Questa è una storia di altri tempi, una semplice storia di rispetto e di amicizia. Protagonisti un gruppo di studenti di una classe di tanti anni fa e il loro professore di lettere, Roberto Marchetti, con cui hanno mantenuto uno stretto rapporto per mezzo secolo, fino alla sua scomparsa e anche oltre.
Roberto Marchetti è stato per tanti anni – dal 1957 al 1986 – direttore del Centro Nazionale di Studi Alfieriani, ed è in questa veste che la maggior parte degli astigiani lo ha conosciuto (vedi scheda a fianco). Però è altrettanto significativa e degna di memoria la sua opera di insegnante, prima alle medie, alla “Gatti” di via Roero, poi, per molti anni, alle superiori, all’Istituto “Giobert” per ragionieri e geometri.
Un professore colto e preparato, che ha avuto il merito di saper instaurare con i suoi allievi un rapporto reciproco di stima e di amicizia continuato anche dopo che questi avevano conseguito il diploma, e proseguito ancora per molti anni, quando non solo il docente, ma anche i suoi allievi avevano già i capelli grigi.
È capitato così con tanti alunni, ma in particolare con quelli di una classe del corso per ragionieri (di cui si è parlato nel n. 4 di Astigiani del maggio 2013) che ha avuto Roberto Marchetti come docente dalla seconda fino al diploma di maturità, vale a dire dal 1953 al 1957.
È una storia che pare rivivere le atmosfere de L’attimo fuggente, l’evocante film con Robin Williams come protagonista, con la celebre scena finale del “Capitano, mio capitano”. Al Giobert nessuno studente dovette salire in piedi sul banco per dimostrare la sua riconoscenza al docente ma il legame tra gli allievi e il professore di lettere è stato profondo.
Come nel film l’attimo fuggente con Robin Williams
A riprova che in certe rare occasioni si crea tra insegnanti e allievi un feeling tutto particolare, che a prima vista parrebbe avere qualcosa di inspiegabile, ma che invece semplicemente si realizza quando si incontrano alunni seri e interessati e docenti ricchi di personalità, di carisma e di carattere.
Già, il carattere: Marchetti attribuiva la sua grande passione per Alfieri proprio a certe affinità di carattere che riscontrava tra se stesso e il trageda; in un’intervista del febbraio Duemila al periodico Asti in vetrina spiegava l’indole di Alfieri, e anche la sua, in questo modo: «Severo, un po’ sdegnosetto, scontroso e scostante nell’aspetto esteriore, ma molto tenero e umano». E poi, riferendosi ad Alfieri: «In lui si riscontra una certa fierezza d’animo condita con atteggiamenti infantili. Un’alta concezione del proprio io e nel contempo un grande abbandono».
Questo era Alfieri, e questo era anche Roberto Marchetti. Nato a Saluzzo nel 1920, si era laureato in Lettere a soli 19 anni, tra i più giovani laureati d’Italia. Lo aspettava una brillante carriera giornalistica, troncata sul nascere prima dal servizio militare e poi dalla guerra, che lo vide impegnato come ufficiale fino al 1942, quando fu congedato per gravi motivi di salute. Dopo la guerra il trasferimento definitivo ad Asti e l’inizio della sua carriera di insegnante di lettere.
Fu tra i più giovani laureati d’Italia
Intenso legame con Guglielminetti
Si diceva del legame profondo che tenne uniti il professor Marchetti e i suoi allievi: tutti, ma quelli di quella classe in particolare. Ne fanno fede alcuni aneddoti, e una serie di lettere inviate agli ex alunni che gli furono più vicini, anche negli ultimi anni della sua vita, e che lo andavano a trovare alla casa di riposo Monsignor Marello, dove ha trascorso l’ultimo periodo della sua esistenza e dove è mancato nel febbraio 2007.
Un esempio: Marchetti amava trascorrere le estati in montagna, nella sua casa di Sampeyre, e una volta l’intera classe organizzò un pullman per andare a trovarlo e trascorrere una giornata con lui.
