sabato 27 Luglio, 2024
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1945-1970

Valzer, polka, mazurka e riposìno

Quando le sale da ballo divennero dancing
Dall’America, oltre al Piano Marshall, arrivò anche una nuova musica, il boogie woogie, tornò in auge il jazz e riaprirono i locali da ballo. Ogni locale aveva una sua clientela suddivisa per classe sociale, fede politica, età. I musicisti erano quasi sempre gli stessi, con nomi sgargianti come le giacche che coloravano le loro esibizioni. Andare al dancing, dopo una settimana di lavoro, per il giovane voleva dire indossare il vestito buono, passare mezz’ora davanti allo specchio per impomatarsi i capelli con la brillantina. La memoria vissuta del maestro Nino Virano rievoca quelle sale da ballo, con il biglietto differenziato tra giovanotti e signorine, tra il fumo delle sigarette, la musica, le orchestre, le gazzose con la biglia.

Dopo cinque anni di guerra il primo desiderio fu quello di ballare

 

Quando il 25 aprile del 1945, dopo cinque anni di lutti e tragedie causati dalla guerra, anche in Italia scoppiò la pace, il primo desiderio istintivo e irrefrenabile fu quello di ballare. Quel giorno, avevo otto anni, ricordo che in testa alla marea di partigiani che entrarono in città da porta san Pietro c’era la Paulin-a, Paola Penna, alta e ossuta, che procedeva a salti e piroette avvolta in una bandiera rossa, sull’onda delle note di una improbabile fanfara. In senso metaforico, dunque, si può ben dire che fu proprio lei, la Paulin-a, a dare inizio alle danze ad Asti. E in quei mesi, nei rioni della città e nei paesi “rifiorirono” i tendoni dei balli a palchetto che erano stati vietati durante la guerra. Dall’America, oltre al Piano Marshall arrivò anche una nuova musica (lo scatenato boogie woogie), tornò in auge il jazz, riaprirono le vecchie sale da ballo e nacquero i “dancing” in omaggio all’esterofilia che, nel tempo, ha condizionato il linguaggio degli italiani. Quella parolina inglese si aggiunse alle molte insegne con il nome italiano che in quegli anni popolarono l’Astigiano. Va detto che quasi tutti i locali avevano una clientela specifica, suddivisa per classi sociali, fede politica, età. I musicisti invece erano quasi sempre gli stessi, organizzati in orchestre, sestetti e gruppi che allora non si chiamavano ancora complessi, dai nomi cangianti e sgargianti come le giacche che coloravano le loro esibizioni. In qualche caso comparvero i primi juke-box, ma dalla fine della guerra a tutti gli Anni ’50 e ’60 la maggior parte della musica era ancora rigorosamente dal vivo. Andare al dancing, dopo una settimana di lavoro, per il giovane voleva dire indossare il vestito buono, passare mezz’ora davanti allo specchio per impomatarsi i capelli con la brillantina. Una specie di rito, antesignano della “febbre del sabato sera” di John Travolta. Le ragazze uscivano in gruppo, quasi sempre accompagnate dalle madri che non le perdevano d’occhio e avevano il compito di tenere il paltò o il golfino delle figlie chiamate in pista dai cavalieri. Questo servizio – per il quale è stato fondamentale il contributo di “memoria vissuta” del maestro Nino Virano (vedi Astigiani 1 del settembre 2012) – racconta quel mondo e vi farà entrare idealmente in quelle sale da ballo, con il biglietto differenziato tra giovanotti e signorine, tra il fumo delle sigarette, la musica, le orchestre, le gazzose con la biglia.

