sabato 27 Luglio, 2024
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1882-1999

Contro la fabbrica della morte

Oltre un secolo di proteste processi e manifestazioni
La vicenda delle lotte per la chiusura dell’Acna, la fabbrica chimica che per decenni ha avvelenato l’ambiente e le acqua della Val Bormida, è di straordinaria attualità: il caso della siderurgia a Taranto, quello del polo chimico di Porto Marghera, il dramma vissuto a Casale Monferrato e nelle altre sedi dove sorgevano stabilimenti dell’Eternit mette in evidenza l’assurda contrapposizione tra difesa della salute e mantenimento dei posti di lavoro. Anche in Val Bormida ci si è scontrati duramente tra i piemontesi che difendevano la loro valle e i liguri aggrappati all’economia creata da quella fabbrica di morte. Ripercorrere oltre un secolo di vita di queste genti è utile per non dimenticare le loro battaglie e pretendere che le istituzioni non ripetano gli stessi tragici errori.

Nel 1882 il sito di Cengio fu scelto per una fabbrica di dinamite

Era isolato e aveva a disposizione l’acqua del Bormida

Hai mai visto Bormida? Ha l’acqua color del sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti della fabbrica di Cengio e sulle sue rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua più porca e avvelenata che ti mette freddo nel midollo, specie a vederla di notte sotto la luna». Così scriveva Beppe Fenoglio nel racconto Un giorno di fuoco pubblicato dopo la sua morte, nel 1963. Appena un paio di stagioni prima era stato Augusto Monti a testimoniare il vissuto sulla propria pelle nei Sanssòssi: «E giù dal Cengio il dinamitificio ti fotte in Bormida di quattro in sette tutta quella peste, e l’acque vengono giù livide come rame, una schiuma verde, pesci morti a pancia in su, le bestie la rifiutano: una malefizio ti dico… e per fare che cosa? Esplosivi dinamite balistite, per ammazzar della gente». La storia centenaria dell’inquinamento della Valle Bormida ha trovato spazio anche nelle opere dei due grandi scrittori piemontesi originari delle Langhe, quella albese per l’autore del Partigiano Johnny e quella astigiana per il professore di Monastero Bormida, che con parole forti richiamano alla mente immagini sinistre e funeste di un fiume morto, devastato dai rifiuti di una fabbrica, l’Acna di Cengio, che dava lavoro ma nello stesso tempo avvelenava pozzi, acquedotti, orti, campi, vigne. Una drammatica epopea che prende il via agli albori dell’attività industriale, nel 1882, con la realizzazione di una fabbrica di dinamite (dinamitificio Barbieri) a Cengio, piccolo paese agricolo ai confini tra Liguria e Piemonte, in un’ampia ansa del fiume Bormida. I motivi che portano alla scelta di Cengio per la costruzione della fabbrica sono principalmente la grande disponibilità d’acqua e di manodopera a basso costo e il collegamento ferroviario con il vicino porto di Savona. Nel 1890 gli operai sono già 700, e Cengio allora contava circa 1300 abitanti. All’inizio del ’900 il dinamitificio Barbieri viene rilevato dalla Sipe (Società Italiana Prodotti Esplodenti). Sono gli anni delle guerre coloniali in Libia e gli esplosivi sono usati massicciamente nelle guerre per la creazione dell’Impero coloniale italiano. Gli impianti industriali occupano 50 ettari e durante la prima guerra mondiale si raggiunge il massimo numero di occupati, circa 6000. Molti contadini nel periodo invernale risalgono a piedi la Valle da paesi distanti anche 35-40 chilometri per fornire la propria manodopera alla fabbrica della dinamite. Cominciano però a farsi sentire gli effetti dell’inquinamento: non si può più utilizzare l’acqua del fiume per irrigare e la nebbia e le piogge portano i veleni chimici nei terreni. Il pretore di Mondovì vieta l’utilizzo a scopo potabile dei pozzi nei comuni di Saliceto, Camerana e Monesiglio. È la prima di tante ordinanze. Inizia la spaccatura tra le popolazioni che ricevono lavoro da quella fabbrica e quelle che subiscono gli effetti dell’inquinamento di almeno cento chilometri di fiume, fino alla confluenza con il Tanaro dalle parti di Alessandria.

