sabato 27 Luglio, 2024
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1935

L’Unione ha 80 anni. Così è cambiata l’industria astigiana

Nel 1935 la nascita della provincia porta con sé la necessità di istituire una lunga serie di enti, tra questi, l’Unione industriale. Al primo nucleo aderiscono 634 ditte con 8.603 dipendenti. La maggior parte è costituita dalle industrie metallurgiche e meccaniche, in testa nomi che hanno fatto la storia del lavoro astigiano, come la Way Assauto, le Ferriere Ercole e la Maina. Nel corso del tempo cambiano i mestieri, oscillano i salari, si affermano nuove garanzie per i dipendenti. Le vicende dell’industria astigiana offrono una lettura inedita di ottant’anni di storia, tra il regime, il periodo della guerra e quello della rinascita. Fino a un presente dove i grandi numeri dei “bulun" sono soltanto un ricordo.

Più giovane della Provincia anche se solo per tre giorni

 

L’Unione Industriale di Asti ha da poco compiuto 80 anni. La sua nascita risale infatti al 1935, lo stesso anno in cui, un po’ inaspettatamente, fu ricostituita la provincia di Asti. Anzi, occorre precisare che la costituzione dell’Unione Industriale precedette, sia pure di soli tre giorni, l’inizio della vita amministrativa della Provincia di Asti. Quest’ultima, soppressa nel 1859 alla vigilia dell’unità d’Italia, fu riportata in vita grazie alla volontà di personaggi come l’allora podestà di Asti, il moncalvese Vincenzo Buronzo che trovò appoggi romani in Pietro Badoglio, nato a Grazzano, e nel senatore astigiano Giovanni Penna. Un telegramma, giunto da Roma il 30 marzo di quell’anno, informava il Comune di Asti dell’avvenuto riconoscimento della città quale capoluogo di una nuova provincia. Vi si precisava che l’attività del nuovo ente territoriale avrebbe ufficialmente preso avvio il successivo 15 aprile (per le vicende legate alla rinascita della Provincia di Asti, si veda il numero 2 di Astigiani). In quei convulsi giorni di primavera, fu quindi necessario istituire in fretta e furia tutta una serie di enti a carattere provinciale, a iniziare dalla Provincia stessa. Questa fu posta prima a palazzo Ottolenghi, poi al numero 6 di corso Dante, dove rimase sino all’ultimazione del contestato grande palazzo di piazza Alfieri che fu inaugurato nel 1961 e che da allora ospita anche la Prefettura. C’era infatti da pensare nel 1935 alla sistemazione della Prefettura, che trovò spazio anch’essa a palazzo Ottolenghi, alla Questura, che ebbe sede in piazza San Martino, all’Intendenza di Finanza, insediata a palazzo Anfossi. Il Genio Civile e l’Automobile Club andarono in piazza Medici. L’Unione Industriale, costituita il 12 aprile, trovò la propria sede in piazza San Martino, al numero 11: dieci locali al primo piano, in affitto a 500 lire al mese. Qui rimase sino al 1950, quando gli uffici furono trasferiti a palazzo Ricciardi, in piazza Medici, dove si trovano tuttora.

la Distilleria Canellese C. Bocchino & C., fondata nel 1898.

 

Il contratto di categoria che nel 1937 stabiliva le paghe di “chiampagnisti” (sic) e cantinieri: 2,80 lire all’ora per i primi, 2,20 per i secondi.I l documento indicava i minimi di paga anche per i ragazzi inferiori ai 16 anni, che percepivano 1,05 lire all’ora

Raggruppò 634 ditte con 8603 dipendenti e anche 18mila proprietari di fabbricati

 

