Furono 556 gli eletti alla “Costituente”.
Approvarono un testo scritto per essere letto e capito da tutti
Il 2 giugno “Festa della Repubblica” è ricordato perché nel 1946 si svolsero le prime libere elezioni dal 1924, dopo la guerra e il Ventennio fascista. Avevano diritto di voto tutti gli italiani maggiorenni (allora la soglia della maggiore età era a 21 anni), maschi e per la prima volta anche le donne. Agli elettori vennero consegnate due schede: la prima per la scelta fra Monarchia e Repubblica (indicata come il “Referendum istituzionale”) la seconda per l’elezione dei deputati dell’Assemblea Costituente.
Al referendum istituzionale la maggioranza dei votanti scelse la forma di governo repubblicana con 12,7 milioni di voti, contro 10,7 per la monarchia. Asti e la sua provincia si espressero con una maggioranza di soli 1600 voti per i Savoia, anche se in Asti città e nei maggiori centri come Nizza e Canelli prevalsero i consensi per la Repubblica (si veda Astigiani n. 1, settembre 2012, pag. 27). Il meccanismo elettorale dell’Assemblea Costituente era proporzionale a liste concorrenti in 32 collegi elettorali. Risultarono eletti 556 costituenti (tra cui 21 donne, solo il 3,7% del totale, e tuttavia estremamente attive, come ci riportano i resoconti dei lavori in Assemblea).
I tre maggiori raggruppamenti risultarono: la Democrazia Cristiana con 207 seggi, il Partito socialista italiano di unità proletaria con 115 e il Partito comunista con 104.
L’Assemblea Costituente si insediò e votò il socialista Giuseppe Saragat alla presidenza, il 25 giugno 1946 e come primo atto, il 28 giugno elesse come Capo provvisorio dello Stato il giurista napoletano Enrico de Nicola. L’Assemblea ebbe il compito di redigere la Carta costituzionale della neonata Repubblica.
Votò anche la fiducia ai governi e ratificò trattati internazionali.
Dopo circa un anno e mezzo di dibattito e studi, l’Assemblea approvò il testo definitivo il 22 dicembre 1947 con il 90% dei voti favorevoli. Il primo gennaio 1948 la Costituzione italiana entrò in vigore. La Costituzione è il documento fondamentale di uno Stato. Fu una commissione ristretta (la cosiddetta “commissione dei Settantacinque”) a elaborare il progetto di Costituzione. Il testo che ne scaturì si caratterizza per essere un documento di carattere “rigido” (per la sua modificazione occorre una procedura più complessa di quella richiesta per le leggi ordinarie), programmatico e compromissorio: alla sua redazione infatti contribuirono forze politiche assai diverse tra loro, dai liberali ai comunisti, dai cattolici ai socialisti ai rappresentanti del Partito d’Azione. La prima seduta dell’Assemblea costituente fu convocata il 25 giugno 1946; i lavori si conclusero il 31 gennaio 1948. Si tennero 375 sedute di cui 170 furono dedicate alla discussione e approvazione dei 139 articoli della carta fondamentale. La nostra Costituzione è scritta con un linguaggio chiaro e comprensibile (che con il tempo, invece, si è perduto nella tecnica di redazione dei nostri testi normativi), per essere letta e capita da tutti.
Umberto Calosso
La voce di Radio Londra
di Francesca Musso
Ecco i ritratti dei sei astigiani eletti all’Assemblea Costituente con il contributo che diedero al dibattito e alle scelte di quegli anni.
Nasce a Belveglio nel 1895 da Giuseppina Damasio, la maestra elementare del paese, e da Giuseppe Calosso, ufficiale dell’Esercito. Frequenta l’Università a Torino e si laurea in Lettere nel 1920, dopo essersi arruolato come volontario nella Prima Guerra Mondiale. A Torino si iscrive al Partito socialista collaborando al settimanale L’Ordine Nuovo fondato da Gramsci.
Nel 1924 pubblica il saggio L’anarchia di Vittorio Alfieri.
Insegna italiano a Messina e Alessandria, ma nel 1928, a causa del suo antifascismo viene estromesso dall’insegnamento.
Nel 1931 lascia l’Italia con la moglie Clelia Lajolo. Si stabilisce prima in Francia poi a Londra e a Malta dove insegna letteratura italiana. Nell’ambiente dei fuoriusciti antifascisti conosce a Parigi Carlo Rosselli e si lega al gruppo di Giustizia e Libertà. Nel 1936 è in Spagna e combatte con le brigate internazionali repubblicane contro le truppe di Franco e i fascisti.
