L’astigiano sotto le bombe 224 allarmi aerei, 77 vittime, 168 feriti, danni notevolissimi
Chi c’era non se lo dimentica. La guerra fu anche questo: bombardamenti e paura, ansie e danni causati dai mitragliamenti. L’Astigiano non fu un’isola felice. Subì gli attacchi dei bombardieri e contò le sue vittime tra la popolazione civile.
La città arrivò impreparata allo scoppio delle ostilità: basti pensare che l’ultimo rifugio progettato doveva ancora essere costruito nell’aprile del 1945 a guerra ormai finita.
C’è poi la leggenda di Pippo, il ricognitore solitario inglese, rimasto nella memoria collettiva di allora a testimoniare come la guerra psicologica fosse tra le carte usate dai comandi per snervare la popolazione. Una pagina di storia tutta da rileggere e arricchire con nuove testimonianze.
Il primo allarme ad Asti risuonò il 15 giugno 1940
Tre giorni dopo l’attacco aereo a Torino che aveva causato 15 vittime
È la notte tra l’11 e il 12 giugno 1940. A poche ore dalla dichiarazione di guerra di Mussolini alla Francia e all’Inghilterra, Torino subisce un primo attacco aereo inglese. Voleva essere un’azione poco più che dimostrativa contro obiettivi militari. Una trentina di bombe esplodono colpendo anche edifici popolari e un mercato coperto. I morti risulteranno 15 e 38 i feriti.
I primi di un lungo tragico elenco.
Da quella notte e per cinque anni, quasi ogni città italiana dovrà subire i bombardamenti, degli alleati prima e dopo l’8 settembre ’43, anche quelli tedeschi. Anche Asti e l’Astigiano ebbero vittime e danni causati dalle bombe.
Ad Asti il primo allarme aereo è del 15 giugno 1940. Nessuna vittima, ma l’incantesimo è rotto, la paura accompagnerà la popolazione per cinque anni. Il 14 agosto vengono sganciate 25 bombe (14 delle quali restano inesplose) tra Castiglione e Castello d’Annone e 3 nei dintorni di Villanova con l’obiettivo di colpire la ferrovia Torino-Genova.
Il capoluogo piemontese è martoriato.
«Eravamo sfollati in campagna e i grandi ci dicevano: “Se stati bravi, stasera per premio vi portiamo sulla collina a veder bombardare Torino”». Ricorda con triste ironia il tempo di guerra, l’allora bambino Bruno Gambarotta.
Complessivamente, in provincia di Asti, il 1940 si conclude con 29 allarmi, il 1941 con 7 (soprattutto sorvoli, lancio di manifesti di propaganda, razzi incendiari), nel 1942 sono 39 (concentrati a novembre) e il 1943 con 31 (soprattutto tra luglio e agosto).
Il 16 luglio di quell’anno, a nove giorni dalla caduta del Fascismo, un bombardamento causa nel capoluogo cinque feriti e molta paura.
Nel 1944 si registrano 92 tra sorvoli e allarmi, con il pesante bombardamento della zona della stazione ferroviaria del 17 luglio, quando vengono sganciate oltre 200 bombe, che cadono soprattutto intorno al ponte sul Tanaro, causando 24 vittime, 32 feriti, 10 case completamente distrutte, una cinquantina di senzatetto.
Le bombe colpiscono anche gli spettatori di un circo a Monastero Bormida
Un altro inspiegabile bombardamento colpisce Monastero Bormida il 18 agosto: le 6 vittime stavano assistendo ad uno spettacolo circense in piazza del Pallone. Tra esse Carlo e Luigi Dabormida di 11 e 13 anni. Anche a Neive, ai confini dell’Astigiano, cacciabombardieri Labrador di ritorno da una incursione su Torino sganciano le bombe rimaste nella stiva sulla piccola stazione e causano una decina di vittime, tra le quali la mamma di Lidia e Romano Levi. I due ragazzi si ritrovarono soli e costretti a mandare avanti la piccola distilleria che nel Dopoguerra diventerà famosa.