Orchestra Joselito – Francesco Foglia, trombone; Giuseppe “Giursin” Musso, tromba, Della Casa, clarinetto; Arcadio Parena, contrabbasso; Maggino Marozzi, batteria; Dario Crosara, pianoforte; Giuseppe Joselito Olivero, percussioni; Sileo Sanpietro, violino e sax tenore

Circolo sociale

Le musiche argentine del mitico “Joselito”

CIRCOLO SOCIALE Era in via Carducci, attivo fin dagli Anni Trenta. C’è una foto di quel periodo che ritrae un’orchestra in piena azione al Circolo Sociale. Un luogo esclusivo, con arredamento classico e tendaggi che riecheggiavano l’atmosfera dei film muti interpretati da Francesca Bertini. E proprio perché in passato aveva ospitato il circolo ufficiali, il locale esprimeva una certa severità e i giovani non ne erano tra i più assidui frequentatori. Ma il merito del “Sociale” è stato quello di portare buona musica, eseguita da grandi orchestre, nelle quali suonavano i migliori strumentisti astigiani, come Francesco Foglia, Giuseppe “Giursin” Musso, Arcadio Parena, Maggino Marozzi, Dario Crosara, Sileo Sanpietro, veri maghi delle sette note. Al Sociale si incontrava anche un personaggio straordinario: Giuseppe “Joselito” Olivero, che oltre a essere stato un autorevole band leader, fu compositore di musica “argentina”, pittore acquarellista e fondatore dell’albergo “Salera”. Nell’immediato dopoguerra, scomparso il circolo, gli storici muri ospitarono il magazzino di una ditta di sanitari, gestita da Giulio Boano, “Buan ’l tulé”. Ora nello stesso edificio, all’inizio di via Carducci, c’è il Centro Culturale San Secondo, sede di incontri e manifestazioni.

Fine Anni ’40 – Giulio Grandi, contrabbasso: Franco Ghia, sax; Gigi “Testagirevole” Eusebio, chitarra; Vittorino Fossa, fisarmonica

Circolo “Comunisti”

Dai “compagni” la conchiglia della Paglieri

CIRCOLO  “COMUNISTI” Era detto anche “ai compagni”. Ospitato nella sede della federazione del Partito Comunista, dirimpettaia all’edificio del “Sociale”, occupava un’ala di quello che nel ’700 era l’Ospedale della Carità. L’edificio fu abbattuto nel 1957, per fare posto all’Istituto “Castigliano”, quando la sede del Pci aveva ormai traslocato da anni in via XX Settembre. Ai “Comunisti” si ballava soprattutto il sabato sera e il Primo Maggio e nel bar annesso, dove venivano serviti uno straordinario “ponche” al mandarino e la “camomilla al fiore”, era esposto un cartello: «In questo locale sono vietati il canto e la bestemmia». A condurre il bar i coniugi Cortese, che di giorno lavoravano alla Way Assauto. La gestione del locale era basata esclusivamente sul volontariato dei militanti comunisti. Molti erano i giovani che si alternavano ogni settimana come camerieri. E quando non erano di servizio, potevano entrare gratuitamente per fare quattro salti. Alle spalle dell’orchestra, faceva da arco una grande conchiglia modellata con lo stucco, dentro la quale troneggiava la pubblicità dei profumi “Paglieri”. A guidare il sestetto – che ogni tanto si arricchiva di qualche ospite – era Vittorino Fossa, che si avvaleva della collaborazione di bravi strumentisti quali Giulio Grandi, Franco Ghia e Gigi “Testagirevole” Eusebio. Spesso, al microfono un simpatico “Zazà” Craviolati, in camicia bianca segnata da strettissime bretelle nere e braghe a quadretti, imitava Frank Sinatra con un inglese completamente inventato. “Ai compagni”, per una sola serata, suonò anche Nino Virano, con il maestro Vogliazzo. Il quale, per complicare la vita a tutti quanti, si fece portare il suo pianoforte, direttamente da casa.

Tonio Marozzi, Nando Tirelli, Nino Virano (nascosto), Irene Virano e Marcello Arri

 “Ai Socialisti”

