A metà di corso Alfieri, quasi di fronte alla metallica facciata della Banca Popolare di Novara, nel 1919 il Municipio pose una lapide sulla facciata dell’edificio al n. 302 per ricordare che «in quella sua casa nacque, visse, morì il pio sacerdote Giuseppe Stefano Incisa, che con sapiente diligenza, più unica che rara, raccolse ed espose quotidianamente le preziose memorie della patria».
Quella casa, appartenuta alla famiglia Incisa (probabilmente un ramo remoto degli Incisa della Rocchetta), dalla metà del ’500 fino alla fine dell’800, ospitò l’Oberge del Lion d’Oro, che fu a lungo uno dei più prestigiosi alberghi della città. Nel 1794, per far fronte alla concorrenza del nuovissimo “Reale” aperto in quell’anno all’angolo est di piazza Alfieri, il Lion d’Oro fu interamente ristrutturato e ribattezzato come Grand Hotel du Lion d’Or. Le sale interne del primo piano (oggi studi legali) conservano tuttora gran parte delle antiche decorazioni. L’albergo Leon d’Oro fu poi spostato in fondo a via Cavour (e divenne anche ristorante) occupando tutto lo spazio tra via Cavour e piazza del Palio e tra via San Quirico e l’attuale via Filiberto.

Demolito a fine Anni ’60, lasciò il posto all’attuale vasto condominio in paramano con i portici con l’apertura, appunto, di via Emanuele Filiberto. Ma torniamo a Giuseppe Stefano Incisa, cui è dedicata la lapide, che nacque in quella casa di corso Alfieri il 23 ottobre 1742 e vi morì il 27 agosto 1819 a 77 anni. Suo padre Giovanni Gregorio vi ebbe bottega di falegname, un suo parente quella di sarto, un altro di tappezziere ed un altro ancora era speziale, con rendite di terreni nei dintorni della città. Lo zio Stefano Tommaso si diede invece alla “carriera pubblica” come “maestro di posta”. Nel 1760, a 18 anni, Incisa vestì l’abito clericale. Frequentò il Seminario durante l’episcopato di Maurizio Casotti, di cui ebbe sempre grande considerazione, fu ordinato sacerdote nel 1771 e l’anno seguente diventò cappellano beneficiato della Cattedrale.

Benché avesse sempre goduto di molta stima da parte dei suoi confratelli, per ben due volte (nel 1791, a 49 anni, e nel 1803) si vide sfumare l’opportunità della “cappa” di canonico, carica che all’epoca era assai importante anche economicamente. Forse perché l’Incisa con la sua personalità forte e indipendente non fu mai disposto a ingraziarsi l’uno o l’altro. Molto propenso alla carità, intellettuale e letterato, sicuramente non giansenista, fece parte dell’Accademia dei Teocriti e della Società Letteraria degli Unanimi di Torino, cui appartennero anche altri storici astigiani come Gian Secondo De Canis, Pietro Giovanni Boatteri e Serafino Grassi. L’Incisa deve essere ricordato per il suo monumentale Giornale d’Asti, una vera miniera di fatti quotidiani raccolti grazie alla sua capacità di ascoltare, di osservare e di notare uomini e avvenimenti, che fece di lui un cronista “ante litteram”.
Il Giornale d’Asti, la sua opera in 44 volumi manoscritti tuttora inedita e conservata nella Biblioteca del Seminario di Asti, rappresenta una testimonianza eccezionale della quotidianità astigiana in tutti i suoi aspetti, dalla meteorologia al prezzo delle merci, ai piccoli e grandi eventi di cronaca e di politica. La scarsissima presenza di giornali all’epoca dell’Incisa mette ancor più in evidenza l’importanza del suo manoscritto, preziosa fonte per gli studi storici. Ulteriore importanza per l’opera rivestono gli allegati di ogni volume, costituiti da manifesti e sonetti riguardanti i fatti riportati dal cronista. La sacrestia della Cattedrale, dove trascorreva la sua giornata e dove convenivano allora una trentina di ecclesiastici almeno due volte al giorno, fu senza dubbio una buona fonte di notizie e di informazioni. L’Incisa iniziò il suo paziente lavoro a 34 anni, il 9 aprile 1776, e lo terminò il 5 luglio 1819, un mese prima della sua morte.

Oltre all’annotazione dei fatti quotidiani, nel tempo il cronista documentò, con scritti e con disegni acquerellati, tutte le chiese e le iscrizioni in esse contenute e le raccolse come appendice al volume del 1806. Ma quel volume scomparve inspiegabilmente dalla Biblioteca del Seminario nei primi anni del ’900. Fu poi Giovanni Montersino, appassionato di cose astigiane, che ebbe la fortuna di recuperarlo da un mercante romano nel 1914. Purtroppo ritrovò solo l’Appendice dedicata alle chiese ed iscrizioni, che donò al Seminario, mentre il volume con la cronaca del 1806 andò disperso. Grazie al finanziamento della Cassa di Risparmio di Asti, nel 1974 fu data alle stampe la ricca appendice. Resta da far uscire dal buio della biblioteca e riportare alla luce il resto della straordinaria opera del Giornale d’Asti.