L’incursione più grave nel febbraio del 1945. Devastato il quartiere dei ferrovieri, 23 morti
In seguito a questa ondata di bombardamenti, con decreto ministeriale del 3 agosto 1944, vengono estesi anche ad Asti i benefici della legge a favore dei centri urbani colpiti sistematicamente dai bombardamenti. Ci rientrerà anche Villafranca (che il 23 dello stesso mese subisce un bombardamento che uccide 4 persone, ferendone altre 27).
La Cassa di Risparmio di Asti delibera lo stanziamento di un fondo di centomila lire, per erogazioni a favore dei sinistrati nonché l’assegnazione di ventimila lire alla Sezione provinciale di Asti dei Caduti, invalidi e mutilati civili.
Nella notte del 27 agosto sono colpiti da incursioni i paesi di Portacomaro e Viarigi.
Il 15 dicembre una sessantina di bombe distruggono del tutto il ponte ferroviario stradale sul Tanaro.
Nel 1945 gli allarmi antiaerei saranno 26, soprattutto a gennaio: il 29 a Sessant, a causa di un mitragliamento, ci sono 7 vittime, tra le quali l’ingegnere Oreste Caldera di Torino, podestà di Montafia.
Nella notte di domenica 25 febbraio il bombardamento più tragico fa 23 vittime e 12 feriti, con 150 persone senza tetto. Particolarmente colpiti gli abitanti della parrocchia di San Paolo, residenti in via Guttuari, nel recinto Case dei Ferrovieri e altri in via Brofferio.
L’obiettivo era la vicina ferrovia, importante via di comunicazione tra Torino e Genova; vennero invece colpite molte abitazioni civili, tra cui anche la casa all’angolo tra vicolo Bosia e via Guttuari, conosciuta come casa Stella.
Mercoledì 28 febbraio si svolgono i funerali delle vittime nella chiesa parrocchiale di San Paolo, officiati dal vescovo di Asti, mons. Umberto Rossi. Questo l’elenco secondo i documenti ufficiali: Secondo Bona, Ida Bref in Bona, Renato Bona, Lucia Bona, Maria Luisa Rocchi, Carlo Oddone, Enrica Perosino in Oddone, Giuseppe Oddone, Margherita Oddone, Angelo Stella, Pier Angelo Stella, Riccardo Montrucchio, Liliana Ferrero in Montrucchio, Giuseppe Corti, Angelo Osano, Irma Cerreto, Francesco Rossi, Ernesto Bessio, Giuseppina Bessio, Luigia Carbone ved. Dezzani, Giulio Montecutelli, Irma Peradotti in Montecutelli.
Per tutta la durata della guerra, nell’Astigiano, si registrarono 224 allarmi, di cui 130 sul capoluogo.
Al termine del conflitto si tenta un bilancio e risulta che i morti causati dai bombardamenti e dai mitragliamenti aerei saranno 77, i feriti 168. Oltre alle 54 vittime ed ai 105 feriti nel capoluogo, si conteranno morti anche a Villafranca, Valterza, Castello d’Annone, San Damiano, Sessant, Palucco, Casabianca, Case Bruciate.
La cronaca della rinascita in via Guttuari
Il 15 settembre 1945, a guerra finita, il Cittadino pubblicò un articolo per ricordare il bombardamento più duro subito da Asti. —A otto mesi di distanza, il settimanale liberale torna sul luogo della “strage degli innocenti”, come l’aveva definita l’Asti Repubblicana del 3 marzo del 1945. Gli orrori della guerra sono finiti, e «l’ansia di recupero spinge febbrilmente verso il domani, senza lasciare il tempo di riesumare i ricordi» scrive il cronista. La strada non è più ingombra di cumuli di macerie, ed è stata riaperta al transito. Ma dove prima c’era un edificio, ora c’è un cortile circondato da un muretto fatto di materiali di recupero.
