non riuscì a diventare popolare neppure nel momento di massimo fulgore creativo, coinciso con la pubblicazione nel 1977 dell’album “Forse le lucciole non si amano più”, la Locanda è stata oggetto di una clamorosa riscoperta internazionale nella seconda metà degli anni Ottanta, quando il successo degli inglesi Marillion riportò in auge, con la nuova denominazione di “progressive” (che nacque solo allora), quello che in origine veniva solitamente indicato come rock “romantico”: per intenderci, la musica di Genesis, Yes, King Crimson, Gentle Giant, Emerson Lake & Palmer. 

Un revival che interessò marginalmente la nostra scena musicale ma fu molto intenso in paesi come Giappone, Messico e Brasile, dove vennero riscoperti quei fantastici gruppi italiani degli anni Settanta, straordinari non solo per la musica ma anche per i nomi: Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, New Trolls, Osanna, Rovescio della Medaglia. Da allora la ristampa in CD di “Forse le lucciole…“ ha venduto in Giappone oltre 150.000 copie e i concerti della Locanda nel paese del Sol Levante sono sempre risultati sold-out con tre mesi di anticipo. Un successo che non si è spento con il passare degli anni: nel 2012, con una formazione in parte rinnovata, la band si è esibita al Teatro Club Città di Tokyo (insieme ai Pooh) in occasione dell’”Italian Prog Festival”; nel 2013 ha partecipato al “Baja Prog” di Mexicali, in Messico, condividendo il palco con Steve Hackett, leggendario ex chitarrista dei Genesis; nel 2015 ha suonato in Francia, a Les Pennes Mirabeau, in occasione del festival “Prog Sud 2015”. E soltanto tre mesi fa un lungo articolo dedicato al gruppo astigiano è comparso sulla prestigiosa rivista specializzata statunitense “Progression Magazine”.

Luciano per ripercorrere la storia del gruppo ha scritto un libro uscito da poco: si intitola “Prati di lucciole per sempre” e racconta non soltanto la storia della Locanda ma anche l’ambiente della musica locale e nazionale negli anni che hanno rivoluzionato i costumi dei giovani di tutto il mondo occidentale. 

Una lettura appassionante che ci presenta la vita di ragazzi che incominciano giovanissimi a suonare in locali dalle insegne esotiche (il “West End” di Pino Torinese, il “Giaguaro” di Chieri, il “Tabù” di Alassio, il “Cabana Night” di Loano, la “Mecca” di Rimini), uniti in gruppi dai nomi stravaganti e, secondo la moda del tempo, spesso zoologici (gli Scoiattoli, i Gattopardi, le Cattive Notizie, Quel Pazzo Mondo), eseguendo repertori che spaziano dal beat al rhytm and blues, Beatles e Otis Redding su tutti. Cantano in un inglese approssimativo (“alla Prisencolinensenainciusol”, scrive Luciano, alludendo al brano in cui Celentano inventava il rap e sdoganava il finto inglese) e combattono con padroni di locali non sempre generosi con i cachet e con la difficoltà di trovare i soldi per comprare gli strumenti, sempre presi a rate. Coltivando, neanche troppo segretamente, il sogno (che pochissimi realizzeranno) di “fare la professione”, di vivere solo di musica. 

 

La copertina dell’album “Forse le lucciole non si amano più”

 

Il nome del gruppo astigiano ispirato da un fatto di cronaca 

 

La storia della Locanda delle fate inizia nel novembre del 1970, quando Luciano Boero e il batterista Giorgio Gardino decidono di concludere l’esperienza con i “Sound & Music”, gruppo specializzato in rhytm and blues protagonista delle serate nei migliori locali della zona, e di fondare un gruppo orientato verso le nuove sonorità provenienti dall’Inghilterra. Serve un tastierista che suoni anche lo Hammond e viene coinvolto Oscar Mazzoglio: saranno loro tre lo zoccolo duro della band, presenti fino alla fine nell’avvicendarsi degli altri componenti. 

Il tutto avviene a un tavolino dell’Asti Bar, al numero 50 di Piazza Alfieri, nella cui cantina si proverà a lungo grazie alla gentilezza dei proprietari, i fratelli Fausto e Giorgio Carbonero. 