Con la vittoria del franchismo torna a Malta e poi a Londra. Quando scoppia la Seconda Guerra Mondiale con altri antifascisti, come Ruggero Orlando, collabora alle trasmissioni di Radio Londra in lingua italiana. La sua voce diventa popolare.
Torna in Italia come collaboratore del quotidiano l’Avanti! di cui diviene direttore dell’edizione torinese, subito dopo la Liberazione. Firma una caustica rubrica con lo pseudonimo “Subalpino”.
Gli interventi in aula e nelle commissioni in due anni di intensi lavori parlamentari
Il 2 giugno 1946 risulta il primo eletto nel collegio Torino- Novara-Vercelli nelle liste del Partito socialista italiano di unità proletaria con 43.898 voti. Durante i lavori dell’Assemblea Costituente interviene contro l’immunità penale del Capo dello stato e sulla necessità di una magistratura elettiva.
Molto attento anche ai temi della famiglia e della scuola.
Così si pronuncia in aula sulla concezione domestica e della donna: «Il fascismo ha ridotto la famiglia a conigliera, ha messo la donna in cucina, ha cercato di dare dei poteri a noi uomini che sostiamo dopo il pranzo con lo stuzzicadenti in bocca e che fascisticamente seguiamo per le strade le donne […]
Vi è chi dice che la donna sia meno coraggiosa perché non ama fare la guerra.
Questo è un atto di intelligenza e non di poco coraggio».
Nella medesima seduta Calosso sulla scuola argomenta: «Io sono stato a lungo insegnante, osservo che il corpo insegnante italiano che deve provvedere all’educazione dei ragazzi non esce da una scuola apposita di educazione […] I tecnici dell’educazione devono portare i ragazzi alla conquista del proprio carattere, di una propria autonomia personale. Ora, gli insegnanti neanche studiano materie del genere come la pedagogia».
Temi che riprende anche in seguito quando è rieletto deputato nel 1948, dopo aver aderito alla scissione socialdemocratica di Saragat. Si batte per la riforma della scuola secondaria dell’obbligo, pubblica e aperta a tutti. Diventa direttore del quotidiano del Psdi L’Umanità. Docente di letteratura italiana a Magistero a Roma viene fatto oggetto di intimidazioni da parte di gruppi di neofascisti che nel gennaio 1952 lo aggrediscono. Nel 1953, ormai malato, rientra nel Psi. Fu curatore anche di trasmissioni radio della Rai Rosso di sera e Il convegno dei cinque. Si è spento a Roma nel 1959.
Enzo Giacchero. Il prefetto europeista
Nasce a Torino nel 1912. Frequenta il liceo classico d’Azeglio e ha tra i professori Augusto Monti. In quegli anni frequentano quella scuola torinese anche Giulio Einaudi, Vittorio Foa, Massimo Mila, Cesare Pavese.
Allo scoppio della guerra nel 1940 Giacchero, che si è laureato in ingegneria, entra nella Folgore, partecipa alla campagna d’Africa come ufficiale e nel 1942 rimane ferito gravemente. Gli viene amputata una gamba ed è decorato con medaglia d’argento al valor militare.
Dopo l’8 settembre 1943 entra nelle file delle Resistenza tra i partigiani autonomi della divisione “Asti” di ispirazione monarchica, con il nome di Yanez. Il 25 aprile 1945 è nominato prefetto di Asti dal Comitato di Liberazione Nazionale. Mantiene tale carica sino al marzo 1946, quando i prefetti politici vengono sostituiti da prefetti di carriera. Il 2 giugno 1946 viene eletto come deputato nell’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana con 21.687 voti.
Propugnatore dell’ideale europeista, nel ’47 costituisce il Comitato parlamentare italiano per l’Unione europea.
All’Assemblea Costituente si fa portavoce di un’interpellanza parlamentare con la quale esorta il governo a dare attuazione ai voti formulati dalla conferenza parlamentare europea di Gstaad, che getta le basi per la costituzione di un’Europa federale. Chiede inoltre che sia costituzionalmente previsto il divieto per ufficiali e sottoufficiali delle Forze Armate di iscriversi a partiti politici e si dichiara contrario all’articolo 139 che prevede l’intangibilità della forma repubblicana.
Nel 1948 viene rieletto deputato per la Dc e per sei anni rappresenta l’Italia presso la Ceca, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio.
