La parete a sud della pieve della Madonna delle Grazie svela centinaia di pietre incise
Un tempo, prima dell’avvento della carta stampata e poi della radio e della televisione e dell’ingresso dell’era digitale con Internet, le notizie viaggiavano in vari altri modi, a cominciare dalle incisioni su pietra e marmo. Uno straordinario esempio di questo modo di comunicare è sulle pareti esterni di una pieve monferrina: per la varietà dei temi e il numero e il tipo delle scritte siamo di fronte ad una “chiesa giornale” che da sola vale il viaggio alla scoperta di notizie di eccezionale curiosità, scritte nei secoli scorsi ma che mantengono la loro eccezionale freschezza. Il paese che custodisce questa rarità è Casorzo, la terra della malvasia. Di origini probabilmente romane, Casorzo è già citato in un documento del 1148. Il nome risalirebbe a “caseari” o “casurciuli”, termini che indicavano i produttori di formaggi derivati dal latte di ovini. Il paese (700 abitanti) è costellato da molti edifici che nei secoli hanno rispettato la dicotomia costruttiva monferrina del mattone e dell’arenaria a fasce orizzontali. Le caratteristiche pietre “da cantùn” venivano estratte e sapientemente squadrate nelle cave di tufo tipiche della zona. È proprio sul tufo che sono state scritte le notizie che ancora appaiono sulla parete esterna della Madonna delle Grazie , un “unicum”, non solo per l’Astigiano. La chiesa si presenta come un tempietto eretto su un colle nella parte est del paese. Le prime notizie sull’edificio risalgono al 1298, quando era dipendente dalla pieve di Rosignano e annoverato nel registro degli estimi della Chiesa vercellese. Le caratteristiche della struttura primitiva edificata lungo la strada romana che da Molignano saliva a Casorzo per poi proseguire verso Grazzano (un’aula rettangolare con l’abside semicircolare e campanile a base quadrata costruiti con blocchi di arenaria ben squadrati, archetti intrecciati su mensole e lesene, cornice di pietre lavorate a dente di sega) hanno portato a ipotizzarne la costruzione originaria intorno al 1180. Di quell’edificio romanico rimangono intatti l’impianto, il fianco sud, l’abside a la parte bassa del campanile. La leggenda vuole che nella chiesa furono arsi vivi nel 1642 decine di donne e bambini rifugiatisi nella pieve per sfuggire alle scorribande delle soldataglie nella guerra di successione del Monferrato. Ma di quell’incendio l’edificio non conserva memoria. Nel 1733 al titolo di San Giorgio fu aggiunto quello della Madonna delle Grazie, trasferito in seguito alla demolizione di una vicina chiesa campestre. La fisionomia dell’antica chiesa romanica cambiò radicalmente dopo il 1811, quando vennero costruiti la rotonda con le poderose colonne e la cupola, l’edificio addossato al fianco nord e la parte alta del campanile. Dal sottostante parco della rimembranza – con il monumento ai Caduti, inaugurato il 14 ottobre 1923 e recentemente restaurato – attraverso una scalinata si sale alla chiesa, che attualmente non si presenta in buone condizioni, ma che sul fianco meridionale offre un’incredibile serie di testimonianze del passato, meritevoli di essere conosciute e valorizzate. Le notizie incise nel tufo si presentano come titoli dei moderni giornali. Avvenimenti che hanno segnato la vita della comunità, ma anche notizie che giungevano da lontano. Fatti che tutti commentavano e che qualcuno ha “trascritto” per fermarli nel tempo. Decine di mani diverse di cronisti anonimi hanno inciso proprio sui blocchi di tufo (una pietra tenera, che bene si presta allo scopo). L’ esempio dei primi è stato poi seguito da numerose generazioni. Così, quel tufo pian piano nel tempo è diventato come un vero giornale di cronaca. La prima notizia incisa all’esterno ancora oggi leggibile risale al 1501 e si è andati avanti per oltre 5 secoli. Sono poco meno di un centinaio le iscrizioni ancora leggibili, incise qua e là senza un preciso ordine cronologico. Molti graffiti si sovrappongono a scritte precedenti, molti altri sono rovinati e in alcuni punti le testimonianze più antiche sono andate perdute. Più frequenti sono quelle ad altezza d’uomo, ma numerose sono anche quelle a tre metri e più di altezza, segno che i cronisti hanno usato scale addossate alla parete. La maggiora parte delle scritte sono finora scampate a imbrattamenti e altri atti vandalici. Qualcuna ormai poco leggibile a causa degli agenti atmosferici.
