sabato 27 Luglio, 2024
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Valerio Miroglio, l’arte sorniona della provocazione

In mostra dal 5 maggio a Palazzo Mazzetti
Valerio Miroglio amava sperimentare dalla pittura alla scultura, dal teatro alla poesia, in tutte le arti e proprio per questo raccontarlo non è facile, anzi.

Valerio Miroglio è stata una personalità complessa del panorama artistico nazionale, ma ha vissuto con passione e ironia anche le vicende della sua città dove è sempre vissuto. Da astigiano ha animato giornali, scritto rubriche, partecipato alla vita politica e culturale. Il suo è sempre stato uno sguardo di lato, sorprendente e imprevedibile, in ogni caso mai banale. Miroglio amava sperimentare dalla pittura alla scultura, dal teatro alla poesia. Raccontare Miroglio non è facile. Astigiani lo fa in queste pagine ospitando testimonianze di chi ha avuto la fortuna di incrociare le sue passioni.

La nostra associazione, d’intesa con la Fondazione Palazzo Mazzetti, promuove una riscoperta artistica di Miroglio con una grande mostra che sarà ospitata a Palazzo Mazzetti dal 5 maggio al 9 luglio. “Valerio Miroglio, Il Giudizio Universale” vedrà esposte più di 60 opere, provenienti dalla famiglia e da collezioni private.  L’allestimento, curato da Giacomo Goslino, nipote dell’artista e Alessandro Ferraro, ha l’obbiettivo di ripresentare al pubblico “Il Giudizio Universale”, l’operazione più ampia e complessa dell’artista astigiano, concepita negli anni Settanta. “Il Giudizio Universale” è una riflessione pittorica, plastica e fotografica dell’affresco michelangiolesco e vede concentrata in essa la poetica di Miroglio.

 

Con la moglie Rosa e la figlia Giulietta a Bordighera alla fine degli Anni Cinquanta

 

Nel suo living alla Certosa di Valmanera l’unico spazio chiuso era quello del suo studio

Io, la figlia di Valerio Dal mare di Bordighera alla mostra di Parigi

 

La famiglia di mio padre è originaria di Isola d’Asti, ma i suoi genitori, cioè i miei nonni, dovettero trasferirsi a Cassano Magnago con le rispettive famiglie per motivi di lavoro. Qui terminarono le scuole e si sposarono. Mio zio Pierluigi nacque nel 1927, mio padre nel ’28. Con i bambini, tornarono a Isola d’Asti, dove si trovavano quando scoppiò la guerra. Mio padre a 16 anni è stato un giovanissimo partigiano garibaldino con il nome di Enea, insieme al fratello Pierluigi. Hanno seguito il padre che era Commissario politico in contatto con i comandanti partigiani sulle Langhe.

Anche mia nonna Arcangela era staffetta e portava i messaggi, scritti su pezzi di carta che venivano arrotolati e infilati nella canna della bicicletta. Il nome di mio nonno era Giovanni, ma lo hanno sempre chiamato Cesare, che era il suo nome di battaglia. È morto nel 1944 in seguito a una malattia che non poté essere curata, perché sul Tanaro vi era un posto di blocco dei tedeschi e non fu possibile trasportarlo all’ospedale. Ci fu il funerale, mio padre e suo fratello scesero dalle colline. Nessuno a Isola fece la spia.

Nel tempo ho cercato di parlare con mio padre della guerra partigiana, ma non tornava volentieri sull’argomento. Mi disse che aveva un fucile che si inceppava e che ogni volta rischiava la ghirba. Una volta si trovò nella piazza di un paese, insieme al fratello Pierluigi. I tedeschi sparavano con le mitragliatrici, anche dai tetti delle case. Lui e il fratello salirono di corsa la scalinata della Chiesa per entrare e trovare un rifugio. Sul sagrato e sul portone di legno arrivavano colpi a raffica. Mi disse che fu un vero miracolo essere sopravvissuti, anche se nei miracoli non credeva. Mio padre incontrò mia madre che era molto giovane e si innamorò. Al primo appuntamento mia madre si presentò con un vestito azzurro e i capelli raccolti con un fermaglio. Sposò mia madre a 21 anni, in municipio ad Asti e dopo si permisero un brindisi con i testimoni al bar Ligure. A quel tempo mia madre faceva la sarta e mio padre le disegnò alcuni carta modelli. Chissà, avrebbe potuto diventare stilista.  

