La storia dei Gamba è legata al legno, al fuoco e al vino. Una famiglia che già alla fine del XVIII secolo, nella piccola bottega artigiana di Castell’Alfero faceva nascere botti, barili e tini. Una sapienza nello scegliere, sagomare, modellare, piegare il legno che si è tramandata di generazione in generazione. Oggi il marchio Gamba, inciso a fuoco su botti e barriques, è presente nelle più prestigiose cantine del mondo. Eugenio e il figlio Mauro sono la settima generazione di bottai. La memoria va a nonno Eugenio (classe 1896) , che aveva rilevato la bottega di famiglia dal fratello Emilio nel 1920, per passarla poi al figlio Angelo che a sua volta la lasciò per naturale successione nel 1991 al figlio Eugenio (classe 1950) e al nipote Mauro, nato nel 1976. Del nonno Eugenio, in azienda hanno conservato il patentino con il brevetto da aviatore della Regia Aeronautica, che lo vide tra i pionieri del volo e combattente nella Prima guerra mondiale. Dai tonneau in volo dei biplani alle grandi botti in cantina, la sua fu una vita avventurosa. Lasciò passione ed esperienza al figlio.
Nel ricordare il padre Angelo, Eugenio Gamba racconta di certi capolavori d’arte bottaia come quella botte unica, ma divisa in tre parti per mettere tre diverse qualità di vino. Erano pezzi unici da mostrare alle fiere per dimostrare l’assoluta tenuta della botte. In uno scomparto si metteva vino rosso, in un altro bianco e nel terzo un genepy o una grappa. In azienda non hanno dimenticato neanche la scommessa che Angelo fece con l’amico architetto Borgo per la realizzazione di una botte ovale-verticale sul davanti e ovale-orizzontale dietro, una specie di T: la scommessa consisteva in una cena e dopo prove, studi, notti insonni, Angelo, capace e caparbio, vinse la scommessa e naturalmente anche la cena.
Conoscere i legni e l’arte della stagionatura
La fabbrica dei Gamba appare dall’esterno come un labirinto di cataste di legname ben allineate e impilate. Le assi sono lasciate all’aria aperta e stagionano per almeno tre o quattro anni, grazie all’alternarsi di sole, pioggia, vento, neve. Fino a qualche decennio fa il lavoro dei bottai era svolto tutto a mano. Bisognava selezionare il legname del territorio – in particolare acacia, castagno e rovere –, stagionarlo, tagliarlo, curvarlo, assemblarlo; per fare una botte ci voleva una grande esperienza e conoscenza perfetta dei legni. Angelo aveva iniziato nella bottega del padre a soli 14 anni, acquisendo manualità e quella sensibilità che permette di “sentire” il legno e imparare l’arte del taglio.
Nei primi decenni del Novecento operavano sulla piazza astigiana altri bottai tra cui i Conone, con laboratorio in corso Alessandria, i fratelli Bosia che avevano sede vicino alla stazione e di cui è rimasta l’insegna sulla facciata dell’ex bottega. A metà degli Anni Trenta nella sola Asti erano censiti otto bottai. Tra questi anche Ernesto Vigna in via Fagnano, Vincenzo Scaglia a Serravalle, Siro Mignone e Domenico Mangone all’inizio di corso Alfieri, Gerbi Gioara in via Sant’Evasio, Francesco Barberis a Valterza e Serafino Avidano alla stazione di Portacomaro.
In provincia c’erano, tra i tanti, Giuseppe Stroppiana di Mombercelli, i Bruno di Canelli, i Penna a Portacomaro, Morra a Frinco. La maggior parte di questi artigiani realizzava per lo più botti grandi da trasporto, sui vagoni merci, le navi e i camion, mentre i Gamba si erano specializzati e fatti un nome con le botti da cantina per gli invecchiamenti. Va detto che un tempo in ogni paese esisteva un bottaio e, nei periodi prima della vendemmia, anche i falegnami si improvvisavano bottai. Nel secondo dopoguerra, con la crescita del mercato dei vini in bottiglia, il commercio del vino nelle botti diminuì e anche in cantina molti preferirono le grandi vasche di fermentazione in cemento. Per i bottai fu un periodo difficile e molti chiusero bottega.