 

         

Nel 1938 la prima causa promossa da 600 contadini

La sentenza dopo 24 anni dà ragione all’azienda

Dopo il primo conflitto bellico la produzione di esplosivi diventa meno urgente ed è sostituita da quella di prodotti coloranti e affini. Mentre vengono chiusi altri acquedotti, tra cui quello di Cortemilia, nel 1929 nasce l’Acna (Aziende Chimiche Nazionali Associate), di proprietà dell’Italgas, che poco dopo (1931), per problemi finanziari, cede la fabbrica alla Montecatini e alla IG Farben. L’acronimo Acna non cambia, ma da qui in poi la denominazione sarà Azienda Coloranti Nazionali e Affini, con circa 700 dipendenti che riprendono anche a realizzare esplosivi. Il regime ne ha bisogno per la guerra d’Abissinia.  Risale al 1938 la prima causa giudiziaria contro la fabbrica di Cengio. Seicento contadini citano in giudizio l’Acna per danni causati dall’inquinamento. La giustizia italiana ci mette 24 anni a decidere e nel 1962 la sentenza darà loro torto, condannandoli al pagamento delle spese processuali. Risale già al 1939 il primo grave incidente in fabbrica. Una tremenda esplosione causa la morte di cinque operai. Le prime grandi proteste contadine contro la fabbrica dei veleni si registrano a metà degli Anni ’50 e sono guidate da Antonio Giolitti, leader politico e intellettuale cuneese molto noto, amico e compagno di partito nella corrente “migliorista” del Pci dell’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nel 1956 Giolitti partecipò alla “Marcia su Cengio” degli agricoltori piemontesi insieme a Walter Audisio, parlamentare del Pci, più noto con il nome partigiano di “colonnello Valerio”, che eseguì la sentenza di morte di Benito Mussolini e Claretta Petacci. La Marcia del 12 maggio 1956 diventa un simbolo della protesta contadina. I manifestanti, a cui viene impedito di raggiungere Cengio, bloccano la statale per Savona. Vengono arrestati in 52, tra cui Luigi Bertola e Luigi Troia, di Gorzegno, figure storiche delle lotte contadine della Valle.  Le grandi mobilitazioni degli Anni ’50 e ’60 non portano a nulla di concreto. Troppo forte il potere economico della Montecatini che nel 1960 rinnova con il Ministero dell’Agricoltura la concessione per far deviare nello stabilimento le acque del Bormida per altri 70 anni. Il fiume si tinge di un colore diverso ogni giorno e nel 1969 viene chiuso anche l’acquedotto di Strevi, a 80 chilometri di distanza da Cengio. Cominciano le iniziative giudiziarie da parte dei comuni inquinati. Nel 1970 è il sindaco di Acqui a sporgere denuncia per avvelenamento di acque destinate al consumo umano. I dirigenti Acna denunciati vengono, però, assolti, nel 1974. Ma la sensibilità su questi temi lentamente sta cambiando. Nel 1976, dopo il disastro di Seveso, entra in vigore la Legge Merli, la prima a stabilire limiti e divieti alle emissioni inquinanti. L’Acna è costretta a scaricare di nascosto i propri residui di lavorazione o a diluirli maggiormente e per la prima volta presenta un progetto di depurazione. Ma si tratta di soluzioni di facciata che non migliorano la situazione.

 

         