Ricordi di quando ero piccola. Una volta mio padre venne a trovarmi a Bordighera dove ero in colonia. Avevo sei anni. Si presentò in giacca e cravatta. Andammo a passeggiare sul lungomare. Camminavamo l’una accanto all’altra finché ci sedemmo su una panchina. Si tolse la giacca, guardò il mare a lungo, a me parve molto a lungo e poi mi chiese come vedevo l’orizzonte e io risposi che vedevo una linea diritta. No, mi spiegò, la linea non era diritta, ma curva, perché la terra è rotonda. Quando salì in macchina per tornare ad Asti, abbassò il finestrino e gli sguardi si incrociarono e ho stampato quel momento nella mente. Chi se ne importa se non mi ha offerto il gelato. 

Una volta, alla Certosa di Valmanera, la nostra casa, vi erano amici. Ero ancora una bambina e osservavo un manifesto che si trovava sul tavolo del suo studio. Vi campeggiava il nome Mirò che era in mostra a Parigi. Lessi male e dissi ad Adriano Spatola, il suo amico poeta: “Hai visto che mio papà ha esposto i suoi quadri a Parigi?”. Mio padre non intervenne e Adriano rispose: “Sì, sono stato all’inaugurazione”. Per vent’anni abbiamo abitato in alcuni locali dell’Antica Certosa di Valmanera. Non c’erano porte interne se non quella che portava nel suo studio. Era uno spazio con camere disposte su livelli diversi, scale e soppalchi. Fu un luogo di incontri, di atmosfere irripetibili. Mi piaceva entrare nello studio e stazionare per qualche tempo e osservare mio padre seduto davanti a una grande tela appoggiata al cavalletto e, a portata di mano, tubetti di colori acrilici e a olio e pennelli. Dovevo tacere e lo facevo senza farmelo dire. Mancava sempre il colore blu, tanto ne utilizzava.

Ma quale blu? Blu cobalto, blu di Prussia, blu oltremare, blu ciano…? Mi piaceva sentire l’odore che mio padre si portava dietro anche quando usciva. Era l’odore di acqua ragia, colori, tele e legni, insomma era profumo d’artista”.

 

Miroglio ai piedi del monumento alla lotta partigiana a Velenje in Slovenia nel 1977

 

Miroglio è stato anche direttore artistico dell’arazzeria Montalbano

Pittore, scultore, giornalista, poeta

Valerio Miroglio, pittore, scultore, giornalista, poeta nasce a Cassano Magnago (Varese) il 24 ottobre 1928 da una famiglia originaria di Isola d’Asti, dove tornerà a vivere prima della guerra. A sedici anni entra nelle file partigiane insieme al fratello Pierluigi, seguendo il padre e la madre anch’essi impegnati nella resistenza. A guerra finita nel 1949 sposa Rosa. Nel 1954 nasce Giulietta. A fine della guerra, in quegli anni che definirà “affamati”, frequenta la scuola di partito del Pci e si dedica all’attività giornalistica. Dirige prima il settimanale “Il Lavoro”, poi farà crescere “La voce dell’Astigiano” con il canellese Pierino Testore, Elio Archimede e altri giovani.

Nel 1961 con la fusione della testata con “La Nuova Provincia” passa al settimanale. Per contrasti politici lascia la federazione astigiana del Pci. Negli Anni ’70 frequenta gli ambienti culturali torinesi dirige riviste di cultura, arte, costume come“Plexus”, “Io e lui” di cui è direttore responsabile. Scrive articoli in difesa dei diritti civili che vengono presi di mira dalla censura. È accusato anche di diffusione di stampa “immorale” per aver pubblicato testi erotici di scrittori francesi tra i quali “Emmanuelle”. Collabora alla rivista “Il caffè” diretta da Giovanbattista Vicari. Dall’incontro con i poeti Adriano Spatola e Giulia Niccolai nasce la rivista underground “Tam Tam.” 