In piazza Alfieri e d’estate al Poggio Verde

“AI SOCIALISTI” Il dancing estivo dei seguaci di Nenni negli Anni ’50 si affacciava su piazza Vittorio Veneto ed era il “Poggio Verde”, uno dei luoghi più suggestivi in cima a una collinetta dove ora c’è il condominio che ha mantenuto quel nome. Occupava una parte del parco di Villa Sparvieri. Il sentiero di accesso era illuminato da piccoli fari nascosti in mezzo all’erba. Il circolo invernale invece era nelle sale sopra il bar Cocchi in piazza Alfieri, dove c’erano anche gli uffici del partito. I ragazzi dicevano semplicemente: «Andùma a balé ai sucialista». E “a balé” si andava il pomeriggio e la domenica sera. Data la scarsa disponibilità economica dei giovani frequentatori – sartine, operai, apprendisti artigiani – e il costo degli alcolici, ai “sucialista” ragazzi ubriachi non se ne sono mai visti. Al massimo una birra. Sui tavolini, attorniati da cinque o sei persone con relativi bicchieri, svettava spesso una sola bottiglia di acqua o gazzosa “Edea”, prodotto locale, imbottigliato in via Brofferio. La variante del pomeriggio, rispetto alla sera, era l’arrivo, verso le cinque e mezza, del gruppo di giocatori della squadra di calcio del “Regis”, che disputava il torneo della “Lega giovanile”. La variante della sera, invece, era la presenza in massa delle madri venute a salvaguardare la virtù delle figlie. Immancabili e attente a non perdere d’occhio le ragazze. Al “filarino” era permesso accompagnare a casa la ragazza. Ma guai a fermarsi sul portone da soli, quando la madre era già entrata. Sul palco, a dar fiato agli strumenti, mitici suonatori come Nando Tirelli, Marcello Arri, Nino Virano, Beppe Arrigotti, a sostegno della voce melodiosa di Olga Facondo.

Piero Gasparini, “Mingo” Chiodo, Gian Luigi Bravo, Paolo Conte; al contrabbasso “Cin” Coggiola

Circolo Nuovo

Una nidiata di talenti allevata da “mingo chiodo”

CIRCOLO NUOVO Era sullo stesso pianerottolo dei “sucialista”. Ma i frequentatori erano di estrazione sociale diversa: media borghesia, imprenditori, professionisti, dirigenti di banca. Gestore il papà di “Cin” e Franco Coggiola, allora studenti liceali. Si giocava a bridge, a scala quaranta, si davano feste, in un locale ben arredato in stile “confidenziale”. Durante le serate danzanti a suonare erano i giovani. E a questo proposito vale la pena citare una testimonianza di “Mingo Chiodo”, scomparso poche settimane fa: «Ricordo bene la volta al Circolo Nuovo di piazza Alfieri. Io, al clarinetto, ero in un gruppo di cui facevano parte Enzo “Cin” Coggiola, al contrabbasso, Paolo Conte al vibrafono, Gian Luigi Bravo al pianoforte e Piero Gasparini alla batteria. Oltre a me, ogni tanto si aggregava un altro veterano, Cicci Adriano. Di quel periodo ricordo anche un giovanissimo, poco più che bambino, Giorgio Conte, fratello di Paolo, destreggiarsi alla batteria».

“Original Barrelhouse”: Piero Gasparini, fisarmonica; Enzo Guerriero, batteria; Giuliano Ponte, chitarra; Gian Luigi Bravo, pianoforte

Astense club

Tra gli studenti amanti del jazz anche Paolo Conte e i suoi amici

 

ASTENSE CLUB I lati della pianta trapezoidale dell’edificio che ospitava l’Astense Club correvano lungo le vie Martorelli (di fronte all’Istituto Castigliano), Orfanotrofio, Carducci e Hope, dove c’era l’ingresso. Accanto al portone il grande emporio “Casarini”, dove si vendeva di tutto, dalle biciclette agli elettrodomestici. La sezione sportiva dell’Astense – presidente il geometra Pontacolone, commerciante in pitture murali – aveva due squadre di calcio militanti nella Lega giovanile e in Prima divisione. Le serate danzanti erano quelle del sabato. Ed è proprio in quel locale che mossero i primi passi le formazioni musicali capitanate da Paolo Conte. I ragazzi avevano fondato un’associazione studentesca, l’Usma (Unione studenti medi astigiani), e in una stanza messa loro a disposizione dal Circolo degli Alpini, proprio di fronte all’Astense, il sabato pomeriggio provavano i pezzi che avrebbero suonato alla sera, offrendo agli amici l’occasione per ballare. All’Usma e nei vari gruppi collegati al sodalizio, passarono tanti musicisti. Oltre a Conte, Piero Gasparini, “Cin” Coggiola, Freddy Mancini, Gian Bravo, Dodi Bocco, Cosimo Occhiena, Beppe Scialuga, Gian Carlo Occhiena, Gigi Caramagna, Giulio Ponte, Gian Carlo Guerriero, Silvio Donalisio, ognuno dei quali maturò la propria esperienza cominciando dagli insegnamenti di “Mingo” Chiodo, e il trombettista Piero Cossetta. A seconda dei componenti, di volta in volta i gruppi formati da quei ragazzi prendevano denominazioni diverse: New Orleans Star jazz Band, Tuxedo, Original Barrelhouse Jazz Band, Black magic, Misty’s Stompers, fino ad arrivare alla mitica Lazy River’s Band Society, che, nel 1960, partecipò alla Coppa del Jazz, organizzata a Roma dalla Rai, piazzandosi al quinto posto su un’ottantina di partecipanti.