Negli anni successivi contrasta all’interno della Dc la nascita del centrosinistra e si riavvicina alla destra e alle posizioni monarchiche tanto che nel 1975 entra nella Costituente di destra per la libertà ispirata dal Msi e nel gennaio 1977 aderisce a Democrazia Nazionale. Muore nel 2000.
Umberto Grilli, critica i Patti Lateranensi ed è per la possibilità di divorzio
Nato a Volterra nel 1882, durante gli studi universitari in giurisprudenza a Pisa si avvicina al movimento socialista di Turati. Dopo aver combattuto la Grande guerra, nel 1919 viene eletto deputato per il collegio di Siena-Arezzo-Grosseto. Dopo la mancata rielezione nel 1921 torna a dedicarsi all’attività professionale di avvocato, difendendo negli anni a venire socialisti e comunisti alle Corti d’Assise delle province toscane.
Durante il Ventennio è soggetto a epurazione.
Diventa consigliere comunale di Asti nella primavera del ’46, alle elezioni per la Costituente risulta eletto deputato per i socialisti. Anche grazie alla sua preparazione professionale, interviene autorevolmente sul testo costituzionale in sede di dibattito. Componente di quattro commissioni per l’esame di vari disegni di legge sulle normative elettorali, propone un’interrogazione ai ministeri della Difesa e del Tesoro sulle pensioni per i reduci di guerra, disoccupati ed ex prigionieri. Alla seduta del 25 marzo ’47, dopo l’elezione a capogruppo del Psi alla Camera, sostiene la necessità di votare contro l’articolo 7 che inseriva i Patti Lateranensi nella legge fondamentale, argomentando come segue: «i Patti non hanno carattere di legge costituzionale. La carta costituzionale regola i rapporti interni allo Stato e non fra Stato e Stato. Vi sono anche motivi di ordine politico: la laicità dello Stato prima del fascismo costituiva una conquista definitiva del progresso civile del popolo italiano». Il mese seguente interviene in merito all’articolo 29 al fine di evitare si precludesse definitivamente alla nostra legislazione la via del divorzio, proponendo inizialmente un emendamento che escludesse l’indissolubilità del matrimonio dalla bozza dell’articolo e poi chiedendo che la questione fosse messa ai voti con scrutinio segreto. Tesi che passò e consentì, decenni dopo, la legge Fortuna sul divorzio e la sua validità al referendum abrogativo popolare del 1974. Membro della commissione per la legge elettorale, propone la modifica dell’articolo 11 relativo all’ineleggibilità di coloro che hanno rapporti d’affari con lo Stato e propone l’abolizione del collegio unico nazionale. Benché impegnato sul fronte costituzionale, non tralascia di occuparsi delle necessità di Asti e della natia Volterra. Nel giugno del ’49 viene nominato dal Prefetto di Asti presidente della Deputazione provinciale, riaprendo la strada alla rinascita della Provincia. Accetta nuovamente l’incarico in vista delle amministrative del ’51, ma già tormentato da enfisema polmonare muore poco dopo le elezioni.
Felice Platone, il sindaco comunista a difesa delle autonomie locali
Nato nel 1896, partecipa a entrambi i conflitti bellici.
è avvocato, entra nelle file della Resistenza dopo l’8 settembre 1943, aderisce al Partito comunista italiano.
è tra i promotori della giunta popolare che regge il governo partigiano di una vasta zona libera del Nicese, operando anche nelle formazioni partigiane garibaldine col nome di battaglia di “Gamba”. Subito dopo la liberazione il Cln lo designa a sindaco della città, carica che si vede riconfermata anche dopo le prime elezioni amministrative del marzo 1946, quando Platone diventa sindaco a capo di una giunta social-comunista.
è candidato della circoscrizione Piemonte II alle elezioni di giugno ’46 per la Costituente e risulta eletto con 11.262 voti di preferenza. Nel febbraio ’47 prende la parola per replicare al sottosegretario alle finanze Giuseppe Pella con la sua interpellanza relativa alle modalità di esenzione dai tributi volontari ad enti di natura privata, collegandosi a un episodio segnalato ad Asti, dove la Coldiretti aveva incassato cartelle fiscali dagli iscritti senza l’autorizzazione dell’Intendenza di finanza.