I Gamba resistettero e nel 1965 Angelo Gamba rilevò i macchinari della ditta Bosia che aveva cessato l’attività. In quello stesso anno il figlio Eugenio, iscritto all’istituto Artom per periti industriali di Asti, si prese la rosolia. Rimase assente per oltre un mese e in convalescenza cominciò a seguire il padre. Bastarono pochi giorni e maturò la svolta: «Lascio la scuola e lavoro con te», propose Eugenio al padre e così avvenne. Fu l’inizio di una nuova avventura. Il mercato stava cambiando e il legno delle botti diventava sempre più importante per la qualità di un vino. A metà degli Anni ’60 si affermò il rovere di Slavonia, già usato in Francia per gli affinamenti. Ne parlò anche un articolo de La Stampa del 1967. Arrivarono le prime richieste e i Gamba si fecero trovare pronti. Grandi botti furono ordinate dalla Cascina Fietta di Pontestura e dalla tenuta Trinchero di San Martino Alfieri.
Allora nella ditta lavoravano quattro operai e i Gamba frequentavano le fiere di Asti, Canale e Alba: molti produttori albesi non apprezzavano la botte piemontese dal fondo diritto e facevano acquisti in Veneto e in Lombardia dove si era soliti fare botti con fondo curvo. Così nel 1973 Eugenio decise di iniziare la produzione di botti a fondo concavo, con doghe a spessore uguale per testa e pancia, riuscendo a realizzare una botte molto robusta che anche gli albesi apprezzarono. Fu così che il marchio Gamba passò il Tanaro ed entrò anche nelle cantine di Langa.
In quegli anni Eugenio fece anche molti viaggi in Francia, dove conobbe un bottaio, Jean François, che realizzava solo piccole botti da 225 litri con 5 operai. Eugenio si chiese: un solo prodotto con 5 operai? Sembrava difficile reggere economicamente il mercato, ma la risposta arrivò presto da Giacomo Bologna, l’eclettico barberista di Rocchetta Tanaro. Eugenio ricorda che fu proprio Giacomo Bologna, all’inizio degli Anni ’80, a spingerlo a intraprendere il cammino della ricerca dei legni per la produzione delle barriques. Stava iniziando l’era del vino affinato in legno con botte piccola, come già facevano i francesi e anche i californiani. Giacomo Bologna, di ritorno da un viaggio in America arrivò a Castell’Alfero, accompagnato da Marcello Ceretto: «Caro Eugenio, se non inizi a produrre barriques il tuo mestiere è finito», fu il suo perentorio consiglio. Non c’è solo Giacomo, sostenuto dall’autorevole parere di Luigi Veronelli, a pensarla così.
Arrivarono a Castell’Alfero altri produttori eccellenti quali Pio Cesare, Angelo Gaja, Antinori, Banfi. Eugenio fu spronato a viaggiare per ricercare i merrandiers (coloro che spaccano il legno per le doghe) nelle migliori foreste di Francia. Ricorda, di quei primi anni, la iniziale diffidenza francese verso gli italiani ma, dopo vari tentativi, Eugenio riuscì a instaurare rapporti di fiducia e collaborazione.
La rivoluzione delle barriques con Giacomo Bologna e il pensiero tosco-piemontese
Nel 1985 Eugenio fu invitato da Ezio Rivella, piemontese di Castagnole Lanze, manager di Vini Banfi, che era il potente presidente degli enotecnici italiani, a un convegno a Verona per illustrare la lavorazione delle barriques. Eugenio, anche se timoroso per la pubblica apparizione, accettò e fu un successo per lui e per l’azienda. In quell’occasione conobbe Giacomo Tachis, un altro piemontese di Poirino, con studi ad Alba e un ruolo importante in casa Antinori, dove era il direttore tecnico. È lui che creerà vini famosissimi come il Tignanello e poi il Sassicaia dei marchesi Incisa a Bolgheri, che sono della stessa famiglia dei marchesi Incisa della Rocchetta.
È Tachis il padre riconosciuto dei Supertuscans, che hanno nell’uso delle barriques la caratteristica principale. Questo intreccio di storie e passioni tra Piemonte e Toscana fece arrivare a casa Gamba l’ordine delle prime 150 barriques con legno di Tronçais per Antinori. Eugenio partì subito per la Francia ad acquistare il legname adatto a soddisfare l’ordine della prestigiosa casa toscana, trovò una buona partita e, preso dall’entusiasmo, ne acquistò per realizzare oltre 500 barriques.
Sulla via del rientro in Italia non sapeva come spiegare a casa un acquisto così importante e impegnativo, ma non ci furono problemi. Tachis aumentò l’ordinativo. Oggi quel contratto per n. 860 barriques complessive, con la data del 4.2.1987 firmato da Tachis è incorniciato al posto d’onore nella sede dei Gamba.
