Facendo uno slalom tra i nostri ricordi d’infanzia, con l’arrivo delle prime nevicate (un tempo molto più regolari di adesso) non possiamo che soffermarci a ripensare alla nostra cara amata slitta. Capitava che si ereditasse quella in legno dei papà. Era come uno sgabello con due sci attaccati al fondo delle gambe, spesso pesante e poco agile. Nella neve fresca poi, la cara slitta in legno affondava da ogni parte e non riusciva a prendere velocità. C’è da dire che i nonni erano gli addetti alla revisione e riparazione delle slitte: capitava molto spesso che tra le modifiche apportate più di frequente ci fosse il rivestimento degli scivoli con pezzi di lamiera che al contatto con la neve ne avrebbero dovuto accelerare la corsa durante le discese. Diciamo “avrebbero”, proprio perché in genere le lamiere adoperate spesso corrispondevano a ritagli di scarto di officina e nella quasi totalità dei casi si trattava di latte zincate che seppur presentasse bene, sulla neve (se non ghiacciata), non scivolava per niente.
La storia della slitta è più antica di quella del carro: infatti, anche in campagna, per il trasporto dell’uva o del fieno sul terreno si adoperavano slitte trainate da buoi o cavalli, chiamati in dialetto i rabè. Non a caso, le slitte da neve costruite dai nonni nelle cascine, ricordavano molto dei rabè in miniatura. Ma nell’immaginario collettivo di ogni bimbo la “regina” delle slitte era senza dubbio quella di Babbo Natale trainata dalle renne. Grande e barocca, con morbidi sedili, inserti dorati e un bagagliaio zeppo di regali. Le renne erano animali insoliti e sconosciuti dalle nostre parti, al punto di pensarli appartenenti al regno della fantascienza. In realtà, per chi poi da grandicello ha avuto la fortuna di fare qualche viaggio nei paesi del nord Europa, ci si è resi conto che la renna esiste ed è pure un bel bestione, grande almeno come un cavallo con delle corna maestose e articolate come i rami di un grande albero.
Tornando alla nostra di slitta, da quelle ereditate dai papà si passò, nella fase dell’adolescenza, direttamente alla costruzione di esemplari con forme e utilizzo di materiali riciclati il più vario possibile: quelle ricavate da inserti di cucina in lamiera, vecchi seggiolini modificati, fino a cesti da uva convertiti in forme aerodinamiche. In questo modo si velocizzarono i percorsi tra la neve, anche se uno dei problemi seri una volta partiti era… fermarsi. I freni, infatti, non esistevano e quindi bisognava proprio buttarsi a terra, a volte anche battendo qualche irruenta culata. Il campo di scivolata era il più vario: bastava un prato in collina, meglio se privo di alberi. Gli astigiani ricordano quelli di Viatosto o del Fortino, poi “mangiati” dalla crescita edilizia. Ma il vero cambio di velocità cominciò negli anni Settanta/Ottanta con il l’arrivo del mitico bob in plastica rigida. Solitamente di colore rosso, dalla forma modellata e dotato addirittura di freni a mano lasciò alle spalle le vecchie slitte che sono rimaste come pezzi di modernariato e oggi possiamo ritrovare in qualche soffitta o in garage, magari con il gusto di tornare a uscirci alla prima nevicata.