«Asti comunque – per nostra fortuna – non offre troppo di frequente a chi circoli per le nostre strade, tanto amare visioni. Questa di via Guttuari si può dire la sola. Altre città, molto più della nostra, rivelano la desolazione di tante doloranti ferite. Restano a testimoniare nel tempo, l’esecrazione sorda delle stesse cose senza vita all’infausto regime di tirannide che, per quasi cinque lustri, ha straziato l’Italia» (Il Cittadino, 15 settembre 1945).
I segni dei bombardamenti man mano spariscono, si ricostruisce il ponte sul Tanaro, smantellate le sirene, i rifugi tornano ad essere cantine e magazzini. Testimoni di una lunga stagione di ansia, dolore e paura.
Quei rifugi antiaerei sotto le mura dei Varroni e nella cantine della birreria Metzger
Di Ste. M.
Oggi pochi li conoscono, ma chi ha memorie del tempo di guerra li ricorda bene. I rifugi antiaerei offrono squarci di storia e il fascino di luoghi che testimoniano il passato.
Ad Asti è stato restaurato il rifugio costruito sotto Palazzo Ottolenghi, destinato al personale della Prefettura. La sua visita è ora collegata al percorso del Museo del Risorgimento, inaugurato il 23 marzo 2012.
Venne costruito nella cantina dello storico edificio di corso Alfieri, che era sede della Regia Prefettura. Al rifugio si accede attraverso una ripida scalinata che conduce a circa sei metri di profondità.
I lavori furono realizzati dall’impresa edile Gabriele Masino, specializzata in costruzioni in cemento armato (nel 1941 aveva costruito l’attuale Camera di Commercio in piazza Medici), durarono circa 40 giorni (tra luglio e novembre del 1943) e ammontarono a un costo di 216.500 lire.
Costruito con una struttura in cemento armato di circa due metri di spessore per i solai e un metro per tutte le pareti, composto da due locali adiacenti per una capienza complessiva di circa 50 persone, il ricovero era anche dotato di un piccolo servizio igienico cui si accedeva da una scala in muratura e che è stato restaurato nel suo originario allestimento.
Le porte antisoffio, che fortunatamente non furono smantellate durante le operazioni di dismissione dei rifugi antiaerei (avvenute a partire dal 1946 su incarico delle Prefetture), sono state restaurate anche nei complessi meccanismi di apertura.
Nel febbraio 1944 i ricoveri pubblici risultano 21 di cui 2 in galleria: quello sotto le mura dei Varroni (lungo 200 metri, può ospitare 1800 persone), che serve essenzialmente per la parte ovest della città (zona piazza Torino). L’ingresso del rifugio era su corso Alfieri. L’altro grande rifugio era sotto la collina tra il Fortino e corso Volta, via Arò, nell’ex cantina della birreria Fratelli Metzger capace di 300 persone. Fu poi trasformato in sede di una fabbrica di motocoltivatori e l’ingresso da strada Fortino divenne in seguito un pub. I muri perimetrali sono ancora visibili accanto all’edificio ora abbattuto che ospitò la Macobì. La collina fu cementificata negli Anni Settanta dal complesso del Belvedere. L’11 giugno 1940 viene ordinata dal Podestà la costruzione di 7 «ricoveri in trincea» e 11 «ricoveri collettivi in locali cantinati». In realtà non tutti verranno realizzati: entreranno in “funzione” i rifugi di piazza Porta Torino, quello di Palazzo Ottolenghi, quello della Casa Littoria, uno in via Arò, in strada Fortino (presso l’ex stabilimento della birreria Metzger), quello del palazzo dell’Ina di piazza San Secondo, uno presso i portici Anfossi, un altro nella Cripta della chiesa di San Secondo, uno in via Antica Zecca, uno nelle cantine di Palazzo Alfieri, uno in via XX Settembre al numero civico 26, uno in via Natta e un altro presso il Palazzo Gazzelli di Rossana di via Sella.
