Milena Ercole è tornata, per sempre, nella sua Asti il 29 febbraio scorso. Per decenni aveva girato il mondo con la sua macchina fotografica senza mai dimenticare dove aveva le radici. Scrisse ad Astigiani: «Marte, mio padre (l’industriale delle omonime ferriere ndr), mi ha insegnato il valore dell’astigianità. È strano come spesso non mi ricordi che cosa ho mangiato a mezzogiorno e invece abbia netti i ricordi della mia infanzia e giovinezza». Come sequenze fotografiche ha raccontato su Astigiani per la rubrica “se ci penso” momenti intensi e divertenti della sua vita da ragazza nella città dove è cresciuta e ha studiato fino al liceo, prima di approdare a Milano dove è stata giornalista, fotoreporter, animatrice culturale. L’astigianità di Milena era intensa e profonda. Appena poteva, tornava, con la famiglia, nella sua casa di pietra sulle colline di Calosso dove custodiva bauli di foto, lettere, ritagli di giornali. È stata lei a offrire ad Astigiani il raro almanacco del 1931 che ha dato spunto all’inedito viaggio turistico pubblicato sul numero di settembre 2015. Nella sua ultima mail in redazione ha scritto: «…se ci applichiamo a mettere per iscritto i nostri pensieri, allora anche molto tempo dopo, pur avendo attraversato un’infinità di vicissitudini, siamo in grado di ritrovare quelle sensazioni nella pagina scritta».
Ecco il suo ultimo “Se ci penso”.
s. mir.
Credo che nessun astigiano si sia mai chiesto il perché e quale ricordo possa celare la porticina gialla corrosa dal tempo e dalla ruggine che si trova in corso Milano, ai piedi dell’alto muro di mattoni che scorre sulla sinistra. Non è una cella dell’Enel, o forse oggi lo è diventata, ma per trovare l’anno della sua nascita bisogna tornare lontano nel tempo di più di mezzo secolo, quando era il piccolo ingresso che immetteva nel rifugio ricavato sotto la villa dove abitava la mia famiglia e quella di zii e cugini. Se di notte suonava la sirena d’allarme, passando per la cantina, assonnata e infagottata fino al collo, mi facevano scendere per una buia e lunga scalinata che immetteva in una specie di tunnel a cui erano appoggiate alcune panche. Dalla porticina gialla, invece, entravano i vicini. Ci si sedeva uno accanto all’altro e si aspettava in silenzio. Alcune donne con il rosario in mano, altre con piccoli generi di conforto, biscotti, qualche caramella. Non si parlava molto, si ascoltava il rombo degli aerei e si aspettava la sirena del cessato allarme. Solo di una notte ricordo le grida di terrore e un grande boato. «An bumbardà el pont d’Tani ou la stasiun!» disse qualcuno… E non si era sbagliato. Tempi lontani di cui ho solo il ricordo di qualche flash sbiadito… il silenzio che doveva regnare in casa se si riusciva a sentire radio Londra… la salita di notte sul torrino degli zii per vedere se in lontananza, verso Torino, c’era il bagliore dei fuochi lasciati dalle bombe, l’arrivo in casa dei tedeschi che volevano requisire tutto… la corsa sulla canna della bicicletta di mio fratello quando l’allarme arrivava mentre ero a scuola (allora le elementari di corso Dante erano state trasferita in via al Castello), il pane nero che si impastava in casa e poi si portava a cuocere in un forno in fondo al Fortino e finalmente, la gioia negli occhi di tutti, il giorno della liberazione, il 25 aprile 1945. Ad annunciare l’evento, oltre alla radio, anche un piccolo aereo che, volando a bassa quota, inondò di manifestini con la notizia tutta la città. Il giardino della mia casa si coprì di foglietti bianchi e tutti, madre, padre, fratello, zii e cugini piangevano e si abbracciavano. Solo quando fui più grande capii il significato di quel grande, epico, e mai dimenticato giorno di libertà e di gioia.
Gli altri “Se ci penso” di Milena pubblicati su “Astigiani” La strada per la scuola – n. 5 pag. 81; La passeggiata a Viatosto n. 7 pag. 83; Le foto da Ecclesia – n.12 pag. 95