Nello scorso mese di marzo, quando se n’è andato in pochi giorni a seguito di un ictus, tutti i media ne hanno ricordato le doti di grande giornalista e politologo, per un cinquantennio firma di punta del Corriere della Sera, di cui è stato direttore tra il 1984 e il 1987. Merita però ricordare che gli esordi giornalistici di Piero Ostellino, veneziano di nascita, ma torinese di famiglia e crescita, si sono svolti ad Asti negli Anni Sessanta, quando il futuro direttore del Corsera fu per un triennio redattore capo de Il Cittadino, la storica testata nata negli anni del Risorgimento e cessata nel 1980, dopo oltre un secolo di ininterrotta presenza in edicola.
Ricordo bene l’avventura astigiana di Ostellino; avevo allora poco più di 10 anni e l’amministratore del giornale, Enzo Florio, era mio padre.
Il giovane Ostellino, poco meno che trentenne, arrivò ad Asti per interessamento di Pinin Ercole, il patron della Saclà. L’industriale astigiano era infatti in contatto con il gruppo di imprenditori torinesi sostenitori del “Centro di Documentazione e Ricerca Luigi Einaudi”, diretto proprio da Ostellino e sorto in quegli anni come incubatore di idee liberali e antidoto al nuovo corso socialisteggiante della politica italiana, che aveva appena visto nascere il primo governo di centrosinistra e varare la nazionalizzazione dell’energia elettrica.
Ostellino, non ancora trentenne, con una laurea in Scienze Politiche discussa con Norberto Bobbio, aveva divorato i testi sacri dell’Illuminismo – soprattutto Adam Smith, David Hume e Adam Ferguson – e aveva approfondito il pensiero liberale in tutte le sue declinazioni, con una predilezione per la scuola anglosassone.
Contestualmente aveva iniziato a studiare l’applicazione del marxismo alle pratiche di governo, cioè i sistemi comunisti che allora governavano mezzo mondo, diventandone uno dei maggiori conoscitori (e critici) a livello internazionale. Ad Asti avrebbe dovuto rilanciare l’antica testata laica e moderata, fieramente avversaria della svolta a sinistra che anche localmente la Dc si avviava a compiere.
Dal 1964 al ’67 mandato a rilanciare lo storico giornale liberale
Occuparsi di un settimanale di provincia non doveva essere il massimo per uno come lui; tuttavia Ostellino lo fece conimpegno dal 1964 al 1967, in attesa di sbocchi professionali più consoni, che non tardarono ad arrivare. Al giornale dedicava un paio di giorni la settimana. Nella sede de Il Cittadino, che in quegli anni si trasferì da piazza Medici (nell’antico palazzo abbattuto per far posto a quello che ora ospita l’Aci) a piazza Alfieri (sopra i Portici Pogliani, nei pressi dell’allora gettonatissima “Cremeria”), si incontrava regolarmente con mio padre, con il quale concordava gli argomenti su cui sbizzarrire la versatile penna.
Di Asti non conosceva praticamente nulla, ma in poco tempo prese dimestichezza con persone, luoghi, abitudini, riti di questo lembo di Piemonte profondo; ne restò conquistato e sviluppò con la nostra città un legame intenso, che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita. Divenuto giornalista famoso e politologo consultato nei più importanti consessi, mantenne con Asti un contatto costante. Non c’è stato suo libro (i principali titoli sono ricordati nel riquadro biografico) che non sia stato da lui presentato alla Biblioteca Astense, oggi Biblioteca Giorgio Faletti. Da direttore del Corsera venne nel 1984 ad assistere al Palio dalla Tribuna Alfieri. Nel 1995 fu a Palazzo Ottolenghi per ricordare Gilberto Barbero, storico direttore de Il Cittadino e leader liberale astigiano, scomparso l’anno prima. In quell’occasione ricordò l’esperienza vissuta nella redazione astigiana del settimanale. Nel 1998 partecipò a un importante incontro sul Medio Oriente alla Camera di Commercio con l’ambasciatore di Israele e il rappresentante diplomatico palestinese in Italia. L’ultima delle sue innumerevoli venute in terra d’Alfieri è di tre anni fa, per ricordare l’amico e collega Vittorio Dan Segre su iniziativa del Rotary e dell’Associazione Italia Israele. Ma torniamo al giovane Piero. Dai redattori de Il Cittadino era visto – quale in effetti era – come il predestinato a grandi ruoli, momentaneamente prestato al loro giornale; Pier Paolo Pontacolone, allora giovane firma, ricorda che vi era nei suoi confronti un rispetto reverenziale, dovuto non certo al suo atteggiamento, cordiale e alla mano, ma alle sue riconosciute capacità. Ricordo in proposito la meraviglia di mio padre nel raccontare come Ostellino, una volta in possesso degli argomenti per mettere giù un articolo, fosse in grado di confezionarlo con la sua Olivetti in pochi minuti, pronto per la stampa senza necessità di modifiche. Anche Pippo Sacco, giovane collaboratore dell’epoca, conferma l’«aureola» di predestinato a far carriera come commentatore politico con cui Ostellino veniva in redazione. Ostellino non metteva il naso nelle pagine sportive; si occupava in prima persona delle principali vicende locali e nazionali e assegnava alla redazione i temi di maggior interesse su cui svolgere inchieste o approfondimenti. Pontacolone su suo incarico girò mezza provincia per realizzare settimanalmente reportage dai Comuni periferici, con l’obiettivo di accrescere la diffusione del giornale fuori città. «Prendi una cartolina di ogni paese – gli raccomandò einaudianamente – così risparmiamo le foto». Quanto ai suoi pezzi, Ostellino affrontava con lo stesso impegno argomenti di rilievo nazionale, perlopiù legati all’attualità politica, e questioni di interesse locale, distinguendo i fatti dal suo personale commento e firmandosi spesso con lo pseudonimo “Venezia”, in omaggio alla sua città natale.