 

La nascita nel 1970 all’Asti bar di piazza Alfieri

 

Il nome ce l’ha pronto Luciano fin dal dicembre del 1968, quando era comparso sulla “Stampa” un singolare fatto di cronaca: la polizia aveva fatto irruzione in un albergo-squillo di Rocca di Papa, nella zona dei Castelli romani, sorprendendo sul fatto una studentessa romana di 22 anni e dieci professionisti suoi clienti. La proprietaria era stata arrestata per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione e l’albergo chiuso si chiamava “La Locanda delle Fate”.

Il repertorio di cover presentato agli avventori dei numerosi locali che nei primi anni Settanta stanno vivendo la transizione da balere con orchestra a discoteche comprende brani di Deep Purple, PFM, Led Zeppelin e King Crimson, anche se i nostri sono spesso costretti dalle esigenze di un pubblico eterogeneo ad eseguire malvolentieri tre pezzi di liscio, “a gentile richiesta”. 

A pensarci adesso, sembra impossibile anche solo accennare passi di danza su brani come “R.I.P.” del Banco o “Firth of fifth” dei Genesis: questo ci fa capire che allora chi frequentava i locali accettava di buon grado di starsene seduto per un’ora e mezza ad ascoltare musica eseguita dal vivo. 

Altri tempi, davvero.

 

1978, Castello di Novello (Cn). Foto ufficiale “Locanda delle Fate”. Da sx: Luciano, Giorgio, Ezio, Michele, Alberto

 

Passano gli anni e uno alla volta arrivano i musicisti che comporranno la formazione del periodo più luminoso della band: Alberto Gaviglio, cantante/ chitarrista/ flautista, l’intellettuale del gruppo che scriverà la maggior parte dei testi dei brani della Locanda; Michele Conta, giovanissimo e prodigioso pianista diplomato al Conservatorio; il genio della chitarra Ezio Vevey. La Locanda diventa un gruppo “della madonna”, indiscutibilmente il migliore della zona, e viene spesso chiamata ad aprire i concerti di artisti famosi che suonano da queste parti (Battiato, Cocciante, le Orme, i Cugini di Campagna…): alcuni dei quali si rivelano gentili e prodighi di consigli, altri, alla faccia del “peace and love” imperante, presuntuosi e arroganti. Soprattutto, si fa sempre più forte l’esigenza di comporre musica originale e magari incidere un disco. Nell’autunno del ‘75, nel corso di una delle abituali riunioni post prova alla pizzeria Grotta Azzurra (oggi Ristorante Francese), si decide di chiudere con le cover e le sale da ballo, dopo che il conte Gerardo Malabaila, uno dei proprietari del “Roma” di Canale d’Alba, grande sostenitore (anche dal punto di vista economico) e amico del gruppo fin dai suoi esordi, aveva affermato di essere intenzionato a recedere dal contratto stipulato se i musicisti non si fossero dimostrati disponibili a suonare musica più semplice e ballabile. 

Da quel momento i “locandieri” si rinchiudono nella nuova sala prove di Corso Savona 161 e si dedicano soltanto a scrivere e perfezionare quelli che diventeranno i brani dell’album “Forse le lucciole non si amano più”. Intanto arriva, nell’estate del ‘76, un nuovo cantante: si chiama Leonardo Sasso, romano dalla voce “nera”, ex professionista trasferitosi in Piemonte per amore di una ragazza conosciuta durante una serata ai “Cavalieri” di Bra. Colpo di fulmine, rapido matrimonio e la musica che improvvisamente diventa soltanto un hobby. I brani sono pronti, si fanno sentire in giro, gli amici del Banco del Mutuo Soccorso incoraggiano ad andare avanti. Il vecchio amico e sostenitore Livio Musso, con preziose conoscenze nell’ambiente delle case discografiche, accompagna i ragazzi a Milano da Gino Mescoli della CBS, che li presenta a Giorgio Calabrese, l’autore dei testi di canzoni come “Arrivederci”, “E se domani”, “Domani è un altro giorno”; ma anche autore di programmi TV di successo come “Senza rete”. 