Un epistolario tra il docente e gli ex allievi
In un’altra occasione, eravamo nel 2000, uno dei consueti incontri periodici a pranzo tra ex allievi e l’ex docente si trasformò inaspettatamente in una meravigliosa lezione di letteratura di un’ora e mezzo, che tenne inchiodati i già maturi ragionieri, incantati dalle sue parole.
E poi le lettere, tante, che gli allievi, diventati poi degli amici, conservano gelosamente. In una del giugno 2000, indirizzata all’ex allievo Mario Canepa, affermato scrittore e pittore ovadese (ma che ha studiato al Giobert, ospite, come molti altri compagni non astigiani, del Convitto Dante), Marchetti, commentando un libro dello stesso Canepa che l’autore gli aveva inviato, scrisse: «Come in ogni espressione di noi stessi, ciò che appare continuamente è il nostro passato, quel fiume che ci viene incontro e corre verso l’avvenire […]. Scespirianamente concordo che noi umani siamo fatti della stessa materia dei nostri sogni, ma completo la definizione, con l’ovvio atteggiamento dei vecchi, anche con la materia dei nostri ricordi». In un’altra lettera, sempre a Mario Canepa, Marchetti parla del suo continuo ricercare le piccole cose del suo strapaese: «Anch’io sono nato a cresciuto in provincia (a Saluzzo) da un padre che proveniva dalla Val Varaita, valle dei miei vecchi, dove tuttora mi rifugio per qualche giorno ogni tre mesi, valle rifugio di perseguitati, soprattutto ugonotti».
In una lettera del 2001, indirizzata a Gianni Valpiola, altro suo ex studente astigiano, l’ormai anziano professore si commuove: «Hai pensato al vecchio amico, hai preso carta e calamaio, mi hai dedicato qualche minuto. Oggi è una cosa rara!».
E in un’altra lettera ancora, del 2003, sempre a Mario Canepa, a commento di un nuovo libro di questi, Marchetti rievoca i poeti amati e conosciuti in gioventù: «Io leggevo Gozzano, ho conosciuto e frequentato Cocteau, portavo fiori sulla tomba di Chagall a Saint Paul de Vence, adoravo Pavese e Sandro Penna. Quest’anno compirò 83 anni. Alla mia età i tuoi versi ti penetrano a fondo, a fondo».
L’epitaffio poetico per l’antico professore
Fu proprio Mario Canepa, quando Marchetti morì, a scrivere ai giornali: «Le sole parole che mi vengono in mente sono vuoto e silenzio. Il vuoto te lo senti dentro quando scompare chi ti aveva visto ragazzo e poteva confermare i tuoi ricordi. Silenzio è andarsene così senza che nessuno ti accompagni. Qualche tempo fa gli feci avere alcuni miei libri: stai a vedere che me li manda indietro corretti, mi dicevo. In fondo era pure il Presidente del Centro Studi Alfieriani […] ne avrebbe avuto, pertanto, tutto il diritto e l’autorità. Sbagliavo, mi scrisse invece una lunga lettera: “ti ricordo ragazzo ed ho un solo rimorso: non avere afferrato pienamente già allora il tuo valore… che tu fossi non comune l’avevo avvertito sin d’allora ma, confesso, distrattamente. E finiva: «I tuoi tre versi “Icaro morì all’alba/ il volo fu breve/ e sembrò un sorriso” li ho trascritti dietro a una foto a me cara».
Senza commenti. Questa era e dovrebbe restare la scuola.
I suoi alunni, proprio quelli della stessa classe di cui si è parlato nel numero 4 di Astigiani, hanno rinnovato il 23 settembre il loro incontro annuale (in questa occasione l’incontro era fissato nella chiesetta di Valgera); anche in questa circostanza, accanto al ricordo dei compagni nel frattempo scomparsi, non è mancata l’opportunità di ricordare, ancora una volta, l’antico professore che ha lasciato un segno indelebile nella loro formazione.