Ci si creda o meno, le coincidenze del tempo e le congiunzioni astrali sembrano avere una qualche influenza sulle vicende degli umani. È il caso di Luigi Marchisio, ciclista, unico astigiano capace di vincere un Giro d’Italia, ma protagonista di una stagione agonistica molto breve. La nascita prima di tutto: il 26 aprile 1909, immediata vigilia della prima edizione del Giro d’Italia, quella della rocambolesca partecipazione di un altro grande astigiano, il Diavolorosso Giovanni Gerbi.
Luigi vede la luce a Ranello Mondonio, frazione di Castelnuovo d’Asti, all’epoca provincia di Alessandria, che diventerà, altra coincidenza, “Don Bosco” nel 1930, lo stesso anno in cui il nostro vincerà il Giro d’Italia.
Sulla salita di Castelnuovo le auto arrancavano in prima e lui la faceva in bici con una mano sola
Precoce è la passione per la bicicletta con cui, quindicenne, comincia a distinguersi nelle corse delle feste di paese. «Da ragazzo, qui a Castelnuovo – raccontò in una intervista comparsa nel 1978 sul quotidiano “La Stampa” – riuscivo a fare con una sola mano sul manubrio la salita che dalla piazza bassa porta alla chiesa, un “muro” che ancora oggi le automobili sono costrette a fare in prima. Gli amici scommettevano e io ce la mettevo tutta».
Accortosi delle sue indubbie qualità tecniche e fisiche, un meccanico ciclista di Castelnuovo, tal munsù Casorzo, gli mise a disposizione una vera bicicletta da corsa (e anche qualche piccola somma di denaro), la prima della sua carriera, a patto che a ogni vittoria mettesse in evidenza la buona qualità del mezzo meccanico marchiato per l’appunto Casorzo.
La cosa durò un paio d’anni perché nel 1926 il diciassettenne Luigi era già in sella a una fiammante Prina, prodotta dall’omonima azienda astigiana, e si aggiudicava il campionato italiano della categoria “liberi” segnando l’inizio della sua rapida e folgorante carriera di campione delle due ruote. (Sui costruttori di biciclette astigiani si veda Astigiani numero 15 del marzo 2016)
Due anni e diverse vittorie dopo il titolo italiano “liberi”, siamo nel 1928, il giovane Marchisio conquista il tricolore della categoria “Isolati” o “Indipendenti” (coloro cioè che gareggiavano senza essere accasati in nessuna formazione) al Giro del Sestrière, prova unica per l’assegnazione del titolo.
In quell’anno Luigi si aggiudicò anche il prestigioso Piccolo Giro di Lombardia, riservato ai dilettanti, oggi alle categorie Under 23 ed Elite. Le sue qualità erano ormai evidenti e nel 1929 fu ingaggiato dalla Legnano, marchio di costruttori di biciclette e leggendaria squadra del ciclismo italiano della prima metà del ’900, in cui militarono, tra gli altri, nei decenni successivi anche campioni del calibro di Bartali e Coppi.
Quell’anno, il 1929, passò però senza attività agonistica perché Luigi, chiamato al servizio di leva, le corse, questa volta a piedi, le fece tra gli Alpini nella zona del Sestrière. Curioso che uno con le sue doti non fosse stato arruolato tra i bersaglieri ciclisti.
Arriviamo così al 1930: ancora una volta è tempo di incroci più o meno astrali perché proprio in quell’anno il primo campionissimo della storia del ciclismo italiano, Alfredo Binda, accetta, su invito degli organizzatori, di non correre il giro per “manifesta superiorità tecnica”: ne aveva vinti quattro negli ultimi cinque anni (1925, 1927, 28 e 29) e forte era il rischio di una scarsa partecipazione alla gara a tappe proprio perché si sapeva chi avrebbe vinto già prima di partire.
Binda per restare a casa e tentare la fortuna al Tour de France, che peraltro abbandonò a metà corsa per motivi ancora oggi poco chiari, ricevette un premio in denaro di 22.500 lire, pari ai premi spettanti al vincitore del Giro e di tutte le tappe, e quanto bastava, pare, per comprare una casa a Milano.
La pedalata vincente al Giro cominciò in Sicilia
Il Giro d’Italia del 1930 fu il primo della storia ad attraversare lo stretto di Messina con tre tappe in Sicilia. Partì proprio dall’isola e fu qui che l’astigiano Luigi Marchisio, appena ventunenne, diede il meglio di sé.
Fu un Giro combattuto che Marchisio, già leader alla terza tappa dopo aver vinto la Palermo-Messina, dominò restando in testa alla classifica generale senza interruzioni fino a Milano. Dopo il primo posto di Messina si ripeté nella quarta tappa, la Reggio Calabria-Catanzaro e, forte di un vantaggio di circa 5 minuti sul secondo, riuscì a mantenere un distacco sufficiente (52 secondi) per vincere il Giro su un altro forte piemontese, Luigi Giacobbe, malgrado due forature occorsegli nella tappa Cosenza-Salerno e l’occhio sinistro bendato perché colpito da un lapillo nelle vicinanze dell’Etna.
Al Giro parteciparono quell’anno anche due altri astigiani, i fratelli Battista e Marco Giuntelli che si ritirarono però a metà gara. Marco fece comunque in tempo a conquistare la seconda piazza nella prima tappa della corsa, la Messina-Catania, dietro lo sprinter Mara che in quell’edizione vinse ben cinque tappe.
All’età di 21 anni, 1 mese e 15 giorni, Marchisio diventò il più giovane vincitore del Giro, un primato che gli sarà tolto, pur restando lui il secondo di ogni tempo, da Fausto Coppi che nel 1940 lo vinse a 20 anni e nove mesi.