Orchestra “Iride Jazz”: Nino Virano, contrabbasso; Dario Crosara, band leader e pianoforte; Pippi Marozzi, batteria; Tonino Cattaneo, trombone e fisarmonica; Nando Tirelli, tromba e violino, Rinaldo Conti, tromba; Carlo “Moreno” Morando, voce; Michele Peglia, sax alto, clarinetto, violino; Carlo Dabbene, sax tenore, clarinetto; Pietro Roso, chitarra; Gianni Basso, clarinetto

Circolo Ferrovieri

Si ballava anche “ai feroci”, all’esordio il giovane gianni basso

 

CIRCOLO FERROVIERI Nel gergo di chi ci andava a ballare, il circolo era ai feroci”. Aveva due sedi: estiva e invernale. Quella estiva in via al Mulino, dall’altra parte dei binari dove c’è ancora adesso il Dopolavoro, con l’insegna “La perla”; quella invernale era nella ex sala delle feste degli ufficiali, nel “casermone” di piazza Cagni, dove ora c’è il liceo magistrale Monti. Secondo la testimonianza di Nino Virano, la prima sede del circolo ferrovieri fu al salone delle feste di Palazzo Mazzetti. “La perla” esiste ancora oggi, con tanto di scritta luminosa che sovrasta lo spazio degli orchestrali. Ma per chi ha conosciuto i tempo d’oro dei “dancing”, “i feroci” restano quelli di antica memoria. Pur essendo contiguo al Casermone, che si era popolato di sfollati delle guerra e delle alluvioni e poi dei primi immigrati dal Sud, il “dancing” si dava un certo tono: non si entrava senza giacca e cravatta e all’inizio ci si doveva presentare alla cassa con il biglietto d’invito. Il primo orchestrale fu Nino Virano, incaricato di mettere insieme l’orchestra: «Trovai undici strumentisti e il complesso lo battezzammo “Iride Jazz”, perché l’arcobaleno è luce e l’Italia era appena uscita dal buio della guerra. I leggii li aveva dipinti Pino Arturo, che ora vive nel Connecticut, e tra i suonatori c’era stato anche Michele Corino, che a San Francisco ha tenuto per anni un grande negozio di strumenti musicali. Ogni tanto ci sentiamo e, al telefono, ci canticchiamo le arie dei nostri tempi». Ovviamente nell’orchestra “Iride jazz” nel tempo, come avviene nel mondo della musica, si alternarono diversi suonatori. Tra questi anche Gianni Basso, che aveva appena smesso i calzoni corti e soffiava nel clarinetto e nel sax contralto. Le fotografie lo ritraggono con Nino Virano, Dario Crosara, Pippi Marozzi, Tonino Cattaneo, Nando Tirelli, Rinaldo Conti, Carlo “Moreno” Morando, Michele Peglia, Carlo Dabbene, Pietro Rosso. E a questo proposito non si può dimenticare la voce melodica di Enzo Carbone, o quella swingante di Cesare “Cecè” Ivaldi che si esibivano nelle canzoni alla moda. Come era d’usanza in tutti i dancing, anche ai Ferrovieri ogni tre pezzi venivano intervallati dal “riposino”. Dominavano valzer, mazurka, polka; tango, beguine, valzer lento; boogie woogie, samba e mambo. Il biglietto di ingresso aveva un costo diversificato: i cavalieri pagavano di più rispetto alle dame, con mamma al seguito. Tra i tavolini, disposti attorno alla pista, imperava il cameriere Nuccio, con giacca bianca, tovagliolo al braccio e vassoio. Il Nuccio c’è ancora. Stempera la nostalgia per un passato felice frequentando “La perla” di via al Mulino. Il circolo in piazza Cagni è rimasto aperto fino al 1965 e il maestro Virano ricorda ancora l’ultima sera quando suonò con il gruppo de “I canonici”.

