Le vacanze organizzate di “meduse e lupi di mare”
Oggi quei bambini e quelle bambine veleggiano quasi tutti verso o oltre i sessant’anni. Ma quando ricordano quelle estati di colonia di quasi mezzo secolo prima tornano “delfini” o “stelline”, “marinaretti” o “meduse”. Potenza della memoria, in molti casi velata di nostalgia, per quelle vacanze particolari e popolari che coinvolsero migliaia di astigiani negli Anni ’50 e ’60. Andora e Bordighera per loro non sono solo località della Riviera ligure. Molti negli anni sono tornati su quelle spiagge sassose per rivedere i luoghi di quelle vacanze, trovandoli inevitabilmente cambiati e spesso stravolti. Rimane intatto il ricordo e la sorpresa di accorgersi che quei ricordi sono comuni a migliaia di altri ex bimbi e si arricchiscono a ogni incontro. Quelli di Bordighera si sono ritrovati su Facebook e hanno fato cene e ristampato il volume dei quaderni di allora. Andare in colonia è stata per tutti una prova di crescita lontana dalle famiglie e allora non c’erano cellulari o collegamenti Skype. Ci si affidava alle cartoline postali preaffrancate dove il bimbo o la bimba scriveva poche righe di notizie delle sue vacanze e le signorine assistenti rassicuravano le mamme: «Mangia con appetito e si diverte». Bastava quello. Una sola volta in un mese c’era la visita dei parenti con l’uscita per il gelato. Quando arrivavano le autorità in visita alla pasta servita nelle scodelle e alle polpette si aggiungeva anche il dolce. Erano le generazioni del baby boom del dopoguerra. A divertire bastavano i giochi con i noccioli e rifare le gare delle Olimpiadi di Roma del 1960. L’organizzazione era rigida e la giornata scandita da precisi orari e compiti. Il clou era il bagno tra le corde, ma ai ragazzi con i loro costumi di lana spessa che inzuppati diventavano pesantissimi, quel bagno di pochi minuti era l’avventura, l’essenza di una vacanza che profumava di colonia.
La storia scritta dai bambini di Bordighera
R.P.
Gli industriali astigiani affittavano palazzo e parco dai colleghi di Lecco
L’idea di inviare in vacanza estiva gruppi di bambini organizzando la loro villeggiatura ha storici precedenti in Italia nelle organizzazioni cattoliche e scout e nelle colonie statali allestite dal fascismo degli Anni Trenta. A queste si sono aggiunte le colonie aziendali organizzate dai grandi gruppi industriali per garantire un periodo di mare o montagna ai figli dei loro dipendenti: la Fiat aveva le sue colonie nelle “torri” di Marina di Massa. Ottime e organizzatissime quelle della Olivetti o della Montecatini e più di recente anche dell’Enel o della Stipel (società dei telefoni). Su questo impulso, negli anni della ricostruzione post bellica e del successivo boom economico, l’Unione Industriale di Asti ha finanziato per 32 anni un mese di soggiorno estivo per i figli dei dipendenti (ogni azienda si faceva carico dei propri), scegliendo il mare della vicina Liguria. Alle maggiori imprese dell’Astigiano si è aggiunta anche l’Amministrazione provinciale con le stesse modalità.
Il primo approccio di questa colonia astigiana col mare è stato a Spotorno nell’estate del 1952. La direttrice dell’epoca era la signora Irene Saracco Quirico, la sua vice era Ida Conti Piano. L’ospitalità era ricavata in un ex convento piuttosto mal ridotto e le gite avvenivano con il “traballero”, reperto post-bellico (un pulmino aperto, in legno, su gomme, trainato da vecchi cavalli). Per le quattro estati seguenti, dal 1953 al 1956, la colonia alloggiò in un edificio appena costruito denominato “La Gioiosa”, a due passi dalla fine spiaggia di Borgio Verezzi. La conduzione del complesso era familiare (all’economato i signori Catto, proprietari dell’immobile) e lo staff direttivo era composto dalla neo direttrice Ida Conti Piano e dalla vice Ada Moiso Quirico. In questo quadriennio vennero gettate le basi di una organizzazione “coloniale” che si rivelò tanto efficace da restare (con le dovute migliorie e accomodamenti), praticamente la stessa fino al 1970, anno in cui terminò la direzione di Ida Conti Piano. Dal 1957 al 1983 l’ospitalità fu attivata a Bordighera nel nuovissimo e mastodontico edificio affittato per un mese dagli industriali di Lecco. Campeggiava sui tetti l’acronimo EASIL (Ente Assistenziale Sociale Industriali Lecchesi).