Dopo aver ascoltato la cassetta con i pezzi, Calabrese propone ai nostri la registrazione per la RAI di un miniconcerto di trentacinque minuti (andrà in onda il primo di aprile del ‘77). Ascolta la cassetta anche Niko Papathanassiou, fratello del più noto Vangelis (tastierista degli Aphrodite’s Child e autore di colonne sonore come “Blade runner” e “Momenti di gloria”) e produttore discografico. Niko propone alla Phonogram, un colosso che raggruppava le etichette Polydor, Philips e Mercury, di produrre l’album. La Locanda firma un contratto della durata di due anni, che prevede il lancio di due LP e due 45 giri. A fine maggio “Forse le lucciole non si amano più” è pronto ed esce con etichetta Polydor, quella dei Bee Gees e dei primi Beatles! Si parte per un tour promozionale insieme ad altri artisti della Phonogram: il nome di maggior spicco è quello di Amanda Lear. 

 

1977. In alto da sx: Giorgio, Oscar, Leonardo. In basso da sx: Luciano, Ezio, Michele, Alberto

 

Il loro Lp delle “lucciole” 25° nella superclassifica Tv Sorrisi e Canzoni 

 

Nel frattempo, il disco raggiunge la posizione 25 nella Superclassifica Top 50 di “TV Sorrisi e Canzoni”, lasciandosi alle spalle, tra gli altri, “Hotel California” degli Eagles e “Animals” dei Pink Floyd. Il grande successo sembra a un passo.

Ma la rivista musicale più letta in Italia in quegli anni, “Ciao 2001”, pubblica prima una recensione del disco e in seguito un approfondito servizio in cui il gruppo astigiano viene tacciato di passatismo, accusato di riproporre atmosfere già sentite, insomma di non essere in linea con le tendenze musicali del momento. In effetti, nel 1977 escono “Never mind the bollocks” dei Sex Pistols e la colonna sonora di “Saturday night fever”: vale a dire gli atti di nascita del punk e della disco music, due avversari formidabili per il rock romantico. Escono anche “Heroes” di David Bowie e gli album d’esordio dei Clash, dei Talking Heads e dei Television. I tempi stanno cambiando, i ragazzi hanno sempre meno voglia di ritrovarsi in salotti bui e fumosi ad ascoltare in religioso silenzio vinili che sprigionano genio e fantasia: meglio saltare e dimenarsi su ritmi più essenziali. La bellezza senza tempo di “Forse le lucciole…“ sarà riconosciuta pienamente in tempi più favorevoli, come abbiamo visto. Su consiglio di Niko si tenta di incidere qualcosa di più commerciale, come faranno per mantenersi a galla il Banco e perfino i Genesis e gli Yes: esce il 45 “New York”. Ma le vendite vanno male e la Phonogram decide di rescindere il contratto.  La magia è svanita, il gruppo si sfalda, ognuno prende la sua strada, in campo musicale e no. 

 

Arriva il successo internazionale dall’Asia al Messico

 

Solo dopo qualche anno il successo internazionale tardivo e forse inaspettato risveglia l’entusiasmo. Nella seconda metà degli anni Novanta c’è una prima reunion finalizzata alla realizzazione dell’album “Homo homini lupus”; ma niente concerti. Nel 2009 un’altra rinascita: con i “vecchi” Boero, Gardino, Mazzoglio e Sasso ci sono il chitarrista astigiano Massimo “Max” Brignolo e il tastierista torinese Maurizio Muha. La nuova formazione sale sul palco di Astimusica il 17 luglio del 2010: per l’occasione il loro superfan Yasushi Tsuruta viene apposta dal Giappone per ascoltare la sua band preferita! Sull’onda dell’entusiasmo viene pubblicato nel 2012 “The missing fireflies”, si suona a Roma con Francesco di Giacomo del Banco come ospite d’onore e si parte per le esperienze internazionali già raccontate. Insomma, una grande e prolungata festa, rinnovata ancora una volta con questo “2017 Farewell Tour” che ha già toccato Torino, Milano e Verona, arriverà a Roma (23 settembre, Planet Live Club) e a Genova (7 ottobre, Teatro Govi) per concludersi al Teatro Alfieri di Asti il 9 dicembre.

Sul sito compare la scritta “THE END, l’ultimo concerto”. 

Luciano ha un sorriso malizioso: ma sarà davvero l’ultima volta? Lui fa una faccia furbetta e risponde: “Sarà l’ultima volta dal vivo”.

Le fate, si sa, non vanno in pensione. 

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