Sotto l’ex Casa Littoria fu aperto un dancing dal 1945 ai primi Anni ’50 utilizzando il salone delle riunioni del partito fascista

La Gimbarda

Musica ma anche mitiche risse

LA GIMBARDA Aprire un dancing in quella che fu la sala delle adunanze dei fascisti, al piano terreno della Casa Littoria, fu una specie di rivalsa nei confronti di chi, per far posto all’edificio mussoliniano, non aveva esitato a far abbattere l’antica e imponente “alla” che faceva da sfondo a piazza Alfieri. Il locale prese un nome curioso: “gimbarda”, per i “paisan”, è la tavoletta agganciata sotto il fondo del carro agricolo. Viaggiando, la gimbarda ondeggia, balla, a secondo della cadenza del passo dei buoi o del cavallo da tiro. Il locale aveva l’aspetto di un anfiteatro, con una grande scalinata che, durante il ventennio, fungeva da spalto a chi partecipava alle manifestazioni del regime. Lì “parcheggiavano” le mamme e quei frequentatori ai quali interessava solo ascoltare la musica che “facevano tappezzeria”. Proverbiali sono rimaste le risse tra i gruppi opposti facenti capo a due personaggi dai nomi evocativi: Uliano e Baladùr. La “Gimbarda” chiuse i battenti all’inizio degli Anni ’50 e non bastò ai nuovi gestori cambiare l’insegna in “Edelweiss”.

Fabrizio De André con chitarra e moto nel 1958

La Lucciola

In cima a corso Dante anche un giovane Fabrizio De André

LA LUCCIOLA Nell’immediato dopoguerra la periferia della città iniziava dove convergono via Petrarca e il secondo tratto di corso Dante. Erano i cosiddetti “Sbocchi Nord”. All’epoca, al di là di piazza Vittorio Veneto c’erano solo la Centrale del latte e alcune villette sparse e alla sera, dai prati, arrivava il gracidare delle rane. Poi sarebbe sorto il campo sportivo comunale: “La lucciola”, dunque, era in un posto di frontiera, in uno dei primi edifici che gli abitanti delle cascine incontravano andando “a n’Ast”, venendo ad Asti. Ma, pur se decentrato, il dancing era meta di una clientela elegante che si riuniva per ballare e ascoltare buona musica. La pista era sotto il livello stradale, protetta da un parapetto, al quale si affacciavano i curiosi o coloro che non avevano i soldi del biglietto. Alla “Lucciola” suonò anche Dino Piana, nella formazione diretta da Paolo Conte. Dino ricorda che veniva ad Asti a bordo di una Lambretta prestatagli dal suocero e che, prima delle prove, pranzava in latteria, con un uovo al tegamino. Molti i gruppi musicali ospiti. La formazione della “casa” era l’orchestra Astoria, che annoverava musicisti come Marozzi, Lopolito, Parena, Cossetta e Crosara. Sui tavolini qualche bicchiere di whisky, bottiglie di spumante, che attendevano il passaggio di un disinvolto ed effervescente Gigi Corosu, ai primi passi nelle vesti di viveur. Vi capitò anche il giovane Fabrizio De André che aveva passato la guerra in una cascina di Vaglierano e tornò ad Asti anche da adolescente a trovare la nonna che abitava in via Brofferio. Ricordò, durante un’intervista, certe uscite in un locale della città che si chiamava appunto “La lucciola”. Lui era piuttosto timido e introverso e legava poco, ma suonava già la chitarra e aveva il fascino dello “studente di Genova”.