Al personale del Municipio di Asti è destinata la cripta di San Secondo (Collegiata). Le chiese sono quasi sempre state risparmiate dai bombardamenti. Nel 1941 vengono sistemati cassoni antischegge pieni di sabbia tra i pilastri dei portici ottocenteschi di piazza Alfieri, dove, in caso di allarme, «la popolazione dovrà rifugiarsi ordinatamente, con passo affrettato, ma senza correre e gridare».
Si scavarono anche “trincee” e buche che potevano riparare dallo spostamento d’aria e dalle schegge. Trincee erano scavate anche fuori città, sulle più importanti vie di comunicazione. Questo perché i tedeschi, per proteggere i propri mezzi dal pericolo dei frequenti mitragliamenti aerei, avevano imposto precise disposizioni ai proprietari dei terreni: scavare buche ogni 100 metri, alternativamente a destra e a sinistra della strada a una distanza che andava dai 30 ai 50 metri. Ancora l’Asti Repubblicana ordina «di non rimanere agli ingressi dei ricoveri per assistere allo svolgimento dell’attività nemica». Solo alla fine del 1942, dopo i grandi bombardamenti di Torino, si progettano rifugi pubblici ritenuti più sicuri: cantine di case medioevali che vengono rinforzati più solidamente e provvisti di qualche uscita di sicurezza. Nel luglio del 1944 verrà deciso di costruire un terzo ricovero in galleria, in piazza Dante, che doveva ospitare tremila persone: ma nel febbraio 1945 i lavori devono ancora cominciare e la ditta incaricata di realizzarlo ottenne il via all’apertura del cantiere nell’aprile del ’45, a pochi giorni dalla fine della guerra. Non se ne fece più nulla. Era venuto il tempo di ricostruire.
L’Italia entrò nel conflitto impreparata a proteggere il proprio territorio da attacchi aerei e aereonavali.
Quattro mesi prima della dichiarazione di guerra del giugno 1940, la Commissione Suprema di Difesa si era riunita per fare il punto sulle condizioni della contraerea italiana, ne faceva parte anche il Maresciallo Badoglio. Il generale Bergia, nella sua relazione, aveva riportato un lungo elenco di carenze e ritardi. Il Duce aveva sollecitato la costruzione di rifugi antiaerei, ma in realtà tutti erano convinti che sarebbe stata una guerra breve e vittoriosa, bastava seguire le orme dell’alleato tedesco.
La popolazione non era cosciente di quanto stava per accadere e viveva tra inconsapevole indifferenza e certezza propagandistica dell’inviolabilità del cielo italiano.
Il bilancio sarà dolorosissimo: città come Foggia ebbero 17 mila vittime civili su 70 mila abitanti. A Gorla, nei pressi di Milano, fu colpita per errore una scuola, tra le vittime anche 184 bambini. Già allora furono definiti “effetti collaterali” dal comandante del gruppo aereo americano responsabile della missione. A Genova la ressa e l’eccessiva lunghezza della stretta scala che conduceva a un rifugio causarono la morte di 354 persone per schiacciamento. La stessa Roma, che si credeva immune dagli attacchi aerei vista la presenza del Vaticano e gli appelli del Papa, subì un pesante bombardamento il 19 luglio 1943. Le vittime furono migliaia.
Le città industriali del Nord, soprattutto Torino, Milano e Genova, furono devastate. Crebbe il fenomeno degli sfollati. Chi può lascia le città e anche Asti e i paesi vedono crescere la popolazione precaria: si crea una forma di pendolarismo di chi lavora di giorno nelle grandi città e di notte si rifugia con la famiglia nei paesi o nelle zone ritenute lontane dagli obiettivi dei caccia-bombardieri.