Il sito, vastissimo, comprendeva l’utilizzo esclusivo di un grande parco sul fianco della collina. Il mare era raggiungibile attraverso un sottopasso che consentiva di superare il traffico dell’Aurelia. La spiaggia era, come oggi, sassosa e addossata al muro della ferrovia che serviva anche da appoggio per una struttura in tavolato di legno adatta come sosta ombreggiata e spogliatoio. L’edificio della colonia comprendeva due piani semi-interrati per i servizi (lavanderia, stireria, cucine, dispense, palestre, magazzini e locali per la ricreazione al coperto), un piano terra adibito a refettorio (ma anche all’occorrenza cappella e sala intrattenimenti vari) e tre piani di camerate. Dall’esterno si vedevano i quattro piani fuori terra dotati di balconate amplissime. Su ogni piano erano allineate due camerate da 48 letti ciascuna. Fatti i conti, i posti letto ufficiali per i bambini avrebbero dovuto essere 288, cioè 96 x 3, ma nel tempo la richiesta aumentò talmente che una trentina o più di posti vennero aggiunti nelle salette di ricreazione che erano di pertinenza a ogni camerata. A pieno regime la colonia ospitava oltre 300 bambini.
La mitica Tota Teresa regina dei cori
Nel braccio verso la collina, venivano ospitati vari servizi: l’infermeria al primo piano e all’ultimo le camerette delle assistenti. Le assistenti avevano turni di servizio “estesi”: un giorno, una notte, un secondo giorno, una notte di riposo in cameretta. La notte in camerata veniva dunque effettuata da una sola assistente, in alternanza con la collega. Durante la notte però, passavano almeno due turni di ronda, effettuati dalla mitica “Tota Teresa” (ex direttrice dell’Orfanotrofio Vittorio Alfieri di Asti e storica consolatrice di ogni pena e perplessità) accompagnata da una turnista o dall’assistente sanitaria. Quest’ultima era solitamente una crocerossina, aiutata, se del caso, da rinforzi locali. Ogni mattina giungeva da Bordighera un pediatra, il dott. Pastor, per le visite. La colonia marina ha continuato a funzionare, sempre a Bordighera, fino al 1983. A conti fatti, alcune migliaia di bambini astigiani, di età compresa fra i sei e i dodici anni, sono passati attraverso questa esperienza che sicuramente ha avuto un impatto sociale importante, creato amicizie e un patrimonio di ricordi in comune. Lo testimonia il successo della pagina Facebook dedicata a chi è stato a Bordighera, e degli incontri che si sono organizzati. A favorire i ricordi e a permettere di storicizzarli, si è fortunatamente salvata la documentazione raccolta dalla direttrice Piano. Gli album con copertina e carta da ciclostile sono stati distribuiti a tutti i partecipanti a fine anno e sono ora stati digitalizzati in un unico volume per la parte relativa al soggiorno di Bordighera relativamente al periodo 1957-1970. Un’opera di recupero organizzata dalla scrittrice Rosellina Piano, figlia della storica direttrice, e dal marito Mario Lanza.
L’emozione era vedere il mare
Irene Rosso
La maglietta a righe bianche e blu e la biancheria con il numero
Sono della classe 1947, leva numerosa, prime generazioni del dopoguerra. Poche erano le famiglie astigiane che potevano permettersi un soggiorno al mare nella vicina riviera ligure, magari a Noli o a Spotorno, dove tra le varie pensioncine c’era anche il soggiorno Villa Verde, gestito in economia da funzionari del Pci di Asti, mentre il sindacato organizzava durante le ferie un ritrovo a Brusson in Valle d’Aosta. C’erano anche alcuni soggiorni montani gestiti dalle parrocchie. I bambini negli Anni Cinquanta avevano bisogno di “cambiare aria” come raccomandavano i medici di allora. Mi hanno mandata a sei anni alla colonia d’Asti ad Andora. Non ho ricordi diretti di quell’anno se non dell’edificio che ho potuto rivedere sovente quando capitava di transitare in auto sull’Aurelia. Successivamente due estati a Borgio Verezzi e anche qui ricordo le amicizie fatte. Nel 1957, a dieci anni, invece arriva la vera vacanza. Un mese ospiti della colonia a Bordighera. I ricordi affiorano perché non sono stati lasciati morire, grazie a dei libretti di “memoria” dove la colonia e i suoi piccoli ospiti raccontavano e si raccontavano, poi molte le fotografie nelle quali cercare di identificarsi per poter dire «io ero lì».
