Pino Morino era un gigante buono. Si considerò un missionario della pallapugno, ma la sua vita è stata così ricca di eventi e incontri che merita di essere pennellata come un quadro dai colori intensi.
Pino era nato l’8 luglio del 1932 a Nizza Monferrato, primogenito in una famiglia di vignaioli. Aveva due sorelle, Marisa e Piera. Frequentò le scuole in paese e dopo la guerra i genitori lo iscrissero all’Istituto Enologico di Alba. Tra gli svaghi preferiti dagli studenti c’era il “gioco ai tetti”, una pantalera sui generis, praticato nella piazzola antistante il ristorante “Vigin Mudest”. Una foto lo ritrae con il suo primo tamburello in mano. Il giovane Morino aveva il fisico giusto per eccellere e, tornato a Nizza a cavallo degli Anni ’50, iniziò a praticare lo sport agonistico nel locale gruppo sportivo Pellati. Nel 1954, a soli 22 anni, si laurea Campione italiano di seconda Categoria nel lancio del disco.
L’anno successivo è ingaggiato dalla Società Ala di Alessandria con cui vince il titolo Tricolore assoluto a squadre: sarà terzo ai Campionati Italiani nel 1956 e Campione
Regionale, nel lancio del disco e del martello, nel 1955, 1956 e 1957. Vive una stagione intensa di gare e allenamenti. Convocato più volte nelle nazionali giovanili, frequenta il Centro sportivo federale di Formia conoscendo atleti come Tosi, Lievore, Pamich, Dordoni, Consolini e Berruti, futuro vincitore dei 200 metri alle Olimpiadi di Roma nel 1960. In particolare Adolfo Consolini, veronese di Costermano, già campione Olimpico di lancio del disco alle Olimpiadi di Vienna del 1948, adottò il suo giovane collega, giocando con lui
a tamburello con l’altro veneto Aldo Ballarin, terzino del grande Torino, scomparso a Superga.
Proprio Consolini regalò a Pino il disco, con dedica, dopo un suo lancio vittorioso. E sappiamo quale rapporto esiste tra i campioni e i propri “arnesi” di lavoro. Pino era anche un ottimo decatleta: nonostante la sua mole imponente riusciva a correre i 100 metri in 11 secondi e 7. Lo ricorda così Livio Berruti: «Non amava troppo gli allenamenti e neppure le lunghe sedute pre-gara. Ma non deludeva nelle gare ufficiali, dove riusciva a esprimere tutto il suo immenso potenziale atletico». Ma di atletica leggera allora non si viveva e Pino, unico figlio maschio, fu richiamato dalla famiglia ai lavori della vigna. Annota Berruti: «Allora gli atleti non ricevevano stipendi e solo qualcuno veniva aiutato nello studio: non c’erano sponsor. Soffrii della sua partenza: bastava una barzelletta o una semplice battuta in piemontese per ridarmi la carica».
Terminata la vita da campione di atletica verso la fine degli Anni ‘60, Pino si dedicò a uno sport che aveva a portata di mano, pardon di pugno. E nel balun trovò altre soddisfazioni, vincendo subito un campionato di serie C e poi approdando alla corte del grande Augusto Manzo, nel ruolo di spalla e, dopo il suo ritiro, con un altro intramontabile mito, Felice Bertola, nel campionato 1974/75 a Caraglio. Pino era affascinato da questa disciplina perché una partita di balun è più che una contesa sportiva, è un rito, una cerimonia. Il gergo, il pubblico rumoroso e vociante, le scommesse (proibite?), gli scommettitori, una “caccia” persa, un ricaccio sbagliato, un cenno d’intesa mal capito. Pino si immerse in quell’ambiente, dove il piemontese è la lingua ufficiale. A quei tempi si giocava di più: sulle piazze, sulle starnie, negli slarghi senza righe per terra, senza
divise e sponsor. I campionissimi diventavano miti. Nelle piole si parlava della grandezza di Paolo Rossi, da Monesiglio, insuperabile campione anche di biliardo, della potenza di Gioetti, dell’atleticità di Balestra. E si tifava per il pallone come per Binda e Guerra o per Bartali e Coppi. Fu così per Berruti e Bertola, che divideranno per anni le schiere dei tifosi, i campionati, le coppe e i trofei.
Pino era sempre vicino a tutti, anche ai “nuovi”, ai quali dava consigli per migliorare potenza e rendimento. Ricordo il mio primo incontro con Pino in un pomeriggio di settembre del 1988 ad Acqui Terme, dove mi ero esibito con altri tamburellisti a favore della costruzione di un nuovo sferisterio. Pino si presentò e subito mi propose l’idea di provare con il pugno “fasciato” a giocare anche a balun. Da allora iniziò tra me e Pino un rincorrersi tra tamburello e pallone elastico. Ho girato e scoperto con lui la Langa più profonda e i quasi sconosciuti paesini sulle creste delle colline che portano al mare. A San Damiano d’Asti costruimmo una squadra grazie a personaggi come il vice questore Tullio Dezani, l’ingegner Zappa e Gigi Marinetto, esibendoci anche in campionati regolari di serie C a fianco di vecchi marpioni e giovani rampolli come Dario Berruti, figlio del grandissimo Massimo, e Giovanni Bessone, figlio di Celso. In quel tempo rivinsi a tamburello con il Castellero, alla corte di Carlo Campia, con la benedizione di don Novo: sabato tamburello, domenica pallapugno e la sera concerto con la mia Cerot Band. Bei tempi. Ed era nei post-partita, manco a dirlo, che uscivano fuori la vitalità e la contagiosa simpatia di Pino. Il “terzo tempo” lo ha inventato lui, prima dei giocatori di rugby. Un mattino Pino mi telefonò verso le sei e mi parlò di un progetto: un viaggio in comitiva per raggiungere le tombe
degli “atleti” illustri e posare una rosa rossa sulla loro tomba, a ricordo delle loro imprese sportive.
A chi gli domandava se valeva la pena fare tutti quei chilometri per versare una lacrima su una stele, Pino rispondeva: «Macché lacrime. Porteremo con noi salame e formaggi, bottiglie di dolcetto e barbera. Son sicuro che loro da lassù avrebbero voluto così». “Pino” Morino ha lasciato questo mondo nella notte tra il 12 e il 13 maggio del 1999. Franco Piccinelli, scrittore e presidente della Federazione della Pallapugno, di cui
Morino era stato consigliere, raccontò: «Una volta Pino mi disse, in confidenza, che il Signore gli aveva dato quelle braccia, quelle spalle e quelle mani così larghe e così grandi per fare meno fatica ad abbracciare il mondo che lui adorava». Il Comune di Nizza ha dedicato a Pino Morino il nuovo Palazzetto dello Sport. Le sorelle Marisa e Piera e i familiari lo ricordano ogni anno in due occasioni particolari. La prima il 1° sabato di luglio, con una messa celebrata da mons. Pistone, parroco della pallapugno, seguita da un pranzo alla
Cascina Pola, la casa della famiglia Morino. La seconda è nel cortile della Cantina Malgrà a Bazzana di Mombaruzzo, con una partita di vecchie glorie alla pantalera. E Pino è tra noi in campo.