Il primo campo da calcio non si scorda mai. Il nostro è chiuso da anni. Era il cortile dietro la Cattedrale. Da anni un cartellone posto all’esterno e reso illeggibile dalle intemperie promette un giardino a completamento dei lavori di restauro del complesso del San Giovanni. Soltanto chi ha passato i cinquanta ricorda che lì c’era un campo da calcio. Il nostro primo stadio. Il settimanale Astisabato, l’unico giornale astigiano a dedicare un’intera pagina (“Minisport”, a cura di Giuseppe Calloni) al calcio dei ragazzini, il 27 settembre 1971 annuncia: «…il Comitato Provinciale C.S.I. indice e la Commissione Tecnica organizza il Campionato Provinciale “Primi Calci” riservato agli atleti nati dal 1-1-1960 al 31-12-1963 […] – gli incontri si svolgeranno in due tempi di 15’ ognuno; la tassa di iscrizione è di £ 1000 più 2000 di deposito cauzionale». È la terza edizione del campionato Primi Calci: le prime due (69-70 e 70-71) sono state vinte dall’U.S. Combi, la squadra della parrocchia della Cattedrale che prende il nome dal mitico portiere della Juve dei cinque scudetti degli anni Trenta.
Le cronache del torneo pubblicate dal settimanale Astisabato
Ma per me che racconto questa storia quello del 1971-72 è il primo campionato: le prime maglie con i numeri, i primi arbitri, il primo pubblico, i primi risultati e le prime cronache da leggere sul giornale. Astisabato, appunto. L’11 ottobre il settimanale titola “Al via i campionati Primi Calci” ed elenca le nove squadre partecipanti, suddivise in due gironi. Girone A: Combi A, S. Silvestro, S. Pietro, S. Martino, S. Domenico Savio. Girone B: Combi B, Santa Caterina, Don Bosco, Torretta. Autore dell’articolo Gianni Truffa, che è anche dirigente accompagnatore del San Martino e diventerà la storica firma calcistica de La Nuova Provincia. Dall’elenco delle squadre si capisce che il campionato di fatto è il torneo degli oratori, con un pizzico di rivalità in più legato anche alla ripresa del Palio nel 1967. Il C.S.I. (Centro Sportivo Italiano), nato nel 1944 su iniziativa della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, nel dicembre del ’71 tiene nei locali del Seminario il suo 1° Congresso Provinciale, durante il quale l’Assistente ecclesiastico don Oreste Vercelli intrattiene i congressisti «su alcune meditazioni riguardanti l’aspetto cristiano dello sport e la problematica dell’assistente ecclesiastico nelle società sportive». Interviene con un breve saluto e “parole di stima e di incoraggiamento” anche il Vescovo, mons. Nicola Cavanna. Le partite si giocano negli oratori della Cattedrale e di San Pietro, del Don Bosco e di Santa Caterina. E i sacerdoti sono dirigenti, accompagnatori e direttori tecnici, come Padre Vasti a S. Martino e don Giuseppe a San Domenico, che noi bambini in maglia gialloverde chiamiamo “Dongiu”. È un calcio che potremmo definire ecclesiastico, un calcio, scusate la facile battuta, “alla viva il parroco”. Tenuto in piedi da pochi appassionati, persone leggendarie che la mia generazione porta nel cuore, come Vittorio Belangero (per noi semplicemente “il Toju”), che va a prendere e riaccompagna a casa con la sua 850 Fiat grigio topo i bambini che abitano troppo lontano, in un’epoca in cui nonostante il boom economico e la motorizzazione di massa non tutti i papà hanno la macchina. Il contesto storico, allora. Durante quel campionato gli Usa bombardano il Vietnam del nord, Pablo Neruda vince il Nobel, John Lennon pubblica Imagine; in Italia Giovanni Leone viene eletto Presidente della Repubblica e il commissario Luigi Calabresi è assassinato a Milano due mesi dopo l’incriminazione di Rauti, Freda e Ventura per la strage di Piazza Fontana. Intanto Lucio Battisti domina la hit parade con I giardini di Marzo e Pensieri e parole e tutti incominciano a cantare «le bionde trecce gli occhi azzurri e poi», senza immaginare che quasi cinquant’anni dopo la canteranno ancora. Noi della leva calcistica del ’61siamo in quinta elementare e il lunedì commentiamo appassionatamente