Per i primi tempi l’Unione Industriale, o come allora era ufficialmente definita, Unione Industriale Fascista della Provincia di Asti – dizione che mantenne sino al 25 luglio 1943, con la caduta del regime – ebbe come delegato alla presidenza il senatore Teresio Borsalino. Una carica che aveva valenza temporanea per colui che all’epoca era già presidente dell’Unione Industriale di Alessandria, organismo da cui quella di Asti ricevette anche una parte degli iscritti. Del resto, il territorio della provincia di Asti, con i suoi 1511 chilometri quadrati di superficie e 253mila abitanti, era stato ritagliato da quella di Alessandria. Direttore reggente venne nominato l’avvocato Filippo Bassi, anch’esso alessandrino. Dopo un mese dalla sua costituzione, l’Unione era già pienamente attiva, anche se gli uffici di piazza San Martino aprirono al pubblico il 1° luglio di quell’anno. Il suo simbolo era un aquilotto confindustriale, allora circondato dai fasci littori; lo stesso simbolo, ovviamente privato dei fasci e recentemente sottoposto ad ammodernamento stilistico, che campeggia ancora oggi sui documenti ufficiali dell’Unione. Fin quasi dall’inizio il nuovo ente raggruppò 634 ditte con 8603 dipendenti, a cui sono da aggiungere 26 dirigenti, 5324 artigiani e 18mila proprietari di fabbricati, che al tempo confluivano anch’essi all’Unione Industriale. Già il 3 maggio il senatore Borsalino in una nota ufficiale ebbe modo di affermare che la parte numericamente più consistente degli aderenti all’Unione era costituita dalle industrie metallurgiche e meccaniche, in testa la Way Assauto con i suoi 1400 operai, le Ferriere Ercole e la Maina. Poi la Vetreria, con 200 dipendenti, la Saffa, la fabbrica dei fiammiferi, con 300, il Maglificio Omedè, con 250. E ancora tra gli iscritti del 1935 troviamo stabilimenti per la fabbricazione dei laterizi (ben 41, con circa 1000 dipendenti), due filande (a Moncalvo, con 233 operai, e a Valfenera, con 83). Poi le case vinicole, in numero di 40, tra cui Cora, Contratto, Bosca e Gancia, molte delle quali nel comparto Canelli-Nizza-Costigliole. 

Lavoratori della ditta Accornero nei primi anni del Novecento, specializzata in terra e sabbia per fonderie.

 

Le cantine Giovanni Bosca a Canelli

Si devono al presidente Cora le colonie marine per l’infanzia

 

Un totale di 550 operai e una produzione annua che si aggirava sul milione e mezzo di ettolitri di vino e cinque milioni di bottiglie di spumante. Erano iscritte anche 105 imprese edili, per un totale di circa 1500 operai, e 200 imprese per la trebbiatura del grano.

 

L’Unione procurò ferro, rame e ottone negli anni delle sanzioni all’Italia. Le fedi nuzionali donate alla patria furono 29.710

 

Un’analisi delle industrie iscritte nel 1935 mette in luce altri dati che oggi ci sembrano perlomeno sorprendenti e che sono il segno di quanto sia cambiato il panorama imprenditoriale astigiano, e forse anche quello nazionale: tra le 634 ditte iscritte ne troviamo 94 di mugnai e pastai, 18 produttori di acque gassate, 40 di vini e liquori, 20 aziende metallurgiche, 33 nell’ambito del legno, 36 nel settore dei trasporti automobilistici, 16 in quello dello spettacolo. Ed è da rimarcare che delle 41 ditte produttrici di laterizi, oggi ne rimangono soltanto due.

