giovedì 21 Novembre, 2024
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L’arte dei cestai faceva nascere un mondo di vimini

La raccolta e la lavorazione dei gurèin
Con il passare del tempo e il sopraggiungere di nuovi materiali, più leggeri e resistenti, purtroppo il vimini ha perso il suo utilizzo nei vari settori, e l’artigianato locale dei cestai, i quali si trasferivano il mestiere di padre in figlio, è stato sorpassato da prodotti d’importazione e altre “cineserie” che hanno cancellato quasi del tutto una tradizione dall’intramontabile fascino.

L’arte dei cestai è antica e affonda le sue radici nella tradizione contadina. Tante sono le forme e le espressioni ricavate dall’intreccio di fibre di origine vegetale: cavagne, cestini, vasi, fiaschi, damigiane, culle, letti, sedie, divani. Mio bisnonno Carlin possedeva un calesse (biruceìn) con il sedile in vimini.

Pare che in origine sia stato il nido, la fonte di ispirazione di questo tipo di artigianato che vanta una storia più antica della ceramica e della tessitura.

I legni utilizzati per la costruzione dei cesti sono diversi e variano a seconda della reperibilità sui vari territori; tra i principali incontriamo il castagno, l’olmo e il vimini ricavato dal salice, in dialetto locale chiamato gurèin: quest’ultimo, nelle campagne astigiane rappresenta un vero e proprio simbolo rurale e merita un approfondimento.

Il gùrein, detto anche sars, è il nome dialettale del Salix Viminalis i cui rami si chiamano vimini.

I vimini (gurèt) venivano utilizzati sia per la realizzazione di ceste per la raccolta della frutta (in primis, uva) che per legare i tralci delle viti. Andavano recisi uno a uno dalla pianta utilizzando un paio di forbicioni e selezionati per diametro (sbriuò) a mano (possibilmente al caldo di una stufa) durante le sere di veglia coi vicini di casa (vgè).

Una volta selezionati, si radunavano in mazzi: “piccoli e medi”; quelli di diametro più grande si mettevano da parte per poi realizzare manifatture, oppure, si tagliavano in due a spacco utilizzando un affilato coltello da innesto (cutè dansrì) e si utilizzavano per legare i mazzi di vimini o, in vigna, per legare i tralci più grandi. I mazzi di gurèin venivano conservati nei buj (cisterne in pietra o cemento poste solitamente in prossimità della vigna) a mollo nell’acqua in modo da mantenerli morbidi e flessibili.

 

Le piante di vimini sono ed erano facili da piantare perché bastava, in autunno, tagliare un ramo e affondarlo due spanne nel terreno; la primavera successiva crescevano già le foglie! Inoltre, la pianta di vimini veniva utilizzata per segnare i confini di proprietà tra i vigneti raccolti a turno ogni anno dai confinanti.

Da segnalare il fatto che i gureìn possono “fruttare” (sotto terra naturalmente) il pregiato tartufo bianco inconfondibile, dal caratteristico colore tendente al giallo. Fino alla metà degli anni ’60 del Novecento vi era un vero e proprio mercato del vimini legato alla fasciatura delle damigiane, tanto è vero che esistevano laboratori che impiegavano decine di dipendenti: è l’esempio della “Bonosa” di Canelli, azienda ancora oggi specializzata nella realizzazione di damigiane.

Con il passare del tempo e il sopraggiungere di nuovi materiali, più leggeri e resistenti, purtroppo il vimini ha perso il suo utilizzo nei vari settori, e l’artigianato locale dei cestai, i quali si trasferivano il mestiere di padre in figlio, è stato sorpassato da prodotti d’importazione e altre “cineserie” che hanno cancellato quasi del tutto una tradizione dall’intramontabile fascino.

I veri e vecchi vimini, espressione dell’arte cestaia contadina, sono sempre più rari e ricercati.

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