In questa storia di famiglia ha avuto la sua parte anche il ramo femminile. Già Sandrina, la mamma di Eugenio, aiutava il marito nel taglio delle tavole e la moglie Maria Rosa, originaria di Costigliole, si è da sempre occupata di far quadrare i conti e continua ancora oggi con la sapienza e l’oculatezza della buona madre di famiglia.
Il figlio Mauro si è laureato in Economia e Commercio con una tesi giocata in casa su “Il settore delle botti in Italia, aspetti economico-finanziari ed analisi dell’azienda Botti Gamba”. Un argomento che ha sviluppato con entusiasmo, rispondendo anche alle incuriosite domande della commissione di laurea: il risultato finale è stato 110 e lode.
Per fare una botte, piccola o grande, il primo passo è l’acquisto della materia prima. Eugenio va ancora oggi personalmente nelle zone delle foreste di querce del centro della Francia ad acquistare le doghe di rovere dai merrandiers che hanno selezionato e tagliato gli alberi.
Ogni foresta ha le sue peculiarità: la più famosa è forse quella di Tronçais (nel dipartimento dell’Allier), la più estesa coltivazione di rovere della Francia. Molto importanti sono anche Bertranges (dipartimento Nièvre) e Saint Palais (nello Cher). In media sono alberi di 150 anni, la selezione è rigorosa e da cinque metri cubi di legno si ricava non più di un metro cubo di legno adatto per fare botti.
L’esperienza con i clienti produttori di vini fa aumentare le conoscenze anche in casa Gamba. Scegliere il legname in cui affinare un vino è frutto di prove e confronti. Fare il bottaio significa collaborare con gli enologi e valutare i risultati che si ottengono dall’uso del legno. Diventa importantissima anche la tostatura, un processo che consiste nel riscaldare l’interno della barrique tramite l’esposizione a una fiamma libera, generata unicamente dal legname di scarto delle lavorazioni precedenti delle doghe. Questa parte di “fuoco” è suddivisa in tre fasi: riscaldamento, piegatura e tostatura vera e propria.
Oggi, grazie anche a una maggiore conoscenza di ciò che accade al legno per effetto del fuoco, l’azienda Gamba ha realizzato un protocollo di produzione a temperatura controllata, in modo da ottenere così una tostatura omogenea su tutta la superficie interna del fusto. Il metodo tradizionale non esclude innovazioni. Una tecnica messa a punto a Castell’Alfero è la piegatura a vapore ed acqua calda delle doghe per barriques.
Quelle doghe piegate a vapore
Anche qui Eugenio e Mauro hanno trovato un connubio fra tradizione e modernità. Con una tecnica innovativa, il legno viene piegato con il vapore come nell’antichità facevano gli Egizi e si è sempre fatto anche nel Medioevo. C’è poi il precedente famoso dell’ebanista Michael Thonet che nell’Ottocento curvava le sottili liste di legno di faggio per realizzare le sue famose sedie. Queste nuove barriques “a vapore” sono giudicate meno aggressive e adatte ad affinare vini dagli aromi più delicati, senza comunque perdere il vantaggio tecnico derivante dall’utilizzo della barrique, importante nei rossi per fissare il colore, grazie alla combinazione tannini-antociani. In collaborazione con l’Università di Torino, i professori Gerbi e Caudana e alcune cantine italiane e straniere, i Gamba hanno condotto una sperimentazione sui risultati della tecnica della piegatura a vapore ad acqua calda sulle doghe di rovere per barriques che conferma la validità della scelta.
In casa Gamba, accanto ai nonni Eugenio e Maria Rosa e al figlio Mauro, che ha sposato Mariella, ci sono Riccardo e Alessandro di otto e sei anni. Vivaci e curiosi come tutti i bambini, giocano sul piazzale e sentono parlare i grandi. Sono loro il futuro. Entreranno con la loro vita nella grande botte della memoria che ruota nel suggestivo museo aziendale allestito a Castell’Alfero da Silvio Manzotti, un appassionato di Odalengo Piccolo. Vi sono raccolte vecchie foto, stampi, immagini, attrezzi, pezzi unici che testimoniano l’attività e i successi dell’azienda. La galleria delle etichette dei clienti conferma che le botti Gamba contribuiscono a fare grandi i vini del mondo. Una grande esempio di “Made in Asti”.