Fiero oppositore della prima giunta di centrosinistra
Quando ad Asti nel febbraio 1965 si insediò la prima Giunta comunale di centrosinistra, malvista dalla testata, Ostellino affrontò l’argomento in prima pagina con tre diversi articoli: un pezzo d’apertura, in cui dava atto di tutti gli interventi in Consiglio Comunale, un articolo di fondo (col titolo Premesse pericolose) dai toni fortemente critici verso la svolta a sinistra e la temuta apertura al Partito Comunista, infine un’intervista a fondo pagina al sindaco Giraudi, da cui usciva invece un ritratto positivo del primo cittadino e dei suoi intendimenti.
In polemica con don Mignatta per il presepe “populista”del Natale 1964
Qualche mese prima non si era invece salvato dagli strali ostelliniani il giovane parroco di San Secondo, don Pietro Mignatta, che a Natale del 1964 aveva sostituito il tradizionale presepe della Collegiata con una rappresentazione alquanto originale, in cui il Bambinello era inserito in un contesto intellettualizzato, dove comparivano un ammasso di mattoni, una scrivania e grandi pannelli contenenti citazioni contro la ricchezza e le disuguaglianze. A Ostellino, cristiano nel senso crociano del termine ma non praticante, quel presepe un po’ involuto e un po’ sciattone proprio non andò giù; riservò pertanto al suo autore, in seconda pagina, un commento al vetriolo: «Nella chiesa di San Secondo – scrisse – abbiamo visto uno strano presepe, mezzo surrealista e mezzo classista. Grandi pannelli, a fianco della rappresentazione sacra […], asseriscono che il mondo non è stato fatto per i ricchi ma che all’inizio eravamo tutti uguali e a ciascuno di noi il buon Dio aveva dato un pezzo di terra uguale. San Giovanni Crisostomo, il santo scomodato per tanto tipo di propaganda, prosegue ammonendo che «mio e tuo non sono che parole». Ora noi non vogliamo certamente entrare nel merito delle frasi riportate dal buon parroco della chiesa più frequentata di Asti. Ciò che vorremmo invece sottolineare è l’inopportunità, a nostro avviso, di inserire nella rappresentazione sacra del presepe una nota chiaramente politica» E dopo due colonne di serrate critiche alla visione “un po’ populista e un po’ marxista” del parroco, l’affondo finale: «La demagogia, anche se fatta in buona fede, è sempre pericolosa, perché suscitatrice di illusioni inattuabili. Ne tenga conto il parroco di San Secondo. Per convincersene non avrà bisogno di leggere né Adam Smith né Karl Marx. Gli basterà leggere il Vangelo». Don Mignatta non la prese bene; ne nacque una polemica a più voci in cui scese in campo, dalla parte del parroco, anche Astisabato, il giornale della Dc. Un pomeriggio di primavera del ’67 papà invitò il suo capo redattore a casa per un caffè. Non era la prima volta che Ostellino veniva da noi ma quel giorno si avvertiva un’atmosfera diversa. C’erano nell’aria due notizie: una buona e una cattiva.
La cattiva era che Ostellino entro breve avrebbe smesso di lavorare per Il Cittadino; la buona era che stava per trasferirsi a Milano, dove sarebbe stato assunto niente meno che dal Corriere della Sera, il più importante quotidiano nazionale. Per lui era l’inizio di un’altra storia.