Le imprese siciliane di Marchisio lo fecero considerare, a buona ragione, la grande promessa del ciclismo italiano, suscitando grandi entusiasmi. In quell’anno di grazia vinse anche la Coppa Val Maira e il Giro della provincia di Reggio Calabria, fu sesto alla Milano-Sanremo e terzo al Giro della Toscana.
Festa memorabile al Cannon d’oro di Cocconato e citazione letteraria postuma
I tifosi lo festeggiarono e fu memorabile l’affollato pranzo d’onore che gli appassionati del Caffè Maggiora di Asti gli offrirono il 12 agosto di quel fatidico 1930, presente anche Marco Giuntelli, al ristorante Cannon d’Oro di Cocconato.
Molti anni dopo Marchisio ha avuto anche una citazione “postuma” nel romanzo di Gaetano Savatteri “La volata di Calò”, edito da Sellerio nel 2008. Vi si narra la storia di Calogero Montante, fondatore, nello sperduto paese di Serradifalco, tra Caltanissetta e Agrigento, di una fortunata fabbrica di biciclette diventate nel tempo popolarissime nelle regioni del Sud Italia e “due ruote” ufficiali dei Reali Carabinieri e della Polizia di Stato. Nato nello stesso anno di Marchisio e appassionatissimo di corse in bicicletta, Calò va, secondo la ricostruzione letteraria, a veder passare il Giro nella tappa da Palermo a Messina ma: «Per Calò è comunque un’amarezza – scrive Savatteri. Avrebbe voluto vedere Binda nelle strade della sua Sicilia. E invece no. Si deve accontentare delle prodezze di Luigi Marchisio, vincitore della terza tappa da Palermo a Messina e maglia rosa di questo diciottesimo Giro d’Italia…». A parte la piccola svista storica del narratore riguardo la maglia rosa che venne adottata solo nel 1931, è da segnalare, a proposito di singolari coincidenze, l’erede della Montante, la Italian Design Event Montante, che ha oggi sede a Castell’Alfero, a non più di quindici chilometri di distanza da Castelnuovo Don Bosco.
Ma è ora di tornare sulle strade del Giro che nel 1931 vide alla partenza anche il campionissimo Binda e un buon numero di forti corridori stranieri. Marchisio, undicesimo alla Milano-Sanremo, corsa poco adatta alle sue caratteristiche di agile “grimpeur” e buon passista, era atteso alla conferma della grande prestazione dell’anno precedente, ma la sfortuna gli impedì di ripetere l’impresa. Rimasto nelle prime posizioni di classifica nelle sei tappe iniziali, mentre Binda era stato costretto al ritiro per una rovinosa caduta, Marchisio balzò al comando al termine della Roma-Perugia vinta da Learco Guerra. Perse la maglia rosa il giorno successivo a opera dello stesso Guerra, ma la riconquistò immediatamente al termine della Montecatini-Genova e con tutta probabilità, date le sue innegabili doti di scalatore, l’avrebbe portata fino a Milano, dovendo superare gli Appennini verso Cuneo e poi procedere speditamente da Torino alla capitale lombarda.
La malasorte volle però che così non fosse. Nei pressi di Priero, poco prima di Ceva, Luigi fu vittima di una foratura. L’ammiraglia della Legnano era ferma sul Cadibona per un guasto meccanico, il suo “gonfleur” risultò fuori uso e così il campione astigiano arrivò a Cuneo con un quarto d’ora di ritardo rispetto a Giacobbe e Camusso. Fu proprio quest’ultimo ad aggiudicarsi la vittoria nel Giro di quell’anno mentre Marchisio fu comunque buon terzo a poco più di sei minuti di distacco dal vincitore. L’anno si concluse con un promettente quarto posto al Giro di Lombardia.
La carriera agonistica di Marchisio continuò senza altri acuti.
Fu ancora al via del Giro nel 1932, anno in cui vinse la prestigiosa corsa internazionale Barcellona-Madrid, la Coppa Arpinati in volata e fu ventiseiesimo al Tour de France nel 1933.
Nel 1934 una caduta interruppe la sua carriera in sella
Nel 1934 era ancora comunque in sella, ma un grave incidente ne stroncò definitivamente la carriera. Mentre era in fuga sotto la pioggia con altri quattro concorrenti al Giro di Campania, un bambino gli attraversò la strada. Per evitarlo perse l’equilibrio e cadde battendo la testa contro un albero. La sentenza dei medici fu drastica: basta con le corse e con questi rischi.
Non ancora ventisettenne, Marchisio lasciò così l’attività agonistica e si trasferì a Torino dove aprì un negozio di biciclette e di articoli sportivi in corso Einaudi che lascerà soltanto nel 1971, anno in cui tornò definitivamente nella sua Castelnuovo.
La passione per la bicicletta era comunque rimasta intatta malgrado il passare degli anni e non era raro vederlo pedalare, questa volta per puro diletto, nei dintorni della città o magari sulla salita di Superga. Abitudine che conservò anche in terra natale con frequenti puntate da Mondonio, dove si era stabilito con la moglie Maria, al Colle Don Bosco.
Farà ancora in tempo, prima della morte avvenuta a 83 anni il 3 luglio del 1992, a essere nel 1988 l’ospite d’onore dell’arrivo al Colle Don Bosco di una tappa del Giro passata alla storia per la neutralizzazione dovuta a una manifestazione organizzata dagli abitanti della Valle Bormida contro l’Acna.
La gara fu fermata prima di Castelnuovo e tutti i concorrenti classificati a pari merito. Castelnuovo don Bosco lo ha ricordato negli anni dedicandogli varie competizioni ciclistiche e intitolandogli la palestra comunale.