Cerco e trovo gli album del 1957, 1958, 1959. Emergono scorci di quella vita, incolonnate per due, dirette da un fischietto di inizio e fine di ogni attività. Sfogliando quelle pagine mi sono resa conto che le parole di quei bambini (al massimo 12 anni perché oltre non si era più accettati) sono veramente splendide, e descrivono al meglio la situazione. I giorni che precedevano la partenza , quelli li ricordo bene. Intanto c’era la visita medica in via Orfanotrofio. Passata quella veniva consegnata ai genitori la lista del corredo che avremmo dovuto portarci appresso. Ci venivano consegnate delle divise, uguali per maschi e femmine (calzoncini blu, maglietta a strisce bianca e blu, cappellino bianco con visiera). Su questo abbigliamento, nonché sulla biancheria intima, dovevano essere cucite le tesserine con stampato il numero di identificazione. Un anno ricordo il mio: 347. Occorreva impararlo a memoria e quando in camerata arrivava il cambio pulito della biancheria essere pronti a ritirarla al pronunciamento del proprio numero. I genitori ci portavano all’appuntamento (in piazza Medici, sotto la sede dell’Unione Industriale) e poi, fatto l’appello per squadre, ognuno diretto dalla propria signorina-assistente attraversava con i compagni appena conosciuti o ritrovati le vie che portavano in stazione. Tutti i fila, sandali ai piedi e berrettino in testa. Eravamo contenti di essere ammirati al passaggio. Poi tutti sul treno e i più fortunati, che avevano posto vicino al finestrino, si affacciavano ancora per un saluto e sarebbero stati i primi a vedere il blu del mare. Il viaggio era lunghissimo, durava quasi tutta la giornata, e si arrivava a Bordighera nel tardo pomeriggio.
Ogni anno una raccolta di memorie e fotografie
Ecco le testimonianze dei bambini che emergono dalla lettura di quegli opuscoli. Sono evidentemente ritoccate e “messe in bella”, in alcune parti, ma non perdono la loro capacità di trasmettere emozioni ancora oggi. Premesso che il segnale di sveglia veniva dato dalla trasmissione per altoparlante dalla musica dell’inno della Marina, scrive sul giornalino il bimbo Gianni Falugi: «Tutti i coloni sono schierati sull’attenti, ben divisi in plotoncini. Nei loro occhi brilla l’attesa dei cuori. Si ode nel silenzio un comando “Alzabandiera”. Quegli occhi e quei cuori balzano verso l’alto, lassù alla vetta del pennone, dove la bandiera d’Italia è salita con la festa dei suoi tre colori, nell’azzurro del cielo». Sulla mattinata in spiaggia, scrive Annamaria Cerruti: «È la prima volta che vedo il mare. Mi fanno un po’ paura quelle onde spumose che vengono a riva. Io sono capace a nuotare nel Tanaro, ma nel mare no perché ci sono le onde troppo alte». Ferruccio Cerato, invece, non ha paura delle onde: «Io mi incanto ad osservare le onde che si riversano sulla spiaggia con un rumore uguale».
Aggiunge Lorenza Astesano: «Con quale gioia accogliamo l’invito del fischietto a sparpagliarci per la spiaggia alla ricerca di piccoli tesori nascosti tra i sassi, quali pietre marine, conchigliette, alghe». Descrive così il primo bagno Oriana Ansaldi: «Al sospirato comando ci mettiamo in fila per uno ed io, capo squadra, alzo il braccio destro perché la mia squadra mi seguisse. Cominciammo a correre saltellando a piedi nudi sulla sabbia; al fischio della Direttrice ci tuffammo. Io ero un po’ timida perché l’acqua era fredda, ma poi mi sentii incoraggiata dalle altre bambine che mi spruzzavano facendomi grandi sberleffi». Il pomeriggio dovevano trascorrere forzatamente due ore riposando nelle camerate che così hanno descritto i bambini: Gianni Falugi: «Sono già stato in diverse colonie, ma certamente questa di Bordighera è la più moderna ed accogliente… In essa ciò che mi ha colpito di più è la camerata che è la parte più intima della colonia. Qui si pensa ai genitori lontani, qui si scrive, qui ci si riposa dalle fatiche gioiose della vita di mare. I mobiletti posti accanto ad ogni lettino sembrano scatole sorpresa ove spariscono per incanto i piccoli tesori che noi bimbi raccogliamo sulla spiaggia». Maria Giovanna Galliano aggiunge: «Ho undici anni e questa è la seconda volta che vengo in colonia al mare. L’edificio è una vasta costruzione a sei piani con diverse entrate e uscite, ma noi usufruiamo maggiormente di quelle che danno sul cortiletto posteriore. I piani terra sono occupati dai servizi del guardaroba, lavanderia, cucina, economato, camere del personale inserviente. Gli altri piani sono occupati dal vasto refettorio e da sei chiare e luminose camerate dai cui balconi si spazia con lo sguardo sul mare azzurro ed infinito. Di fianco a ciascuna camerata vi sono gabinetti, doccia, sale di soggiorno ed aule per il disbrigo della corrispondenza. In ogni camerata sono disposti 48 lettini ricoperti di cretonne a colori vivaci. Ogni lettino ha un suo armadietto per riporvi gli effetti personali. Davanti e tutto intorno alla colonia si estende un ombroso parco, ricco di palme e piante ornamentali di ogni genere».