Il primo progetto di depurazione solo nel 1976 dopo il disastro di Seveso

1986: annus horribilis in Val Bormida riprende la lotta

L’11 maggio 1979 un forte scoppio nel reparto del micidiale cloruro di alluminio (di cui la fabbrica di Cengio è tra i maggiori produttori mondiali), provoca la morte di due operai e riaccende le polemiche sulla sicurezza dei lavoratori e degli abitanti della zona. E cresce un nuovo incubo: l’aumento dei casi di decesso per cancro alla vescica. Nel 1982 è l’Amministrazione provinciale di Asti a denunciare nuovamente i dirigenti dell’Acna, ma alle prime lievi condanne seguirà l’assoluzione in appello. Il periodo di lotta più intenso e coinvolgente che porterà alla chiusura definitiva della fabbrica della morte e alla cessazione dell’inquinamento inizia il 10 gennaio 1986, quando un nuovo grave incidente provocato da una fuga di gas riduce in fin di vita due operai. I quotidiani nazionali tornano ad occuparsi dell’Acna con titoli a effetto come «Torna la paura in Valle Bormida» o «Di nuovo allarme nella tragica fabbrica del cancro e della morte». A marzo parte il primo esposto di sindaci e ambientalisti piemontesi contro l’azienda per inadempienze alla legge Merli e subito dopo il movimento anti-Acna comincia a crescere e a organizzare incontri, assemblee, ricorsi, appelli, lettere, manifestazioni. In quell’annus horribilis ci furono anche le morti causate dal vino al metanolo, l’acqua potabile inquinata a Casale Monferrato dall’atrazina usata nelle risaie e la gigantesca paura mondiale della nube tossica uscita dalla centrale atomica sovietica di Cernobyl.  Il primo, importante convegno sul caso Acna, intitolato Bormida, morte di una Valle, si svolge l’11 ottobre 1986 nel salone “Giardino dei Sogni” di Bubbio ed è organizzato dall’associazione Pro Natura, con il patrocinio della Comunità montana Langa astigiana. Per la prima volta intervengono tecnici ed esperti che fotografano la situazione della Valle Bormida in modo scientifico, definendola tra le più a rischio d’Europa. Sono presenti giornalisti de La Stampa e del Secolo XIX e il settimanale Famiglia Cristiana dedica un ampio reportage al dramma della Valle Bormida. Nel 1987 nasce a Vesime l’Associazione Rinascita Valle Bormida per iniziativa di tre ragazzi del posto, Graziano Borelli, Riccardo Cavallo, Enrico Polo. Si tratta del più importante movimento popolare mai nato in Valle Bormida, erede dei movimenti di lotta degli anni ’50 e ’60 ma destinato a durare molto di più, forte di un grande consenso popolare. L’associazione è organizzata in modo estemporaneo ma con una leadership riconosciuta, quella di Renzo Fontana1, e negli anni della protesta più forte – ’88-’89-’90-’91 – l’Associazione Rinascita arriverà a essere presente su tutto il territorio della Valle Bormida, da Saliceto a Castellazzo Bormida. Il 22 novembre 1987 si svolge la prima “passeggiata ecologica” a Cengio a cui partecipano seicento persone e pochi giorni dopo, il 27 novembre, il Consiglio dei ministri approva il decreto che dichiara la Valle Bormida «Area ad elevato rischio di crisi ambientale».

 

           

Quaranta sacerdoti predicano:

«L’Acna inquina e commette peccato»

 

Il 1987 è anche l’anno che vede costituirsi il fronte dei parroci della Valle, quaranta sacerdoti che dicono esplicitamente: «L’Acna inquina e quindi commette peccato». Alcuni di loro, come don Vincenzo Visca e don Oberto Bernardino di Cortemilia, i fratelli Carlo ed Emanuele Alessandria di Levice e Gorzegno, don Giovanni Toso di Castino e don Pierpaolo Riccabone di San Giorgio Scarampi, saranno strenui difensori del diritto alla salute e a un ambiente pulito e diventeranno dei punti di riferimento per i valligiani alla stregua dei sindaci e dei ragazzi dell’Associazione. Il 20 marzo ’88 i manifestanti che sfilano per le vie di Cengio per chiedere la chiusura dell’Acna sono ottomila. È la prima grande manifestazione popolare che la Valle piemontese organizza in casa dell’Acna, andando oltre le profonde divisioni tra la gente di Piemonte e Liguria, tra lavoro e inquinamento. Ne seguiranno diverse altre e ogni volta saranno polemiche forti, occupazioni delle aule dei Consigli regionali di Torino e Genova, blocchi delle autostrade e delle ferrovie e, in qualche caso, anche tafferugli tra le opposte fazioni. Il 20 marzo il fronte degli amministratori piemontesi marcia compatto per la chiusura della fabbrica. Ad aprire il corteo è il gonfalone della Regione Piemonte con in testa il presidente del consiglio regionale Aldo Viglione, avvocato cuneese ed ex-partigiano, che morirà a dicembre dello stesso anno in un incidente stradale tra Villastellone e Moncalieri. Il 1988 apre un quadriennio di grandi proteste che coinvolgeranno tutte le sedi istituzionali, da Torino, a Roma, a Strasburgo. Dopo la manifestazione di Cengio si registra la contestazione a Bossolasco del ministro della Sanità Carlo Donat Cattin. L’incontro organizzato dalla Comunità montana Alta Langa si risolve in una rissa verbale con i valligiani piemontesi.

