La storia di Franco Vicenzi, il Cavalier Vicenzi, pare uscire dalle pagine del libro Cuore. Siamo alla fine della seconda guerra mondiale. Un ragazzino, 11 anni, orfano di madre, compie da solo un lungo viaggio che dal Friuli lo porta in Piemonte. Si mantiene imparando diversi lavori, ma si forma soprattutto come garzone di “bottega” nei forni del paese, in particolare nella pasticceria di Moriondo (oggi di proprietà della famiglia Berta, che poco fuori il paese ha anche una grande e rinomata distilleria).
Mandorle e armelline la ricetta nata da un amore tra Piemonte e Sicilia
A Mombaruzzo la tradizione degli amaretti ha radici profonde. Devono essere “duss en poc meiret”. L’inventore della delizia a base di mandorle fu il mombaruzzese Francesco Moriondo, economo di casa Savoia, innamorato di una giovane pasticcera di origine siciliana che lavorava nelle cucine reali. Lasciata la corte, la coppia si trasferì a Mombaruzzo, dove iniziò a produrre e commercializzare il dolce, arricchendo la ricetta di partenza con una piccola percentuale di “armelline”, le mandorle contenute nel nocciolo dell’albicocca. È proprio questa nota amarognola a dare il nome agli amaretti. Il giovanissimo Franco Vicenzi apprende l’arte del fare gli amaretti da Giacinto Moriondo, erede diretto dell’inventore.
L’apprendistato dai Moriondo poi il matrimonio
Dopo anni di gavetta e poco più che ventenne decide di mettersi in proprio. Al suo fianco c’è la moglie Mariangela Pernigotti Gabetto, di due anni più grande, conosciuta nella pasticceria Moriondo dove anche lei lavorava. Nel 1955 le cose evolvono. «Fu quando i Moriondo ristrutturarono la loro pasticceria che iniziammo a fare gli amaretti in casa e a venderli sfusi sulla piazza – ricorda Mariangela, che oggi ha 78 anni – Per alimentare il forno andavamo a recuperare le fascine nei boschi e nelle vigne». Franco non si accontenta, vuole superarsi. Rielabora la ricetta appresa dal suo maestro. Prova e riprova con mandorle, armelline, zucchero, albume d’uovo. Ripensa il metodo di lavorazione e la cottura riuscendo a conferire ai suoi amaretti una speciale morbidezza che si mantiene per mesi. Per la giovane coppia gli affari cominciano ad andare bene. Con il gruzzolo messo da parte possono rilevare la gestione della nuova pasticceria. Producono a mano quintali di amaretti e Franco gira, giorno e notte, per le consegne alle pasticcerie, drogherie e ai ristoranti. Deve anche superare l’aumento del canone di locazione concordato. L’affitto aumentava di 50 lire per ogni chilo di amaretti smerciati: «Eravamo arrivati a versare quasi un milione e mezzo di lire in tre mesi – prosegue Mariangela -Troppo». Franco decide a quel punto di fare “il salto”: si sarebbero trasferiti su un appezzamento poco fuori dal paese, vi avrebbero fatto costruire il forno, la casa e una caffetteria e si sarebbero messi definitivamente in proprio. Mariangela è spaventata dalla nuova avventura. Tuttavia Franco non si lascia scoraggiare: «In fondo – ripete a sua moglie – se continuiamo a fare buoni amaretti i debiti si pagheranno». Franco ha le spalle larghe. A sei anni, passava mesi in malga a pascolare il bestiame sulle montagne del Friuli. Si è fatto uomo e imprenditore da solo, ha un forte carisma e infonde ottimismo. Siamo negli anni Sessanta.