 

La parata dei bambini che andavano in colonia a Bordighera

 

Avviata l’attività della nuova provincia, il senatore Borsalino lasciò l’incarico. Venne eletto primo presidente dell’Unione Industriale di Asti il canellese Lamberto Vallarino Gancia. Mantenne la carica per poco tempo, perché all’inizio del 1936 fu nominato “preside” della Provincia – questo il termine con cui allora si indicava il presidente –, carica che ricoprì per sette anni. Quando Gancia si dimise, gli subentrò Mario Cora, anch’egli esponente del settore vitivinicolo. Mantenne la presidenza sino al 1944, attraverso i duri anni della guerra. Cora, classe 1878, titolare di una delle più celebri aziende vinicole, era noto, oltre che per i suoi successi in campo professionale, anche per la sua attività benefica: sovvenzionò l’Opera Pia Michelerio e la Croce Verde, e si impegnò a dare vita a quelle colonie marine per l’infanzia che furono per molti anni una delle prerogative dell’Unione Industriale. Le colonie, a partire dai primi anni Cinquanta e per ben 32 anni, fecero trascorrere un mese estivo al mare a migliaia di bambini astigiani, nelle colonie di Bordighera in accordo con un ente di Lecco e di Andora (si veda Astigiani 12). È significativo che bambini e assistenti della squadre dirette a Bordighera si componessero in piazza Medici, sotto la sede dell’Unione, per poi raggiungere la stazione, dove li attendeva il treno speciale per il mare, attraversando la città in una sorta di parata tra gli applausi e i saluti di mamme e amici. Nel frattempo erano state costituite anche le associazioni di categoria, in numero di 18, con altrettanti rappresentanti in seno al direttivo dell’Unione. Una curiosità: a tali associazioni ci si riferiva con il termine “sindacati”, in un tempo in cui i sindacati come li intendiamo oggi non erano contemplati. Sono, quelli in cui nasce la Provincia, gli anni dell’“oro alla patria”, e non solo dell’oro, anche dell’argento, del ferro, del rame. Anche di questo si dovette occupare l’Unione Industriale. In provincia di Asti furono raccolti 240 chili di oro. Le fedi nuziali donate più o meno volontariamente alla patria furono 29 170, di cui 5657 nel capoluogo, sostituite da fedi di acciaio, che la stampa del tempo ricorda benedette in pubblico nel corso di “solenni e suggestive cerimonie”. Furono 691 i chili di argento raccolti, oltre circa 10mila quintali di ferro, 39 quintali di rame, 11 di ottone, 10 di piombo, 3 di bronzo, uno di alluminio. Tutti metalli utili a far fronte alla difficoltà di reperire materie prime, in seguito alle sanzioni che la Società delle Nazioni decretò contro l’Italia dopo l’attacco contro l’Etiopia. Una guerra, per inciso, che costò all’Italia la cifra enorme di 40 miliardi di lire, pari al salario, è stato calcolato, di 12 milioni di operai. Mussolini rispose alle sanzioni decretando l’autarchia, con i risultati che sappiamo.

La fornace di Castell’Alfero “Nebiolo Alfredo”. È diventata in tempi più recenti la Fornace Laterizi di Castell’Alfero Spa.

 

Il gruppo di lavoratori della Ruscalla Costantino, impresa edile nata nel 1920

Le celebri “mille lire al mese” per molti restavano un miraggio

 