 

La protesta blocca la tappa del Giro d’Italia al Colle Don Bosco

 

Il “clou” dell’anno si avrà il 2 giugno a Colle Don Bosco, dove si corre la tappa del Giro d’Italia Parma-Castelnuovo Don Bosco, organizzata in onore del centenario della morte del santo astigiano. Ottocento valligiani bloccano la corsa a 5 chilometri dall’arrivo per protestare e chiedere la chiusura dell’Acna. La tappa viene annullata e la Val Bormida finisce su tutti i telegiornali nazionali. Quella dell’88 è un’estate senza pause. Il 23 luglio avviene una fuga di anidride solforosa dal reparto oleum dell’Acna. La protesta piemontese per l’ennesimo incidente nella fabbrica dei veleni dà l’avvio a un’ondata di manifestazioni con blocchi stradali e ferroviari su entrambi i versanti della Valle. Il nodo Acna viene dibattuto alla Camera dei Deputati venerdì 29 luglio. Dalla Valle partono 30 pullman con duemila manifestanti cuneesi, astigiani e alessandrini che raggiungono piazza Montecitorio e manifestano pacificamente per chiedere la chiusura della fabbrica di Cengio. È la prima di cinque spedizioni che migliaia di piemontesi, tra l’88 e il ’90, faranno a proprie spese a Roma per incontrare parlamentari e ministri e in un’occasione anche papa Wojtyla. Le proteste romane, a cui si contrappongono le contromanifestazioni di operai e sindacalisti Acna assiepati in piazza del Parlamento e tenuti a distanza dai cordoni della polizia, inducono il ministro dell’Ambiente Giorgio Ruffolo, socialista, a nominare una commissione tecnico-scientifica che indaghi sulla compatibilità tra Acna e territorio e che faccia cessare le produzioni per periodi temporanei.  Per ridurre l’impatto sul fiume dei suoi scarichi l’azienda Enimont presenta il progetto di un inceneritore per il recupero dei solfati che diventerà il famigerato Re-sol. I solfati sono prodotti nelle lavorazioni Acna e passano anche dall’acqua all’aria. A inizio 1989 la Regione Liguria approva il progetto e per protesta millecinquecento persone manifestano al Festival di Sanremo cercando di sfruttare la visibilità dell’evento. E sul palco Gino Paoli e il duo Al Bano e Romina cantano esibendo la spilletta e il cappellino Valle Bormida Pulita.

 

         

A Roma le posizioni contrapposte di piemontesi e liguri.

Di chi chiede la chiusura dell’Acna e di chi difende il lavoro

 