quel poco calcio che abbiamo visto in tv la domenica: il tempo registrato di una partita di serie A alle diciannove e i servizi sulle partite che La Domenica Sportiva di Alfredo Pigna trasmette verso le ventidue. Partite in diretta solo quelle importanti di Coppa e quando gioca la Nazionale. È un calcio più sognato e immaginato che visto, ci arriva grazie a “Tutto il calcio minuto per minuto” attraverso la radiolina che ci portiamo allo stadio dove vediamo l’Astimacobi del diciottenne Antognoni perdere il campionato di serie D per un punto. E per un punto la Juve allenata da Vycpalek vince il suo quattordicesimo scudetto in volata sul Milan di Rivera e sul Toro di Giagnoni, nonostante il suo miglior attaccante, il ventunenne Roberto Bettega, a metà campionato debba fermarsi per una grave affezione all’apparato respiratorio, dopo aver segnato dieci gol in quattordici partite. I tifosi interisti si illudono che gli eroi della Grande Inter, Burgnich-Facchetti-Jair-Mazzola-Corso, tutti ormai sulla trentina, riescano, trascinati dal capocannoniere Boninsegna, ad alzare un’altra Coppa dei Campioni; ma nella finale di Rotterdam devono accettare la schiacciante superiorità di una squadra che sembra venire da un altro pianeta, l’Ajax di Johan Cruyff.
Sette ragazzini per squadra. Tempi da 15 minuti. Nessuna ingerenza dei genitori
Il lunedì esce in edicola Astisabato e il 18 ottobre il mio compagno di classe Mario Pagnozzi, che gioca nel San Pietro, ne porta una copia a scuola. Nell’intervallo leggiamo i risultati della prima giornata del nostro primo campionato: San Silvestro-S. Martino 12-0; Combi A-S. Domenico 4-3; S. Caterina-Torretta 1-4. Le partite si giocano il sabato pomeriggio, quindi la data del mio esordio assoluto è il 16 ottobre 1971. Di quella partita non ricordo granché, se non una fortissima emozione che mi induceva a disfarmi della palla il più velocemente possibile. Non ci capii molto, non feci nulla di memorabile, fui sostituito alla fine del primo tempo. A leggere la cronaca, dev’essere stata una bella partita: «In vantaggio per ben due volte i minicalciatori del San Domenico Savio non hanno saputo condurre in porto un risultato utile contro i campioni provinciali del Combi A. È stato comunque un incontro ricco di emozioni per i continui rovesciamenti di fronte operati con velocità dalle due compagini». Ecco, una cosa che ricordo è che il campo mi sembrava piccolo, mi sembrava che non ci fosse abbastanza spazio. Abituato ad allenarmi sul terreno del San Domenico, agli occhi di noi bambini grandissimo, il campetto in terra battuta della Cattedrale mi appariva ancora più piccolo di quel che fosse perché chiuso ai lati dalla parete della chiesa e da un gradone su cui si sistemava il pubblico. Per convenzione era fallo laterale quando la palla toccava il muro. Le porte non avevano le reti, si giocava sette contro sette e il pallone di cuoio era duro e pesante. E poi i giocatori del Combi A erano fortissimi: Maurizio Barrocu, Mario Cherchi, Pino Notaris e Foca Dastoli, con cui giocavo tutti i giorni ai Giardini pubblici. A vederci un drappello di persone e, almeno così ricordo, pochissimi genitori, che si comportavano con discrezione e non entravano negli spogliatoi. Anche perché gli spogliatoi non c’erano: si salivano le scale dietro una delle porte e ci si trovava in uno stanzone dove, dal sacchetto di plastica del supermercato, tiravamo fuori le scarpe con i tacchetti e i pantaloncini (ognuno metteva i suoi) e ricevevamo dal mister la maglia e i calzettoni senza il piede, con la fettuccia in fondo. Le docce figuriamoci, forse c’era un lavandino, ma a nessuno veniva in mente di lavarsi o di cambiarsi la biancheria: eravamo un po’ selvaggi. Educati però: gli arbitri, tra i quali il futuro avvocato Marco Venturino, erano rispettati, e le decisioni degli allenatori (tra di essi volti noti della vita astigiana come Paolo Borsato al S. Silvestro, Sergio Ferraris al D. Bosco e Giovanni Spandonaro alla Torretta) mai messe in discussione.
