Dice Gian Piero Varenni: “La mia miglior fisioterapia? Il lavoro”. Classe 1938, si muove con sicurezza in quei corridoi stretti e pieni di presepi e con più di 5 mila cesti in vimini impilati uno sull’altro. Ha percorso migliaia di chilometri lì dentro, pari forse a qualche giro del mondo. È entrato ufficialmente in negozio il 1° settembre 1952. «O si studia o si lavora, mi disse mio padre. E io non ho avuto dubbi».
Una famiglia di ombrellai
Da 65 anni, gli astigiani sono abituati a vederlo dietro o davanti a quelle due vetrine della Cesteria di via Aliberti, nel cuore del vecchio ghetto di Asti. «I miei genitori – racconta – avevano il banco al mercato: vendevano cappelline di paglia. Se le ricorda? Quelle che si usavano in campagna. Il negozio era di proprietà di mio zio Giovanni e di mio papà Rinaldo: era in via Aliberti 14. Mio nonno era un ombrellaio del Lago Maggiore e aveva un negozio di ombrelli e cesteria a Mombercelli».
In bottega Gian Piero entrò a 14 anni: «Il negozio era molto più piccolo: solo due vetrine, era molto spartano. Facevamo ombrelli – tira fuori dal cassetto i grossi forbicioni che si usavano per tagliare la stoffa – e si facevano riparazioni. Ormai gli ombrelli nessuno li fa più qui: sono tutti cinesi. Avevamo la cesteria: compravamo il vimini dagli operai della Way Assauto che la domenica andavano lungo il Tanaro a raccoglierlo per arrotondare il salario. Erano gli Anni ’50 e noi eravamo artigiani. Avevamo la clientela della Asti bene che comprava i piumini di struzzo e le scope di saggina, e io le portavo in bicicletta fino in corso Dante». Ricordo che andavo dai Griffa, dai Ballario, anche dai Conte.
I ricordi di un centro storico vivo di attività e mestieri
«Ho visto passare tanta gente e cambiare la città» confessa il cestaio di via Aliberti. E aprire e chiudere tante botteghe. I suoi ricordi sono come una fotografia nitida delle attività che si svolgevano lungo quelle vie.
«Quando arrivai c’era anche il magnan che riparava le pentole in rame e un negozio che vendeva accessori per biciclette. Poi c’erano la tipografia Campini, la drogheria Migliarino, la macelleria Ghia che vendeva 7 vitelli alla settimana, un ingrosso di lattoniere, Marozzi scarpe, una modista tipo merceria, la famiglia Boano che faceva polleria, un negozio che vendeva vestiti per persone anziane e per la comunione delle bambine, una macelleria equina, poi un altro macellaio: prima Novalito, poi Girola. C’era poi la parrucchiera Neri, la mamma di Bruno Gambarotta».
L’elenco continua ricordando l’altro lato di via Aliberti… «Raimondo il pasticciere, dove oggi c’è la Drogheria, un negozio di vestiti da donna e da sposa, qui accanto a me vendevano trippa, ma solo il mercoledì e il sabato, e i Ponchione vendevano carne argentina. Il primo negozio che ha chiuso è stato Opezio: vendeva olio e sapone».
Varenni parla volentieri e racconta la sua vita: «Nel 1970 ho fatto debiti: ho comprato i muri del negozio. Spesi 18 milioni di lire. Non avevo un soldo, ma solo tanti debiti. Avevo così tanti debiti che a Capodanno ho messo il vestito da sposo. Non prendevo il caffè per risparmiare». E aggiunge: «Mi hanno aiutato il boom economico e la moda del vimini: non facevo in tempo a mettere le cose in vetrina che era tutto venduto».
Un mondo di presepi etnici di varie culture
Fu così che nel 1982 Gian Piero raddoppiò i locali e nel 1988 fece un regalo molto particolare alla moglie Iucci, ex dipendente comunale all’ufficio elettorale, per i loro 25 anni di matrimonio: un altro negozio sempre in via Aliberti, solo un po’ più su. All’inizio c’era un’esposizione di salotti in vimini, sedie a dondolo e arredamento da giardino. Poi tutti gli astigiani se lo ricordano per i grandi presepi che venivano allestiti. «Il presepe vivente che organizzammo nella via negli Anni 90 fu una delle mie più grandi emozioni» dice Varenni. «Ho introdotto i presepi negli Anni 80: sono partito dalle statuine artigianali napoletane, siciliane, dell’Umbria con le ceramiche di Deruta – racconta Gian Piero – oggi ho presepi da tutto il mondo: Bolivia, Cuba, Perù, Messico, Russia, Grecia, Portogallo, Brasile, Ecuador, Guatemala». Migliaia e migliaia di bambin Gesù bianchi, gialli e neri. E Maria, Giuseppe, re Magi, pastori e animali che parlano tutte le lingue del mondo».
E negli anni sono passati in quelle due vetrine del ghetto astigiano centinaia di scarpiere in formica, orologi, borse da signora. Persino un eccentrico tavolino antico fatto ad elefante dall’Indonesia e una sedia a dondolo a forma di cavallo.
«Quest’anno ho festeggiato i 65 anni di attività in ospedale: quando sono tornato invece del rinfresco, ho scelto di fare uno sconto del 20% su tutti i prodotti. Un regalo per tutti gli astigiani fino a fine anno».
“Restiamo aperti per tenere viva la nostra Asti”
Guarda la moglie Iucci, che dal 1993, anno della pensione, lo affianca: «Il negozio bisogna amarlo, bisogna sentirlo. A me capita di aprire la domenica se c’è da dare un servizio alla città. Noi dobbiamo tenere le luci accese. Tenere viva la nostra Asti». Alla clientela classica si sono aggiunti tanti turisti di passaggio affascinati dalle vetrine di Varenni colme di curiosità. È uno di quei negozi che danno ‘profumo’ alla città. Se tornasse indietro cambierebbe qualcosa? «No, ma se fossi giovane oggi forse andrei a vivere in Australia». Sogni? «Sì, fare il giro del mondo. Lo farò a 70 anni di attività quando andrò in pensione. Adesso non chiudo ancora: cosa faccio a casa tutto il giorno?».