Il periodo di maggiore tensione di quella che da più parti fu definita una “guerra tra poveri” si registra nella primavera 1989. Il 19 aprile i sindaci di Terzo e Perletto Eliana Barabino e Sauro Toppia, e il leader dell’Associazione Rinascita Valle Bormida Renzo Fontana scoprono nella zona dello scarico Acna, grazie alla telefonata anonima di un operaio, una fuga di liquidi inquinanti nel Bormida, il pericoloso “percolato”. Sono acque altamente inquinate, di colore rossastro e dall’odore nauseabondo che defluiscono nel fiume dai muri perimetrali della fabbrica e che alcuni operai tentano di risucchiare all’interno con una pompa idrovora. Sono avvisati i carabinieri e i tecnici dell’Ussl di Carcare e per un mese inizia un presidio degli abitanti della Valle che dura 24 ore su 24, fra le proteste e le tensioni dei lavoratori Acna e dei cengesi. L’iniziativa ottiene visibilità sui media nazionali: anche giornalisti come Santoro e Lubrano, per citare i più famosi, dedicano intere puntate delle loro trasmissioni al caso Acna e allo scontro tra piemontesi e liguri. Sabato 20 maggio il presidio dei valligiani, costituito da decine di tende, viene sgomberato con la forza dalla polizia, squadra antisommossa del supercarcere di Cuneo, dopo che nella giornata di venerdì 19 si erano vissuti momenti di grande tensione, con lancio di pietre e bastoni sul campeggio dei piemontesi da parte di un gruppo di operai e sindacalisti che avevano raggiunto la zona dello scarico. Ma lo scontro più duro avviene nel pomeriggio di sabato 20 maggio, quando sulla strada statale che collega Cortemilia a Cengio, ai confini tra Piemonte e Liguria, centinaia di valligiani intervenuti con i trattori per protestare contro lo sgombero del presidio sono attaccati dalla polizia che usa lacrimogeni e manganelli. Quattro ragazzi finiscono feriti all’ospedale.  Il 29 maggio, a Cosseria, viene fatto esplodere un traliccio dell’Enel che porta la corrente all’Acna. L’attentato di matrice “anarchica” precede di pochi giorni le elezioni europee, che in Valle Bormida registrano un’astensione dal voto del 92%. Nel novembre 1990 diecimila persone manifestano nuovamente a Cengio contro l’Acna e l’inceneritore per il recupero dei solfati, la cui realizzazione viene commissionata all’azienda tedesca Lurgi per un costo di 70 miliardi di lire. Nei primi anni ’90 anche l’Acna è investita dal ciclone Tangentopoli che coinvolge pesantemente la chimica italiana, dominata dalla figura di Raoul Gardini, patron di Enimont. I valligiani piemontesi incontrano al palazzo di giustizia di Milano il giudice Paolo Ielo, collaboratore di Piercamillo Davigo, e gli consegnano un dossier sui tanti passaggi societari dell’Acna di Cengio, sulla vicenda del piano di risanamento della Valle e sul caso Re-sol. Una delegazione di sindaci e ambientalisti raggiunge anche Ravenna, la città di Gardini, per convincerlo a chiudere la fabbrica dei veleni e a rinunciare all’inceneritore. Proprio i rischi del Re-sol, alla cui realizzazione è legato il destino dell’Acna, diventeranno l’asso nella manica dei piemontesi per vincere la secolare battaglia contro l’inquinamento.  All’Associazione Rinascita Valle Bormida decidono di lanciare da Saliceto 5000 palloncini colorati contenenti un messaggio nel quale si preannunciano i possibili danni ambientali dell’inceneritore. L’aria di mare spinge i palloni verso il Piemonte e alcuni di questi vengono intercettati anche su Alba e Barolo. È la dimostrazione di quello che si sostiene da tempo. Le colture di Langa, in particolare i vigneti albesi, potrebbero essere inquinati dai fumi Acna, un rischio assurdo e reale che rovinerebbe per sempre l’immagine enologica della zona. Si forma l’asse Valbormida-Alba che per tutti gli anni ’90 contrasterà con forza il progetto Re-sol, con quattro manifestazioni organizzate nella capitale delle Langhe e decine di iniziative di protesta portate avanti da oltre cento comuni di Langhe, Monferrato e Roero. L’ultima grande mobilitazione organizzata il 16 marzo 1996 e annunciata dal suono delle campane a martello di centinaia di campanili dei borghi piemontesi (non accadeva dai giorni della liberazione contro il nazifascismo), sancirà il definitivo vantaggio dei comuni inquinati sulla fabbrica della morte, un vantaggio che si trasformerà in vittoria definitiva con la decisione del ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, il ministro verde, di dare parere negativo sulla costruzione dell’inceneritore, il cui progetto non rispettava le prescrizioni assunte dalla Commissione Via (Valutazione di Impatto Ambientale).

 

           

La chiusura definitiva arriva nel 1999 

sono passati 117 anni

La parola fine alla vicenda Acna viene messa nel gennaio 1999, quando l’Enichem, subentrata all’Enimont dopo i fatti di Tangentopoli, comunica la messa in liquidazione definitiva della fabbrica e la cessazione delle produzioni. L’impossibilità di trovare compratori e le ripercussioni di una diffusa crisi di mercato, con il conseguente calo degli ordini, costringe il colosso chimico alla decisione finale. Dopo 117 anni di produzione lo stabilimento chiude e i 230 lavoratori sono messi in cassa integrazione. Oggi l’Acna di Cengio sembra un gigante addormentato che attende una riconversione finora sempre rinviata.  I suoi rifiuti sono stati scoperti anche nella discarica campana di Pianura, gestita dalla camorra, e individuati nel traffico di fusti tossici delle ecomafie su cui indagò anche la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi. 