Tra i primi problemi che i vertici dell’Unione Industriale dovettero affrontare, vi fu quello del rinnovo dei contratti di lavoro per diverse categorie: i trebbiatori, i lavoratori dell’industria dei vini e dei liquori, dei metalmeccanici, dei siderurgici, degli edili, degli esercenti delle autolinee, dei grafici, dei lavoratori del legno. Furono istituite anche le Casse Mutua Malattia, per operai e impiegati delle aziende industriali, e si discusse sull’assunzione al lavoro dei reduci della guerra d’Africa rimasti disoccupati. Può essere utile conoscere qualche dato relativo agli stipendi del tempo: se nel 1935 Gilberto Mazzi cantava la celebre Mille lire al mese, inserita nell’omonimo film con Alida Valli, quelle mille lire erano un miraggio irraggiungibile per i più. Nell’industria conserviera come la futura Saclà, per intenderci, il minimo di paga è di 2 lire e 75 l’ora per “cuocitori, macchinisti e fuochisti”. Per i minori di 16 anni una lira l’ora, per le donne tra 1,10 e 1,30. Tra i metalmeccanici, si va da 3,30 lire l’ora per uno specializzato (ma solo 2,80 se l’azienda è collocata fuori dal capoluogo, nei comuni della provincia), 1,10 per le donne (solo 0,93 se in provincia), i ragazzi 0,50 l’ora (0,44 in provincia). Lo straordinario viene pagato con un aumento del 20 per cento per le prime due ore giornaliere, del 40 se le ore sono da tre a cinque, del 60 se sono addirittura sei. Venti per cento in più anche per il lavoro notturno. I dipendenti dell’industria del vino sono pagati un po’ meno: da 2,20 a 2,80 l’ora, a seconda delle mansioni con ai vertici gli “schiampagnisti”, cioè i cantinieri specializzati nel far ruotare le bottiglie di spumante durante la lunga fase della presa di spuma. Gli avventizi assunti per la vendemmia guadagnano una lira e 65 l’ora. Per i trebbiatori vi sono tariffe diverse: da 2,60 a 3,80 il quintale per il grano, e 1,40 per la paglia. Ma a carico del trebbiatore sono i lubrificanti, il filo di ferro per l’imballaggio, l’energia motrice, la paga del conduttore; l’agricoltore invece deve mettere a disposizione il personale, il vitto e il vino per i lavoratori e il trasporto. Qualche anno dopo, siamo nel 1941, i salari sono saliti, seppur di poco: alle Ferriere Ercole un “maestro” dell’acciaieria può guadagnare come paga base 4 lire e 85 centesimi l’ora, con il 20 per cento di cottimo, un ausiliario 2 lire e 70. In sostanza si può dire che un bracciante guadagnava non più di 200 lire al mese, un operaio 300-400, un impiegato laureato (erano ben pochi) poteva arrivare a 800, un dirigente anche a 1000. La Fiat Balilla, entrata in produzione nel 1932, costava circa 10mila lire.

 

Scioperi per il pane nel 1943 e all’8 settembre si teme l’occupazione tedesca

 

Più abbordabili i prezzi degli alimentari, destinati però a salire presto, soprattutto in prossimità della guerra: il pane costava 1,50 al chilo, 1,50 anche la farina, 2,40 la pasta, da 5 a 7 lire il formaggio, da 5 a 9 la carne, 4,35 lo zucchero, 0,80 un litro di latte, 3,50 un etto di caffè, 1,5 il litro il vino barbera. Si lavorava allora 48 ore alla settimana, e un rapporto firmato dal presidente Vallarino Gancia informa come l’Unione si sia attivata per controllare lo scrupoloso rispetto dell’orario di lavoro nelle varie aziende, così come pure il regolare pagamento degli assegni familiari e la pubblicazione, da parte della Provincia di Asti e di quella di Alessandria, degli elenchi dei disoccupati sul territorio astigiano. L’estate del 1943 fu per l’Italia uno dei periodi più tragici nella sua storia. Mussolini viene fatto decadere il 25 luglio. Mentre l’Italia si interroga sul proprio futuro e Badoglio proclama che la guerra continua, il 7 settembre, il giorno prima dell’armistizio, la Confederazione degli Industriali chiede all’Unione di Asti notizie sulla situazione economica locale. Una comunicazione, quella che viene richiesta, che è sufficiente “anche scheletrica”. L’indicazione di essere brevi è presa alla lettera. Nella risposta già si legge il cambio di regime: l’intestazione dell’ente è stata prontamente purgata dell’aggettivo “fascista”. Si tratta di appena due pagine, e le notizie sono sconfortanti: carenza di approvvigionamenti, difficoltà nei trasporti per mancanza di carburante e di pneumatici, scarsità di prodotti vinicoli, impossibilità di fare previsioni, anche a breve termine. Soprattutto, il governo non paga le ditte a cui ha affidato delle commesse. Si parla anche degli scioperi che si sono svolti ad Asti nei principali stabilimenti subito dopo l’annuncio dell’armistizio: «Lo stato d’animo creatosi specialmente per l’occupazione di località da parte di truppe tedesche, a seguito della proclamazione dell’armistizio, ha notevolmente influito sulla massa operaia e come immediata ripercussione si è verificata la quasi totale astensione dal lavoro da parte degli operai dei maggiori stabilimenti di Asti. Infatti nei giorni 9, 10 e 11 corrente, gli stabilimenti sono rimasti inattivi per espressa volontà delle maestranze le quali hanno ritenuto pericoloso rimanere al lavoro e ciò sempre in considerazione dei motivi predetti»Poi vengono i mesi della Repubblica Sociale, la guerra partigiana, il blocco delle attività per mancanza di materie prime. Molti industriali, soprattutto nella zona a sud del Tanaro, per salvare le aziende dallo smantellamento minacciato dai tedeschi che volevano portare i macchinari in Germania, mantengono buoni rapporti con le autorità fasciste e gli occupanti tedeschi, ma anche con i comandi partigiani. 