La condizione astigiana non era diversa da quella del resto d’Italia. Lo documenta, tra gli altri, il rapporto dell’Unione Industriale di Asti, presieduta da Mario Cora, succeduto al primo presidente Lamberto Vallarino Gancia, stilato su richiesta della Confederazione degli Industriali di Roma del 7 settembre ’43 (giorno prima dell’armistizio). La relazione evidenzia i problemi più gravi delle aziende locali. In primis, come a Torino, la produttività in calo causata non solo dai bombardamenti, ma anche dall’occupazione tedesca iniziata dopo l’armistizio. Nei giorni 9, 10 e 11 settembre tutti gli stabilimenti astigiani sono rimasti inattivi. L’impossibilità di approvvigionamento delle mense aziendali e la mancanza di carburante per i trasporti sono ulteriori fattori di criticità. Le aziende astigiane lamentano il mancato pagamento dei crediti e l’esaurimento dei fondi cui le ditte hanno finora attinto per il pagamento dei salari.
La protesta degli operai della Way Assauto
Lo scontento e l’insofferenza operaia sfoceranno, nel gennaio e poi nel marzo 1943, nelle manifestazioni degli operai della Way Assauto e di altre fabbriche, sostenuti dalla struttura clandestina del Pci, presente in tutte le maggiori aziende cittadine, davanti alla sede dei sindacati fascisti per richiedere aumenti salariali. Ma come viveva la popolazione astigiana sotto le bombe? Come teorizzato dai vertici della RAF (Royal Air Force) uno degli obiettivi dei bombardamenti è minare il morale della popolazione. L’effetto psicologico è devastante: il riposo notturno spezzato dall’urlo delle sirene, il timore delle incursioni e il perenne stato di allerta, debilitano il fisico e il morale. Al suono delle sirene la produzione nelle fabbriche si ferma. Anche i ricognitori creano il terrore. La consapevolezza di poter essere bombardati o mitragliati da un momento all’altro costringe a cambiare abitudini di vita e a seguire una serie di accorgimenti, come oscurare i vetri delle abitazioni, dormire vestiti, tenere sempre una borsa piena dell’essenziale accanto alla porta. Come per il resto del territorio italiano, anche Asti sottovaluta il pericolo iniziando tardi a costruire rifugi antiaerei pubblici, che mai sarebbero stati in grado di ospitare tutta la popolazione cittadina.
La stampa locale dell’epoca, l’Asti Repubblicana (ex Cittadino), organo del regime, riporta i richiami alla popolazione sull’oscuramento delle finestre. Vengono pubblicate norme di comportamento in caso di allarme antiaereo: se si è sorpresi all’esterno e cadono le bombe buttarsi a terra, trovare un riparo coperto, un androne.
Si impara a distinguere il “linguaggio” delle sirene
Le sirene d’allarme erano posizionate sulle torri cittadine: Torre Rossa, Torre Troyana, zona del Castello e torre della Casa Littoria, nei pressi della piazza dell’Impero (l’attuale piazza Campo del Palio, ex Emanuele Filiberto). L’Asti Repubblicana del primo febbraio 1945 pubblica: «In seguito a disposizioni del Comando Tedesco di Torino la diramazione dei segnali d’allarme verrà modificata dalle ore 0 del giorno 1° febbraio 1945 nel seguente modo: LIMITATO PERICOLO: 3 emissioni della durata di 13’’ intervallati da 10’’. ALLARME: 10 emissioni della durata di 3’’ intervallati da 3’’. PRE-CESSATO: 3 emissioni della durata di 13’’ intervallati dal 10’’. CESSATO: una emissione della durata di 60’’». Il capo della Provincia predispone l’apertura delle farmacie a partire dal cessato allarme e per un’ora.
Nel 1936 era stata istituita la figura del “Capo-fabbricato”, col compito, durante il periodo bellico, «di vigilare affinché ogni condominio rispetti le norme di difesa antiaerea e che tutti in caso di allarme si avviino con disciplina verso al rifugio con il minimo indispensabile: abiti pesanti, cibo in scatola, torce elettriche e medicinali». Il capo-fabbricato verrà spesso odiato cordialmente: come talvolta accade i “capetti”, investiti di un benché minimo potere, approfittano della loro posizione per trarne vantaggi, infliggere piccole prepotenze e soprusi; sono sospettati di essere informatori della questura o dei tedeschi, con fama di eterni “imboscati” e raccomandati del partito fascista.