La fondatrice del dancing “Palmarosa”, Ernestina Nano, oggi, con il figlio Luciano Poggio, batterista del gruppo “Palmarosa” in ricordo del dancing omonimo

Palmarosa

In corso Alba l’allegria della Palmarosa

PALMAROSA La storia del dancing di corso Alba la racconta Ernestina Nano, vedova Poggio, 95 anni, che rilevò la “Trattoria di corso Alba” di fronte alla quale c’era il locale attrezzato per le danze. Oggi quella trattoria, diventata ristorante, è “La greppia”. «Rilevai la trattoria subito dopo la guerra, perché mio marito aveva vinto un concorso ed era stato assunto nelle Ferrovie. Ci trasferimmo ad Asti da Bubbio. Apportai qualche miglioria al locale e chiesi consiglio al signor Bosia, rivenditore di dischi in corso Alfieri, su come avrei potuto attirare clienti nelle serate danzanti. Mi indicò il nome di un cantante torinese allora in voga e mise insieme un gruppo musicale, chiamando altri strumentisti astigiani. Ci siamo fatti conoscere con manifesti, volantini e inserzioni sul Cittadino e il successo non tardò ad arrivare. Il segno distintivo, che fungeva anche da insegna, era una enorme palma in legno compensato, dipinta di rosa, fabbricata da mio marito. Era così alta che svettava al di sopra del tetto»Oltre ai fratelli Marozzi, Gino Ferraris, Marcello Arri, venne a suonare anche il maestro Rosani, un non vedente, pianista classico, rinomato accordatore di pianoforti; un musicista che insegnò a molti giovani astigiani. Oggi, il ricordo di quel dancing vive nell’orchestra che porta il suo nome, messa insieme da un gruppo di musicisti di cui fa parte Luciano Poggio, batterista, figlio di Ernestina. Luciano ha passato l’infanzia sgambettando sulla pista, facendo la gimcana tra le coppie abbracciate nella danza e affinando l’orecchio alla musica.

“Gli Snobs”: Franco Maschio, Giovanni Raviola, Sergio Grosso, Mira De Giorgi, Lino Magnone. In primo piano Alfredo “Tiepolo” Gallo

Circolo Alpini

Domenica pomeriggio con le scarpe di bufalo

CIRCOLO ALPINI Era in via Brofferio, si ballava la domenica pomeriggio. Parafrasando una canzone di Roberto Balocco, i ragazzi arrivavano con le “fanguse d’camoscio” e il “gilé dubi pèt”, scarpe scamosciate e gilé doppio petto. I capelli trasudavano di tricofilina, sostituita in seguito con il “bril-crim”. Era un po’ il “volere e non potere”, visto il target sociale dei frequentatori. In realtà, più che le scarpe scamosciate, in quel periodo aveva preso piede – è il caso di dirlo – un modello economico con suola e tomaia dello stesso materiale e colore: un grigio-azzurrognolo che ben si abbinava al “principe di galles”, la cui stoffa era elargita dall’Unrra. Le chiamavano “er scarpi ’d bufalo”. Ma nulla c’entravano con il grosso animale, essendo le calzature fabbricate con i primi materiali sintetici, precursori della plastica. In compenso agli Alpini si ballava e ascoltava buona musica. Grazie all’orario pomeridiano, le ragazze, non accompagnate dalle madri, godevano di una certa libertà, seppur, nel rincasare, dovevano rispettare il rientro calcolato sulla distanza dell’abitazione. A seconda delle orchestre, sul palco si alternavano due contrabbassisti d’eccezione: Giulio Grandi e Nino Virano, che in altri locali suonava il pianoforte e la fisarmonica. È Virano che ricorda come agli “Alpini” la rustica specialità fossero i panini imbottiti, i mitici “sanguiss”, venduti al bar a 60 lire: «Erano la nostra cena». Uno dei gruppi che fece segnare le presenze più numerose, fu quello degli “Snobs”, con la cantante Mira De Giorgi e Alfredo Gallo, un chitarrista dal tocco magistrale e “colorato”, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Tiepolo”.

