Alessandro Maria Mai, annonese, è un profondo amante della natura, ambientalista convinto, appassionato pescatore con la mosca. Scrive: “Non ricordo esattamente la prima volta che vidi un fiume e, con un certo fastidio, nemmeno quella in cui lanciai la lenza in acqua. Ma sono quasi certo che come il galleggiante si assestò in superficie, compresi immediatamente qual era l’emozione vera: la contemplazione.” E fra la contemplazione e la pace di luoghi nascosti del Tanaro, sconosciuti ai più, e la passione per la pesca si srotola in tanti brevi racconti il libro, fatto di luoghi, di pesci e di tanta bella umanità, quella della gente di fiume.
“Il cuore di chi va a pesca non tanto per prendere i pesci, ma perché ama la vita e da questa sa farsi amare, è lesto nel tornare a sorridere: per vivere bene basta una canna da due soldi, un po’ d’acqua pulita e un pesce decente a sguazzarci dentro”. Bello l’incontro fra Alessandro e un vecchio signore che lo guarda pescare, che riconosce la sua bravura, e gli dice che non pescherà mai le trote grosse perché… non sa dove sono, e gli propone di andare insieme, un giorno verso sera. Lo porterà alla buca dove si rintana la grande trota. Una lunga camminata, poi procedere in silenzio e sulle ginocchia, e poi l’acqua che forma una pozza cristallina dal fondo scuro. Quella è la tana della grande trota. È il vecchio che la vede per primo, il giovane prepara la canna e lancia. La grande trota abbocca, una femmina portentosa. Il pescatore la prende in mano, le toglie delicatamente l’amo e la ributta in acqua. “Sei stato bravo, ragazzo.”.