L’incisione più antica è all’interno, risale al 1410
L’incisione più antica si trova all’interno della chiesa, alla base del campanile: «1410 die 11……dedicatio huius eclesia facta per dominum Mateum episcopum vercellensem» (la dedicazione e la consacrazione della chiesa è stata fatta da Matteo, vescovo di Vercelli). Tra le epigrafi all’esterno la più vetusta risale al 1501 e cita una partenza: «die XXX octobris Bithotus de La Valle emigravit», mentre la più recente è datata 10 maggio 1938 e testimonia come l’italiano scritto per molti fosse una lingua piuttosto ostica: «andò il Duce a Genova e furono andati tuta la milizia di Casorzo a farci il suo onore». C’è un’altra notizia più recente ma è interrotta: «Primavera 1945. Due…». Forse si riferisce a fatti dell’ultima guerra nei giorni della Liberazione. Lungo la parete non mancano fori che potrebbero essere stati causati da proiettili. Tra le pietre incise anche segni di croci, intrecci di cerchi e di fiori eseguiti con vera maestria con l’utilizzo del compasso. E anche sagome di piedi di vario genere, che potrebbero essere i contorni delle scarpe o dei calzari dei pellegrini. Ci sono anche rappresentazioni di animali e di attrezzi agricoli di uso comune come scuri, roncole e falcetti. A questi graffiti, di per sé già particolari, se ne aggiungono altri, meno comuni. Si tratta della raffigurazione di armi e più precisamente di alcuni pugnali e di altri due oggetti costituiti da una grande lama a punta tronca e da un’impugnatura terminante con un vistoso gancio. Sono rappresentate a grandezza naturale sul tufo con un tratto deciso e sicuro. Il che fa pensare che siano state appoggiate le armi stesse sui blocchi di arenaria per poi essere contornate con uno strumento acuminato, un chiodo o un punteruolo, che ne ha tramandato il segno. Le caratteristiche intrinseche di queste armi sembrano legate all’evoluzione di certi tipi di mannaie ad uso agricolo, diventate armi da guerra, definite da studiosi come Eugenio Garoglio “le mannaie da guerra di Casorzo”. Strumenti bellici ben caratterizzati, che occuparono il periodo basso medioevale per poi scomparire del tutto. È quindi possibile datarle in un periodo compreso tra il 1298 (edificazione della chiesa romanica) e la prima metà del ’400.
Il 23 marzo 1733: “È venuta la neve alta un piede”
Torniamo alle notizie. Le iscrizioni più frequenti riguardano il tempo, a conferma dell’interesse per la meteorologia, decisamente anomale per il periodo dell’anno cui si riferiscono. Così, su un blocco di tufo, si legge «1708 li 27 ottobre – la neve alta un gienochio» e su altri si apprende che nel 1713 «dalli 17 di marzo sino alli 2 maggio ha sempre piovuto et li 28 aprile ha nevigato» e che nel 1733 «li 23 marzo è venuta la neve alta un piede». Ed ancora: «17 maggio 1892 venne una tempesta terribile» e poi un’altra, addirittura in rima, forse riferita allo stesso evento «…maggio 1892 tempestò e non solo distrusse il raccolto/ma l’inverno si presentò ed ognun restò sconvolto”. Con buona pace dei cambiamenti climatici dei nostri tempi. Altri messaggi sono oggi incompleti e incomprensibili, probabilmente in parte cancellati: «1605 – Alli…..la guera», «1605 – alli 19 luglio si è fatta la giustizia», «1690…..venerand….», «1654 8 ottobre obuit (morì) hu pan…», “1906 – 22 marzo – à nevicato e poi à…”. I cronisti, alcuni dei quali si firmano, annotavano sulla pietra anche le notizie sulle annate agrarie: “1732 è stata fallanza di grano”, “l’anno 1746 sono morte tutte le bestie bovine per il morbo epidemico e pestifero. Fu la rovina di molti e di tutto il cristianesimo. Camera”, “nel 1806 venne fatta la misura gen.” Ed ancora “1901 – settembre – tempestò – piovì molto – vendemmiando bondansa generale di vino”, mentre, in rima, nel “1903 addì 19 aprile venne la brina che viti e gelzi e fruteti fu la rovina/ sia in Italia che all’estero fu cosa seria/ che certuni ebbero fortune altri miseria” e “nella vendemia del 1937 à sempre piovuto e la semina è andata a male. Barbero”. Non mancano su questa “pubblica lavagna” i riferimenti a fatti di cronaca, locale e non. Così si apprende che “1663 (senza data) – robato il SS. Sacramento”, “1509 die 1 april mortus sum” (che sia uno scherzo del pesce d’aprile?), “1663 in giorno Corpus Domini bene è seguitto in processione”, “1706 li 1 settembre li Francesi hanno deca….m… da Torino”.
Nel 1879 qualcuno scrisse che era scappato il prevosto
C’è anche una notizia che non è più possibile verificare, ma resta la rima “1879 mese di agosto/ è scapato il prevosto”. I riferimenti a fatti storici precisi non mancano. Colpiti dalla notizia della morte del re, i casorzesi hanno inciso nel tufo, anche stavolta in rima:., “1900 – 30 luglio – a Monza mentre che un assassino toglieva l’anima bella/ di Umberto I re d’Italia colla rivoltella/ un uragano ci traversava con furore/ colmandoci di danno pianto e dolore”. Altra notizia: “1911 – grandi manovre militari. L.P.”. Ci sono riferimenti a fatti internazionali con disegno:”Nel 1905 la fuga dei preti da Parigi. Portarono seco le più sacre reliqie. B.M.” Due iscrizioni riguardano lo stesso giorno: “14 ottobre 1923 – inaugurazione del monumento ai Caduti” (tuttora ai piedi della chiesa) e ”14 ottobre 1923 – inaugurazione del gagliardetto fascista”. Curiosa e irriverente quella, senza data ed in rima, in cui si legge “Giaccion qui le spoglie di Camera Francesco/ uomo di strane voglie e di cervel grottesco”. E non si può non essere attratti dalle epigrafi illustrate con disegni, fatti con bravura e dovizia di particolari, come quello dell “Ar. del brig. Mussolino” con due carabinieri nell’atto di arrestare Giuseppe Musolino, “u re i l’Aspromonte”, il 22 ottobre 1901. Suggestiva la “bicicletta volante. Scarabello Gualtiero” . Non resta che “sfogliare” senza fretta questo incredibile giornale di pietra alla scoperta di altre curiosità, godendosi il bellissimo panorama delle colline monferrine. E prima di lasciare Casorzo si può ammirare anche la chiesa parrocchiale di San Vincenzo, consacrata nel 1736. È una bella opera barocca del Magnocavallo, che accoglie pregevoli tele di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, di Maragiani detto il Genovese e di Giambattista Savonese.