Rifugi pubblici veri e propri furono realizzati in ritardo a partire dal 1943, ma nel 1941 un’ordinanza prefettizia aveva imposto ai proprietari di immobili l’allestimento di rifugi da ricavarsi nelle cantine. In realtà il tutto si era ridotto al rinforzo delle volte delle cantine con supporti in legno.
Dopo l’8 settembre ’43 gli occupanti tedeschi impongono ovunque le leggi di guerra ai civili. Asti Repubblicana il 15 gennaio 1944 comunica l’istituzione del coprifuoco da parte del comando germanico, in buona parte della Provincia, a causa di «rapine, saccheggi e colpi di mano contro mezzi di trasporto pubblici ed istituzioni dello Stato» da parte di «elementi irresponsabili sotto la maschera di patrioti». Il coprifuoco è fissato dalle 22,30 alle 6 del mattino, ma venne anche anticipato alle 18.
Dopo l’8 settembre ’43 si impone il coprifuoco
Durante il coprifuoco è vietato qualsiasi traffico di pedoni, veicoli e automezzi, prevedendo la fucilazione immediata per tutti coloro che saranno trovati in possesso di armi. Si crea il “mercato” dei permessi di circolazione rilasciati a chi deve o può svolgere attività notturne: panettieri, medici, ostetriche ecc.
Pippo ha lasciato il segno nella memoria, non solo degli astigiani, ma di buona parte dei cittadini italiani, anche se conosciuto altrove con altri nomignoli. Ad ogni allarme aereo bisognava raccogliere le poche cose e scappare nelle cantine: giorno o notte che fosse, lasciando le case vuote, con il timore di trovarle al proprio ritorno visitate dagli sciacalli.
E i bambini? Anche loro andavano svegliati, tirati giù dal letto, vestiti in fretta e portati al rifugio. Uno stillicidio snervante. Gli anglo-americani puntavano a minare il morale della popolazione e per far questo non era necessario sprecare bombe, ed è forse proprio per questo scopo che entra in scena “Pippo”: un aviatore ritenuto solitario che non si sa quando, perché e da chi, venne così soprannominato. Arrivava quasi sempre di notte, spezzando il sonno e innescando paure; spesso sorvolava solamente, talvolta lanciava volantini o colpiva e spariva, così come era arrivato.
“Pippo” per alcuni annunciava i bombardieri e per altri riforniva di viveri le brigate partigiane, taluni lo ritenevano sostanzialmente inoffensivo, addirittura una presenza rassicurante. Insomma, ognuno attribuiva a Pippo i compiti più svariati e addirittura “personalità” diverse. Ovunque gli si assegnava un nomignolo, utile per esorcizzare la paura.
Era comunque una presenza costante, divenne parte della quotidianità della gente e lasciò un segno profondo e inquietante nell’immaginario degli italiani.
Classe 1973. Ha frequentato il Collegio salesiano «San Carlo» a Borgo San Martino, diplomandosi geometra nel ‘92. Si occupa di contabilità tecnica-amministrativa dei lavori pubblici. Appassionato cultore di storia locale. Sui articoli anche su “L’Osservatore Romano”. Giornalista pubblicista, ha pubblicato: «Mons. Umberto Rossi, la storia di un Santo Vescovo» (2005), «Guida al Percorso storico al Cimitero urbano di Asti» (2007), «110 anni con la Gazzetta d’Asti, la storia in prima pagina» (2007), «Lettere di fuoco e di... Fede» (2008) e «L’Impresa Masino e le moderne costruzioni ad Asti».
Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.
Conosciuto come il Rabbi di Asti, Paolo De Benedetti è stato poeta, editore, biblista, docente, traduttore e teologo tra i protagonisti del dialogo ebraico-cristiano.
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