Alla finale di giugno c’è anche lo sponsor e vince il Combi
La fase eliminatoria si conclude prima delle feste con quattro squadre qualificate per il girone finale: Combi A, S. Domenico Savio, Torretta e Don Bosco. La classifica marcatori vede in testa Barrocu con 17 reti, poi Pagnozzi con 11, Cherchi con 9, Maurizio “Spicchio” Spandonaro e Mario Sesta, tutti e due della Torretta, con 8, Enrico “Chicca” Rossi del S. Silvestro, Antoncini del S. Domenico e Di Paola del D. Bosco con 7. Pausa invernale e natalizia. L’inverno è lungo ed evidentemente sorgono altri problemi, chissà di che natura, perché la fase finale inizia soltanto a metà giugno. In compenso è stato trovato uno sponsor: il torneo ha assunto la denominazione di “Trofeo Autoscuola Alfieri”. Nelle prime due giornate il Combi A regola il D. Bosco (4-1) e il S. Domenico (di nuovo 4-3!), la Torretta batte il S. Domenico per 5-3 e vince a tavolino con il D. Bosco, che non si presenta. La sfida della terza giornata tra Combi A e Torretta diventa quindi una finale secca e il Combi A si impone per 4-1, con le reti di Barrocu, Cherchi, Notaris e Orioni, per la Torretta Lamberti. Il cronista riferisce che «…il match decisivo, disputatosi sul terreno della Cattedrale, ha offerto però poche emozioni, in quanto i minicalciatori del Combi sono prevalsi un po’ troppo agevolmente su una Torretta apparsa inaspettatamente deconcentrata e quindi al di sotto delle proprie possibilità. La rappresentativa della Chiesa principale di Asti, confermandosi campione provinciale, ha così degnamente acquisito il diritto di ricevere il magnifico trofeo gentilmente offerto dall’Autoscuola Alfieri».
Chi c’era e chi non dimentica quei primi calci
Dei bambini che parteciparono a quel campionato, nessuno è diventato un calciatore professionista, a parte Paolo Marello del San Silvestro per qualche stagione, all’Imperia, al Civitavecchia e al Casale. Lui e Mario Sesta, recentemente scomparso, hanno giocato nelle giovanili del Torino. Enrico Rossi ha collezionato qualche decina di presenze e due gol nell’Asti tra il ’79 e l’81. Molti, me compreso, hanno militato nei campionati regionali Dilettanti, Promozione Prima e Seconda Categoria, nel Canelli e nella Sandamianese, nel Costigliole e nel Rocchetta Tanaro, nel Quattordio e nel Felizzano, nella Valenzana e nella Saviglianese, continuando per anni, tutte le domeniche, a inseguire un pallone su campi spesso spelacchiati, davanti a un pubblico di genitori, fidanzate e pensionati. Abbiamo vinto e perso mille volte, ma quando ci incontriamo nessuno si ricorda bene i risultati. Tutti però si ricordano del campetto in terra battuta dietro la Cattedrale.