La partenza dei bambini per Bordighera

 

Il treno speciale che portava bambini e ragazzi alle colonie estive

Vallarino Gancia e Cora i primi due presidenti, entrambi venivano dal settore vinicolo

 

Nel marzo 1944, su richiesta della Provincia, l’Unione Industriale redige un rapporto da cui risulta che le ditte iscritte sono 950 con 10 423 dipendenti, a cui si devono aggiungere 4502 aziende artigiane. Una sola azienda ha più di 1000 dipendenti (la Way-Assauto), sei ne hanno più di 200, nove più di 100. Tutte le altre sono sotto i 100 dipendenti. Sono dati che si manterranno nel tempo, anche dopo la fine della guerra e la successiva ripresa, che ha comportato anche, nel 1945, la rifondazione dell’ente, in seguito alla soppressione dell’ordinamento corporativo. Il boom industriale degli Anni Cinquanta e Sessanta vede anche nell’Astigiano l’apertura di nuove fabbriche legate all’indotto Fiat e al nascente polo dei motorini per elettrodomestici con la IB.mei. Piazza Medici, davanti alla sede dell’Unione Industriale, diventa il naturale luogo dove si svolgono decine di manifestazioni sindacali durante l’autunno caldo del post ’68 e si levano le proteste per le ondate di crisi che hanno profondamente trasformato e in molti casi ridotto la realtà industriale astigiana. Mezzo secolo dopo, nel 1995, in occasione dei sessant’anni dell’ente, il presidente Alberto Contratto scriverà che «Il novanta per cento delle aziende associate occupa meno di cento dipendenti e il quaranta per cento è addirittura sotto i dieci». Buona parte delle aziende iscritte in quel 1995 esistevano già nel 1935, al momento della fondazione dell’Unione, sia pur attraverso modifiche statutarie, cambiamenti di ragione sociale o di proprietà. E attraverso i cambiamenti che l’Italia ha avuto: la guerra, il passaggio dalla monarchia alla repubblica, il boom economico, le varie crisi. Nella storia dell’Unione Industriale si sono succeduti nel tempo 18 presidenti, molti dei quali esponenti del settore vitivinicolo: Lamberto Vallarino Gancia, Mario Cora, Luigi Bosca, Aldo Muggia. Quest’ultimo era direttore generale della Bosca, fu presidente per poche settimane, tra la fine di marzo e il 30 luglio 1947, quando morì in un incidente automobilistico. Poi ancora Lorenzo Vallarino Gancia, Alberto Contratto. L’industria metalmeccanica è stata rappresentata da Modesto Maina, Walter Valentino, Francesco De Gennaro. Carlo Botta proveniva dal settore dei laterizi, Ortelio Narbonne dall’edilizia, Giuseppe Clinanti dall’industria vetraria, Piero Visconti dalle aziende cartografiche. Lorenzo Ercole ha rappresentato l’industria alimentare, Renato Goria l’industria delle chiusure per bottiglie e contenitori destinati al settore imbottigliamento alimentare. 