1968: dal basso in senso orario: Carlo Bertolino, Giuliano Vezzani, Mario Patriti, Ezio Boero e Gianni Bogliano

Winter Garden

Ospitò i primi veglioni studenteschi

WINTER GARDEN Nelle cantine sotto i portici Anfossi di piazza Alfieri, era un locale alla moda, elegante e ben arredato, frequentato da studenti e giovani della borghesia. Si entrava da via Leone Grandi. Lì hanno mosso i primi passi musicisti poi affermatisi quali Ezio Boero, Mario Patritti e Gianni Bogliano. Frequentatissimi i veglioni studenteschi che negli anni successivi si sarebbero spostati al nuovo hotel Salera. Si entrava in giacca e cravatta, meglio se nera con camicia bianca. Negli Anni ’80, il locale venne ribattezzato “Mirò” e trasformato in discoteca di tendenza.

Una band in trasferta: Enzo Carbone, Nino Virano, Carlo Manina, Tonio Marozzi, Piero Fassio, Marcello Arri, Angelo Conti

Si completa il viaggio tra le insegne di Asti e della provincia

Locali vissuti da generazioni di giovani, poi vennero le discoteche

 

Ci sono molti altri “dancing” e sale da ballo che tennero insegna ad Asti tra la fine della guerra e gli inizi degli Anni ’70, quando presero piede le prime discoteche. Alcuni hanno vissuto poche stagioni, altri erano aperti già negli Anni Trenta. Meritano una citazione. Bar Sport Danze Era nell’interrato dell’elegante bar omonimo, all’angolo con via Leone Grande. Ben presto il locale venne adibito a sala biliardi. Canasta Un grande pergolato annesso alla trattoria, in corso Volta, proprio sul ponte del rio Valmanera. Alla Canasta comparvero le prime camicie sgargianti ispirate alla moda americana.

Dancing La Perla, “I Juke Box”: Carlo Manina, Enzo Carbone, Beppe Craviolati, i vocalist; in primo piano Mario Monteregge e Mario Rustichelli. Dietro: Alfredo Masperone, Nino Virano, Piero Fassio e Gino Ferraris alla tromba

Clava Lo cita Pino Gammino nel suo libro di memorie La meravigliosa favola degli anni Sessanta. Era in piazza Medici ed era il circolo collegato alla sede del partito Liberale. Con lui, che era cantante del gruppo “Cuban Jazz Men”, suonavano Agostino Finello e Gigi “Testagirevole” Eusebio. Clubino La sede era nel palazzo “dei Leoni”, via Balbo angolo via Garetti. Ci andavano soprattutto gli studenti. Aperto al sabato pomeriggio. Tra gli ospiti, suonava il maestro Guindani, fisarmonicista di Ivrea.

Una formazione storica, L’Orchestra Sileo Jazz: in alto, Arcadio Parena, Gigi “Testagirevole” Eusebio, Gianoglio alla batteria, Giuseppe Magnone.Sotto: Francesco Foglia, Piero Cossetta, Giuseppe “Giursin” Musso, Sileo Sanpietro, sax e band leader, Lorenzo Gardino, Marcello Arri e Defendente Vigna

Dopolavoro Way Assauto Oggi c’è la sezione “ballo” che raccoglie molti associati e funziona con continuità. All’epoca si ballava solo in determinate feste, soprattutto a Carnevale. Lido Un locale in riva al torrente Borbore, al quale si accedeva dall’inizio di corso Torino, costeggiando la ferrovia. Venne spazzato via dall’alluvione del 1948. Militari in congedo In via Bonzanigo angolo via Solari. Veniva chiamato “i sufà”, per via dei divani rossi che arredavano la sala. Ci suonava spesso la Mandolinistica. Negli ampi locali c’è ancora oggi la sede della storica Fratellanza militari in congedo, ora presieduta da Roberto Giacomelli. Mirenvall Si trovava sulla sinistra di corso Savona, dove oggi c’è l’incrocio con via Torchio. Praticamente la pista da ballo era lambita dalle acque della bealera che nasceva dal Borbore nei pressi del cimitero e, costeggiando lo stradone, andava ad alimentare le macine del mulino di Tanaro. Era un locale popolare, tra i tavolini razzolavano le galline del gestore. 

