Una maxi scritta coprì tutto il tetto dell’Alla in piazza Alfieri
Sono passati più di settant’anni e ancora alcune occhieggiano dai muri, solo un po’ scolorite dal tempo, ma intatte nei loro imperativi: «L’aratro traccia il solco, la spada lo difende», «Credere obbedire combattere», «Vincere e vinceremo». Si sa come è andata a finire. Sono le scritte del Duce, strumento di persuasione di massa, conosciuto e applicato da tutte le dittature e che anche il regime fascista nel suo ventennio utilizzò ampiamente.
Decine di migliaia di graffiti murali su edifici pubblici e privati come strumento di propaganda, principalmente destinato agli strati sociali più bassi ai quali venivano indicati motti ed esclamazioni destinati a essere facilmente ripetuti.
Oggi si direbbe che erano gli slogan del regime: epigrafi con solennità grafica per facciate rappresentative, ma anche scritte su muri in posizione strategica per la facile lettura e, specie in ambiti rurali come l’Astigiano, anche su cascinali e tetti. In molte città le scelte urbanistiche, con lo sventramento di vecchi centri storici e l’edificazione di realtà urbane nuove, crearono ampi spazi vuoti da utilizzare a scopo propagandistico e scenografico e superfici rimarchevoli da riempire con testi celebrativi solenni, visibili a distanza, sulle arterie di comunicazione stradale o lungo le tratte ferrate.
Le scelte grafiche erano precise e non prevedevano ornamenti
La tecnica era sempre la stessa: su una base d’intonaco venivano tracciati e verniciati i caratteri con esecuzione manuale a pennello. Era preferito il carattere tipografico “bastone”, semplice, squadrato, privo di ornamenti e “grazie”. Era una scelta grafica che seguiva le direttive centrali (c’erano specifiche disposizioni approntate dal segretario del partito fascista Ettore Muti) o degli organi locali.
Alle scritte con frequente uso di imperativi, si alternava anche l’immagine del volto del capo, con il consueto profilo mussoliniano, spesso in versione militaresca con elmetto. A volte c’era un rettangolo bianco a disposizione, pronto a riempirsi con frasi diverse tratte dai suoi discorsi. Tutte le scritte erano scelte con una struttura linguistica semplice, in grado di essere amplificata in modo ripetuto e martellante.
Anche l’Astigiano non fece eccezione ed ebbe centinaia di grandi scritte ben visibili in città e in campagna. La scelta era affidata al podestà previo accordo col segretario politico e con preventivo di spesa ufficializzato dal tecnico comunale. Con la creazione della nuova provincia di Asti il 15 aprile 1935 (vedere i dettagli in Astigiani n. 2) il fenomeno sembrò accentuarsi. Crebbe in parallelo con la dilagante ideologia colonialista italiana e la nascita dell’Impero e il fenomeno arrivò all’apice all’inizio degli Anni ’40, con l’entrata in guerra dell’Italia che impose nuove parole d’ordine alla demagogia fascista.
I bombardamenti e le distruzioni del conflitto fecero cadere, oltre al Regime, anche la maggior parte di quelle scritte. Molte furono cancellate dopo il 25 luglio 1943 e solo in parte ripristinate nel periodo della Repubblica di Salò. La vittoria della lotta partigiana e la fine della guerra portarono a una drastica epurazione muraria. Furono cancellate la maggior parte delle scritte e le vestigia che richiamavano al fascismo, ma a volte non bastò una semplice mano di bianco.
Decine di esempi di quella propaganda sono rimasti e oggi sono testimoni di un’epoca. Sono infatti molte le scritte totalmente o parzialmente conservate. Un appassionato di storia locale, Aldo Vigna, ha percorso in lungo e in largo l’Astigiano cercandole e fotografandole. Anche le vecchie cartoline raccolte da Pippo Sacco ne riportano tracce evidenti. Un ricercatore, Giovanni Bosca, è l’autore di un volume, La propaganda murale del regime fascista edito da Araba Fenice, che raccoglie queste parole d’ordine ancora rimaste sui muri piemontesi. Facciamo dunque un viaggio tra quel che resta del fascismo murario nel territorio astigiano.
Preziose le testimonianze fotografiche delle scritte ormai sparite
Ad Asti città le tracce sono ormai quasi inesistenti. È sparita negli Anni ’60 la grande scritta che correva lungo il muraglione del campo di atletica di via Natta (accanto alla palestra della ex Gil), oggi coperto totalmente dal parcheggio a due piani accessibile anche da via Testa. C’erano “graffiti fascisti” anche alla palestra intitolata a Ettore Muti dentro la ex caserma dei bersaglieri a San Rocco e altri caratteri cubitali ornavano, senza esitazioni di incongruenza storica, le mura medioevali di piazza Lugano.