Anni Sessanta nuovo laboratorio poco fuori il paese
La coppia, che nel frattempo ha avuto due bambini, Armandino e Mario, ottiene dalla banca un mutuo e poco prima dell’inverno inizia i lavori per la costruzione della nuova pasticceria-laboratorio.«Avevamo due forni in paese – spiega ancora la signora Vicenzi –; Franco ne smontò uno e lo rimontò nella pasticceria in costruzione, mentre io continuavo a lavorare con l’altro. Non perdemmo tempo. In due giorni era in funzione anche il secondo». «Che freddo quell’inverno. Quanti sacrifici e quanto lavoro – ricorda Mariangela. Nella nuova sede eravamo in otto a impastare amaretti. La sera, dopo il lavoro, ci sedevamo tutti insieme a confezionarli. Sotto le feste poi, arrivavano tutti dal paese per darci una mano a preparare i pacchi e le confezioni: amici e parenti tutti coinvolti». Mariangela lavora fino a tarda notte nel negozio, che all’epoca era anche bar e caffetteria, mentre i suoi genitori si occupano dei bambini. Il fratello Renzo segue la produzione e Franco si occupa personalmente delle vendite. Aumentano i clienti a Torino e in Piemonte e arrivano richieste da Lombardia e Veneto. Ugo Borgotallo li fa conoscere a Nizza e in Costa Azzurra e gli amaretti morbidi made in Mombaruzzo varcano il confine. Sulle scatole azzurre che li contengono compare la veduta del borgo di Mombaruzzo ritratta a colori vivaci dal pittore alessandrino Guido Botta. Se si scostassero le alte fronde degli alberi, la veduta dallo stabilimento sarebbe ancora oggi la stessa.
Nel 1985 Vicenzi diventa Cavaliere della Repubblica su nomina di Pertini
Negli anni Settanta e Ottanta le fatiche dei coniugi Vincenzi sono ricompensate da premi e riconoscimenti prestigiosi. Le medaglie d’oro delle esposizioni nazionali e internazionali nel 1973, nel 1974 e nel 1976; l’Aquila d’argento nel 1980; il premio “Dino Villani” dell’Accademia Italiana della Cucina dedicato alle migliori aziende artigianali a conduzione familiare che si siano distinte a valorizzare un prodotto tradizionale della cucina italiana; il premio Rotisseurs; il Cavalierato europeo, la Gran Croce al merito da parte dell’Accademia Italo Americana.
Nel 1985 Franco Vicenzi viene insignito a Roma del riconoscimento di Cavaliere al Merito della Repubblica. La nomina è firmata dal presidente Sandro Pertini. Quel titolo di Cavaliere entra nel logo dell’azienda e ne diventa un tratto distintivo.
La gamma si è allargata e cresce la quota export
Purtroppo Franco Vicenzi – il visionario imprenditore, il brillante sperimentatore, il playboy innamorato perdutamente della moglie e della sua bella famiglia, lo sportivo, il Cavaliere – è morto prepaturamente quindici anni fa. «Mio marito era una persona speciale – ricorda la signora Vicenzi –, lo si capisce da come parlano di lui ancora oggi le persone del paese. A volte lo sgridavo e lui mi diceva che voleva essere ricordato come quello che aveva sempre dato, mai come quello che aveva preso. Per lui Mombaruzzo è stato tutto, una seconda patria». Oggi Mariangela racconta le avventure di nonno Franco ai suoi nipotini, sfogliando con amore gli album di famiglia. Alla guida dell’azienda (rilevata al 50 per cento dal socio, Gabriele Vigo), c’è il figlio Mario, cresciuto in mezzo agli amaretti, respirando insieme alla dolcezza, i sacrifici e l’etica del lavoro dei genitori. Mario ha migliorato e ammodernato il laboratorio. L’offerta si è ampliata: dal classico morbido amaretto alla mandorla, al ricoperto, alla nocciola, al caffè, al gianduia. Per chi ama invece la frutta sono disponibili i gusti limone, mandarino e albicocca, ottenuti da confetture naturali del produttore Ambrosio di Striano (Napoli). L’impegno di Mario è continuare il lavoro dei genitori e la tradizione dei dolci piemontesi. Si vorrebbero inserire in gamma anche baci di dama, torcetti, paste di meliga.