La situazione attuale: la fabbrica è chiusa in un grande sarcofago

 

Giornali di mezzo mondo hanno pubblicato storie di reflui industriali Acna spediti in Polonia, Romania, Turchia, Corno d’Africa da gruppi mafiosi legati alla ’ndrangheta in combutta con i contrabbandieri internazionali di oli minerali e rifiuti industriali. Buona parte dei terreni che circondano la fabbrica sono stati bonificati o resi innocui con un enorme “sarcofago” di materiale ìsolante e un muro di cinta di due chilometri di lunghezza che evita la fuoriuscita dei reflui nel fiume. I famigerati “lagoons” sono stati svuotati e i 380mila metri cubi di reflui trasferiti in treno in alcune ex miniere di salgemma nei pressi di Lipsia, in Germania. L’importante lavoro di bonifica è stato portato avanti e diretto, nel periodo 1999-2004, dal commissario straordinario Stefano Leoni, che recentemente è stato presidente nazionale del Wwf.  Molto ci si aspettava dai fondi per la bonifica e lo sviluppo promessi dai governi nazionali negli ultimi vent’anni e dal risarcimento danni dovuto dall’Eni per i siti contaminati. Grandi attese, illusioni ma risultati concreti non se ne sono ancora visti e le varie soluzioni proposte non hanno sortito alcun effetto.

 

La vita riprende in Valle Bormida

 

Nell’ottobre di quest’anno una delegazione di sindaci dalla Valle Bormida ha ricevuto rassicurazioni dalla regione Piemonte su un primo stanziamento dei fondi per la bonifica e il recupero ambientale che ammonterebbero a un totale di 23 milioni e mezzo di euro, frutto dell’accordo tra regione e ministero dell’Ambiente. Una prima tranche di 4,8 milioni potrebbe arrivare entro fine anno. Tutto ancora in forse, invece, sul risarcimento danni dovuto dall’Eni per i danni causati dall’inquinamento in oltre cent’anni di produzioni inquinanti (dal divieto di uso irriguo e alimentare delle acque ai danni alla viticoltura e via dicendo).  Si attendono ancora le relazioni tecniche che permettano ai tecnici del ministero dell’Ambiente di quantificarli ma soprattutto si teme una controffensiva legale dell’Eni che potrebbe portare a un lungo braccio di ferro. Nel frattempo, il fiume ucciso dai veleni dell’Acna è stato restituito alla popolazione della sua Valle ed è tornato a essere una risorsa naturale importante per l’economia e il turismo, un richiamo per molti stranieri (svizzeri, tedeschi, austriaci, inglesi, irlandesi) che hanno scelto di risiedere stabilmente sulle colline dell’Alta Langa e della Langa astigiana. Chi vive qui ha riscoperto la pietra arenaria, utilizzata per ristrutturare cascine e casolari e per ricostruire gli antichi terrazzamenti dove è tornato a maturare il dolcetto, quel vino un tempo imbevibile perché sapeva di fenolo e oggi simbolo del rilancio di un’intera vallata insieme alla nocciola “tonda gentile” e alla robiola di Roccaverano. E il Bormida descritto da Fenoglio e Augusto Monti resta un ricordo letterario, per non dimenticare.

NOTE

1 – Renzo Fontana, giornalista di Gorzegno che lavora all’Unità, ritorna in Valle Bormida da Genova a fine 1987 e  diventa il leader dell’Associazione Rinascita e il portavoce principale 

con il giornale Valle Bormida Pulita

La sua personalità forte e decisa piace alla gente e i suoi interventi nelle piazze di tutta la Valle strappano applausi e convincono molte persone a mobilitarsi. Fontana morirà in un tragico incidente stradale l’11 settembre del 2002. 

Ai funerali partecipa una moltitudine di persone. Recentemente, i comuni di Gorzegno e di Cessole gli hanno 

dedicato i due ponti sul Bormida ricostruiti dopo l’alluvione del 1994.

La Scheda

 

 

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