Cuban Jazz Men con Pino Gammino al microfono durante un’esibizione al circolo “Clava” del P.L.I. di piazza Medici

Olimpo Chiuse nel 1930 e sul sito fu edificata la scuola elementare “Arnaldo Mussolini”, oggi “Dante”. Si ballava anche al circolo “Lega Navale”. Sempre Uniti A quei tempi il cortile del circolo confinava con il battistero di San Pietro. La sala venne chiusa definitivamente nel 1940, in seguito al divieto di ballare, ordinato dalle autorità, causa l’entrata in guerra dell’Italia. Serenella Era uno chalet. Al suo posto, nei giardini pubblici di corso alla Vittoria, oggi c’è la giostra per bambini della famiglia di Italo Sforzi. Nelle serate danzanti, tra i vari cantanti si esibivano astigiani come Enzo Carbone e Marco Cotto. Sferisterio Ora Circolo dipendenti comunali (Cdc), in via del Bosco. In quello spazio addossato alle antiche mura si disputavano i tornei di tamburello e pallone elastico. Alle serate danzanti si alternavano proiezioni cinematografiche all’aperto, incontri di pugilato e lotta libera. Vi si esibì anche Carnera. Tersicore Ebbe poca fortuna. Forse per via del nome indecifrabile, che, in realtà, ricorda la dea greca della danza, una delle nove muse. Era in via Brofferio. Il Duca Locale estivo a Valmanera, poco fuori città. Collegato a un bar ristorante, aveva la caratteristica della pista da ballo sotto una grande pergola a tendone ricoperta di glicine. Vi si svolgevano anche feste di matrimonio. Vi hanno suonato le famose Gemelle Nete. Whisky Notte In piazza Marconi, sotto una pasticceria, di fronte all’albergo Cavour. Si suonava jazz e diventerà anche discoteca. Più tardi, negli Anni ’70, fu aperta un’altra piccola discoteca, in funzione anche il sabato pomeriggio per i liceali, il Tiffany, ricavata al pian terreno di un palazzo in corso Milano, quasi all’angolo di corso Dante. Disco anche al Caline di corso Alfieri e negli anni successivi alla Siesta collegata alle piscine di Asti Lido e sotto l’hotel Salera dove nasce un altro ovattato locale. Non vanno dimenticate le principali sale da ballo della provincia. Nei paesi la tradizione, ancora viva, voleva che venisse montato il ballo a palchetto durante i giorni delle feste patronali, ma non mancavano spazi fissi. Tra dancing e discoteche vanno ricordate: lo Skatting ball, di Nizza Monferrato, dove iniziò la carriera di Giancarlo Pillot, che diventerà uno dei più grandi batteristi jazz italiani. Sempre a Nizza c’era il Lido Rosa sulla strada per Incisa, il Gazebo a Canelli, ancora aperto. In Langa il Giardino dei Sogni a Bubbio e l’Arlecchino a Monastero Bormida. Vanno ricordati, inoltre, il Dancing Margarino, a Portacomaro d’Asti, i locali dei fratelli Strocco a Motta di Costigliole, la Penna Nera dei Sabbionassi, il Rio a Rocca d’Arazzo dove si ballava su una terrazza e il Covo a Santa Caterina di Rocca. Musica di qualità anche alla Capannina di Montafia, Fons Salutis e Fonti San Rocco di Agliano, Fons Salera di Vignale e sulla pista dell’albergo Cupola Verde ai Molini di Isola. A Mombercelli c’era La Croce Bianca, diventato poi The Momber. A Celle Enomondo al bivio tra Tigliole e San Damiano c’era il Capris. Si ballava anche al Lago di Codana a Montiglio, Da Livio a Moncalvo sulla strada verso Ozzano, al Cristallo di San Damiano, al Music Palace di Dusino San Michele e al Top 2 di Castello d’Annone sulla statale per Alessandria. E per chi voleva fare qualche chilometro in più la prima grande discoteca fu l’Altromondo di Alba, poi vennero il Dixie, ora Mediterraneo di Isola e il Crazy divenuto Symbol, tempio del liscio di Vigliano.

La Scheda
Il disco “Carnevale astigiano” del 1962

 

Nino Virano con il disco “Carnevale astigiano” del 1962

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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