Intensa anche l’attività artistica. Frequenta negli Anni Cinquanta il circolo culturale e poi la galleria La Giostra di Asti con Eugenio Guglielminetti, Amelia Platone, Carla Masseroni. Lontano dai dettami del cosiddetto realismo socialista, le opere di Miroglio accentuano la chiave ironico-grottesca e coincidono con le esperienze editoriali torinesi. Sperimenta quindi interventi che vanno al di là della semplice offerta visiva di quadri e sculture. Così è il Concerto per Piano Regolatore Generale del Pianeta Terra, happening in cui Miroglio propone una provocatoria “alternativa” al vecchio mondo a forma sferica, pensandolo quadrato. Nel 1975 con altri artisti ottiene il ricovero volontario nell’ospedale psichiatrico di Mombello, stimolando per 10 giorni i malati a dipingere su una tela gigantesca la loro espressività negata. Questo gesto anima dibattiti, sollecitando interventi contro la segregazione manicomiale. Esegue lavori di grandi dimensioni in Italia e all’estero, in cemento a vista, adottando la tecnica del getto di calcestruzzo in forma di polistirolo espanso.

A Velenje in Jugoslavia nel 1977 inaugura un grande monumento dedicato alla lotta partigiana. Ad Asti lo ritroviamo in un monumento dedicato alla studentessa nei giardini della scuola media in corso XXV Aprile, oppure nel grande arazzo che fa da sfondo alla sala conferenze della Cassa di Risparmio in piazza Libertà. Insieme a un gruppo di insegnanti, lavora nelle scuole con laboratori di disegno e pittura. Collabora con il gruppo teatrale del Magopovero. Conosce Corrado Cagli e Ugo Scassa e si avvicina al mondo dell’arazzo. 

Intorno al 1980 assume la direzione artistica della Arazzeria Montalbano. Produce bozzetti in tecnica mista e tredici vengono realizzati in arazzo. In questi anni redige il Bollettino della Vittoria, un ironico foglio che spedisce ad amici e sottoscrittori. Per lo scrittore Sebastiano Vassalli è una delle più “interessanti riviste letterarie” di quegli anni.  Continua a dedicarsi alla pittura e alla scultura sperimentando sempre nuovi modi espressivi. Il mare e il cosmo sono il leitmotiv delle opere degli ultimi anni che ha esposto in numerose mostre. Collabora anche alle attività editoriali della Morando, gestendo la rivista del gruppo guidato da Giuseppe Nosenzo.

Dal 1986 al 1991 è direttore responsabile e collaboratore del Palinsesto, periodico di informazione della Biblioteca Consorziale Astense, in collaborazione con gli enti culturali astigiani. Dal 1987 al 1991 tiene, sull’edizione astigiana de La Stampa, la rubrica “Parola d’artista” dove riaccende la sua verve polemica su temi che vanno dalla tutela dell’ambiente alle scelte amministrative e culturali. Collabora anche con la Rai con trasmissioni sperimentali radiofoniche nella rubrica Fonosfera e in Audiobox. Valerio Miroglio muore il 16 settembre 1991 a 63 anni.

 

La parola fine

La parola fine

stanca di stare 

all’ultimo posto

decise di mentire 

in fondo al romanzo 

a pagina mille 

annunciò felice 

ch’era giunto l’inizio. 

Il numero mille 

Stanco di contare 

Ebbe una crisi 

e si suicidò. 

Il numero uno 

da molto lontano 

offeso a morte 

si cancellò. 

Il numero due 

nel vuoto dell’uno 

quel giorno stesso 

precipitò. 

Il numero mille 

venne sepolto 

in fondo al romanzo. 

Sulla sua tomba 

qualcuno, mentendo, 

ha scritto “principio”. 

                              Valerio Miroglio

Poesia tratta dal volume “Svite di Artisti” edito da Priuli&Verlucca

Le Schede

 

 

L'AUTRICE DELL'ARTICOLO

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