Il gioco dei 5 noccioli di pesca era la nostra prova di abilità quotidiana
Tutte queste letture mi hanno ravvivato la memoria, che non era comunque spenta, tanto che un po’ di tempo fa, trovandomi a passare per Bordighera, ero andata alla ricerca della Colonia che ho ritrovato e fotografato. È in via Winter, dal nome del botanico che realizzò tanti giardini in Liguria. Sparita l’insegna, cambiati i colori. Dopo essere diventata un albergo si è trasformata in un residence privato di lusso. Il parco si è notevolmente ridotto e non solo per la mia attuale visione adulta rispetto alle dimensioni gigantesche che ricordavo da piccina. Io amavo stare nel parco, anche senza giocare con le altre bambine. Mi piaceva appoggiare la schiena al tronco di una palma, divaricare le gambe e giocare ai noccioli che erano il gioco più povero e in voga tra noi bambini di Bordighera. Bisognava avere cinque noccioli di pesca preventivamente fatti seccare e poi si gettava in alto un primo nocciolo per poi riprenderlo assieme a uno di quelli a terra, aumentando di volta in volta la difficoltà sino a agguantarli tutti in una sola mossa. Si giocava all’italiana, alla cinese e all’americana, con regole diverse.
La doccia si faceva una volta la settimana
Occorrevano testardaggine, allenamento e colpo d’occhio. Io preferivo i noccioli ai giochi come rubabandiera o nascondino, nei quali ero sempre perdente. Mi mancava lo sprint, per cui quando sentivo dire “partano i numeri tre”, non avevo ancora realizzato di essere il tre che la mia avversaria aveva già raggiunto il fazzoletto pendente dalle mani dell’assistente. Ricordo il giorno della doccia. Era settimanale. Ci facevano portare i nostri lenzuolini, in modo da asciugarci con quelli, dato che ce li avrebbero cambiati per la sera. Il piacere era doppio, si andava a letto puliti in lenzuoli freschi di bucato. Nel tardo pomeriggio c’era l’ammainabandiera. Scrive sempre Falugi: «È sera, il sole è appena tramontato. Un lieve venticello fa oscillare il pennone e gonfiare d’aria la bandiera. Questa sera tocca a noi “marinaretti” far parte del picchetto di onore per la cerimonia e ne siamo fieri! Al comando la bandiera scende dal pennone e noi sull’attenti la salutiamo. Intoniamo con voce commossa il canto “quando sul mare scende la sera” ed intanto il bel drappo si affloscia, morbido e smagliante nei suoi fulgidi colori». In quel mese di agosto, lontani dalla calura delle nostre campagne o dalle strade cittadine asfaltate, oltre a godere dell’azzurro del mare, del verde del parco, c’era anche l’impegno per preparare saggi di canto e danza in occasione della visita delle “autorità”. E poi venivamo portati a camminare in campagna, su per le fasce coltivate a fiori e cantavamo cori percorrendo sentieri e costeggiando serre. Scrive invece un bimbo che si firma “Vecchio Lupo”: «Anche per l’ultimo giorno di permanenza, malgrado le molte cose da fare, la signora Direttrice ha riservato alle squadre dei “Lupi di mare” e dei “Marinaretti” una sorpresa graditissima: una gita sui monti. È stata una gita breve di un’ora appena, ma quante cose ci ha permesso di vedere! Ci siamo tra l’altro fatta un’idea di come e cosa si coltiva in questi luoghi. Tutta la coltura è a base di fiori, di piante ornamentali, ulivi e piante di agrumi. La montagna sale a gradinate e su ogni gradino, in ordine perfetto, sono coltivati garofani, margherite, rose». Una pennellata di colori e profumi che sono rimasti nel cuore.
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