Nel medesimo anno interviene con animo nella discussione di un testo di legge sulle modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale del ’34 sostenendo che i rapporti tra Comuni e prefetti, già fonti di continue tensioni locali, necessitino di un’urgente nuova definizione. Interviene nel dibattito sugli articoli della Costituzione riguardo all’ordinamento della magistratura e a proposito del gratuito patrocinio per i non abbienti, propone una definizione più consona dell’impegno degli avvocati e il loro compenso a favore dei più poveri che «debbono avere diritto alla difesa». Dopo l’esperienza alla Costituente, Platone torna a fare il sindaco di Asti fino al 1951 e continua a esercitare la professione forense, lasciando al cugino omonimo, nato ad Azzano, il seggio parlamentare e il ruolo di dirigente e storico del PCI. Muore ad Asti nell’ottobre 1962.
Leopoldo Baracco il democristiano di lungo corso
Nato ad Asti nel 1886, è animatore e dirigente dell’Azione Cattolica cittadina. Dopo la chiamata alle armi che lo vede combattere sul fronte carsico e ottenere una croce al valore, ritorna all’impegno politico. Nel 1919 è cofondatore del Partito popolare astigiano, nelle cui file viene eletto come membro della Camera dei deputati nello stesso anno e come consigliere provinciale di Alessandria l’anno successivo (Asti allora era un mandamento alessandrino). Alle politiche del 1921 ottiene la riconferma alla Camera. Cerca di far emergere le istanze del mondo contadino rurale con una serie di battaglie, tra le quali una vertenza legata alla tassa sul vino, a fianco del leader contadinista e all’epoca compagno di partito Giacomo Scotti. Dopo le leggi “fascistissime” del ’26 si ritira dalla vita politica per dedicarsi alla professione di avvocato.
Con la Liberazione è tra promotori della rinascita politica della Dc astigiana. Nel ’46 viene eletto con 30.500 preferenze all’Assemblea Costituente. Non risultano suoi interventi in aula durante le discussioni sui vari articoli della Costituzione. Nel ’48 viene eletto senatore, seggio che manterrà sempre per la Dc per altre tre legislature (1953, ’58 e ’63).
Nei quasi vent’anni al Senato fu membro e poi presidente della prima commissione affari della presidenza del Consiglio e ministero dell’interno, membro della X commissione lavoro, della commissione parlamentare per il riordino delle circoscrizioni territoriali, della commissione per il ddl sulla composizione e la durata del Senato, della giunta per la verifica dei poteri. Muore ad Asti nel ’66.
Alessandro Scotti il contadinista di fede e di lotta
Classe 1889, è originario di Montegrosso d’Asti. Studia e si occupa dell’azienda agricola paterna. Parte per il fronte e vi fa ritorno con tre decorazioni al valore. Comincia a prender parte alle agitazioni contadine a fianco del fratello Giacomo, consigliere comunale. Alessandro fa parte di una delegazione diretta a Roma per presentare al governo Nitti le esigenze rurali contro le tasse sul vino. Sarà proprio su questo punto che si verificherà la frattura all’interno del movimento rurale che dà vita al Partito dei contadini nel 1921. Durante il Ventennio subisce attacchi squadristi ed è costretto ad espatriare in Francia. Tornato in patria dopo l’8 settembre arma squadre di contadini per difendere la terra da repubblichini e tedeschi. Viene arrestato nel 1944.
Molte delle sue “squadre rurali” confluiscono tra le file partigiane.
Alle elezioni del 2 giugno 1946 Alessandro Scotti viene eletto con 20.766 preferenze. All’Assemblea, nella seduta del 25 marzo del ’47 così si esprime riguardo l’articolo 7: «Vi parlo, onorevoli colleghi, quale esponente del partito dei contadini certo di interpretare i sentimenti di questa grande classe che desidera unire la fede alla Chiesa cattolica l’amore della patria, del lavoro, votando per i Patti Lateranensi inclusi nella Costituzione». Interviene anche a tutela della “piccola proprietà contadina”. Propone interrogazioni parlamentari sull’ammasso del grano, chiedendo nel 1946 che la trebbiatura non sia controllata dai militari, e sulla bachicoltura. Chiede la riduzione del dazio sul vino moscato, allora qualificato come “fine” e quindi gravato da 55 lire al litro di imposta contro le 30 lire dei vini comuni, sollecita il versamento di contributi ai coltivatori diretti.
Scotti seguirà il declino elettorale del partito dei contadini, in parte confluito nella Dc e in parte verso il Partito repubblicano nel 1958. Trascorrerà i suoi ultimi anni a San Carlo di Costigliole, dove muore il 19 maggio 1974.
Le schede
Per saperne di più
Gli atti del dibattito parlamentare dell’Assemblea Costituente e delle interrogazioni sono sul sito della Camera dei Deputati legislature.camera.it