Una corriera della “Giachino Enrico”, ditta di trasporti fondata a Montafia
nel 1919.

 

Sulla sinistra, il primo presidente dell’Unione Industriale Lamberto Vallarino Gancia

L’Unione oggi per la prima volta a guida femminile

 

Nell’elenco dei presidenti troviamo un solo politico, Enzo Giacchero, in carica dal 1971 al 1974. Giacchero, partigiano autonomo, prefetto di Asti dopo la liberazione, era stato eletto all’Assemblea Costituente nel 1946 per la Dc. Docente universitario al Politecnico di Torino, più volte deputato, membro dell’Alta Autorità della CECA e presidente dell’Union Européenne des Féderalistes. 

 

Il rilancio del comparto enologico e l’idea della bottiglia “Astesana”

 

Era stato anche segretario generale del comitato nazionale per le celebrazioni di Italia ’61. Dal 2013, ed è la prima volta, troviamo una donna al vertice dell’Unione: è Paola Malabaila, esponente del settore dell’edilizia e titolare dell’azienda Malabaila e Arduino di Villafranca. Laureata in ingegneria, Paola Malabaila ha lavorato un anno presso un’impresa di costruzioni di Milano e nel 1996 è entrata nell’azienda di famiglia, fondata nel 1973 dal padre Guido, vice presidente dell’Unione sotto la presidenza di Renato Goria, e dal socio Giuseppe Arduino. Nell’ambito associativo Paola Malabaila è stata presidente del Gruppo Giovani imprenditori edili dell’Unione industriale di Asti e, successivamente, per due mandati, vice presidente nazionale dei Giovani Ance (Associazione nazionale costruttori edili). Attualmente è presidente dell’Ente Scuola Edile Astigiano, coordinatore della Commissione infrastrutture, energia e sicurezza sul lavoro dell’Unione industriale e consigliere di amministrazione di Per.Form., il consorzio formativo dell’associazione di piazza Medici. Oggi l’Unione Industriale conta 230 aziende iscritte (il 90 per cento delle quali hanno meno di 50 dipendenti) per un totale di circa novemila addetti. Alla recente Douja d’Or l’Unione industriale, che era presente con un suo stand dedicato ai vermouth e ai vini aromatici, ha presentato un suo progetto vino con un piano di sviluppo promozionale della realtà enologica. Tra le idee il ritorno a una bottiglia “Astesana” realizzata d’intesa con la Vetreria Avir (associata all’Unione) che potrebbe contenere e contraddistinguere la produzione dei vini astigiani. La comunicazione, rivolta agli associati ma anche ai rappresentanti del mondo economico, politico e culturale e ai cittadini, avviene, oltre che con comunicati e newsletter settimanali, attraverso pagine monografiche sulle testate locali. A partire dal 2012 è stato creato il magazine Unindustria Alessandria-Asti, diffuso a tutte le aziende associate. Molto seguito il sito web, attraverso cui è possibile reperire informazioni, scaricare materiale relativo a riunioni e convegni, consultare la rassegna stampa e ricercare le aziende associate. Dopo 80 anni il riavvicinamento con la realtà di Alessandria è in atto sotto varie forme, di pari passo con la trasformazione o lo smantellamento di molte altre realtà provinciali astigiane. Da segnalare infine anche l’attività del Gruppo Giovani Imprenditori, che attualmente conta una quarantina di iscritti di età compresa tra i 18 e i 40 anni. Tra gli obiettivi del gruppo, presieduto dall’avvocato Francesca Fasolis, figura la promozione tra le giovani leve di iniziative atte ad approfondire la conoscenza dei problemi economici, sindacali, sociali e tecnici dell’industria attraverso manifestazioni, corsi di formazione, studi e dibattiti.

Le Schede

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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