Il Duce era inneggiato anche sulla Casa Littoria che dava sulla grande piazza dell’Impero (poi Emanuele Filiberto). Anche gli ingressi della città erano marcati da scritte fasciste, come quelle che declamavano il valore dell’agricoltura sul silos granario inaugurato il 24 ottobre 1936, poi sede del Consorzio Agrario e oggi ristrutturato e trasformato in centro commerciale in prossimità del Pilone in corso Alessandria.
Di queste tracce ormai sparite esistono preziose testimonianze fotografiche dell’epoca e il fiore all’occhiello è rappresentato da una rarissima immagine probabilmente del 1939 in cui l’Alla di piazza Alfieri, prima di essere demolita (vedere sempre Astigiani n.2), diventa la più centrale lavagna possibile in Asti per inneggiare al Duce e rilanciare i suoi slogan fascisti.
Nella foto coesistono ancora l’Alla prossima alla demolizione con la già edificata torre di Casa Littoria che nell’immaginario collettivo astigiano, con quella celebre pianta a M, voleva enfatizzare proprio gli attributi sessuali di Mussolini. Nel resto della provincia ogni paese doveva vantare una o più scritte, alcune delle quali ancora visibili nonostante siano trascorsi più di settant’anni. Le parole sono sempre estrapolate dai discorsi del Duce. Si può leggere il frequentissimo motto «Credere Obbedire Combattere» a Ferrere, Monale, Revigliasco e Grazzano (diventato Badoglio al posto di Monferrato il 27 febbraio 1939 in onore del maresciallo conquistatore di Addis Abeba).
Altro imperativo molto diffuso era «Vincere», che ancora appare scritto sui muri di Calliano e Montemagno, per non parlare dell’onnipresente «Duce», di cui resta testimonianza a cascina Chiabotta in Dusino San Michele e sulle mura del castello di Cisterna d’Asti, mentre quello di Castelletto Molina ostenta ancora oggi un più raro «Roma doma». Passando poi alle frasi più complesse e articolate, si evidenzia subito che le radici rurali astigiane erano considerate utili alla propaganda: ecco quindi il più famoso e ripetuto slogan «L’aratro traccia il solco, la spada lo difende»; con la variante più articolata di «È l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende» che facevano mostra di sé a Calliano, Antignano e sulla Casa del Reduce Pietro Badoglio a Grazzano (dove è scomparsa nel crollo del maggio 1972 anche la lunga scritta sul muro di piazza Cotti): i primi due sono ancora ben visibili oggi dalle strade provinciali mentre a Grazzano non c’è più, così come alla ex Gil di via Natta, sul già citato muro sotto via Testa.
L’esaltazione della ruralità e della terra
La terra che stava tanto a cuore al regime fascista è ripresa a Cortanze con «Più fondo il solco più alto il destino», ripetuto anche ad Asti sul silos del Consorzio Agrario, mentre a Bruno c’è quasi una confidenza mussoliniana: «Rimanendo rurali sarete più vicini al mio cuore». La stessa frase compariva anche per decine di metri su un edificio di Villanova, ristrutturato nel 2009.
A Grana ancora oggi si legge una scritta che potrebbe essere adottata dai movimenti ambientalisti: «La vera fonte, la vera origine di tutta l’attività umana è la terra», che si collegava alle parole, oggi perdute, sui muri del Consorzio Agrario del capoluogo: «Questa vecchia terra italiana saprà dare il pane ai suoi figli di oggi e di domani».
Interessanti anche le riflessioni scritte su un muro del paese di Bruno, «Roma fu grande finché fu rurale» e anche quella che si leggeva a Portacomaro Stazione, cancellata però nel 2004, «I popoli che abbandonano la terra sono condannati alla decadenza».
La figura del Duce, insieme alla sua firma che sottoscrive numerosi slogan, giganteggia poi con parole e immagini, partendo da quella più evidente e persistente a Moncalvo, quel «Col Duce fino alla morte» accompagnato dalla gigantografia del capo con l’elmetto da battaglia, ha colpito per decenni gli automobilisti che salivano da sud la provinciale all’ingresso della cittadina aleramica. Disegno e scritta apparivano fino a qualche decennio fa, su una strategica e ben visibile “lavagna” muraria antistante lo stabilimento tessile degli industriali biellesi Piacenza, oggi chiuso.
La certezza sul fatto che «Mussolini ha sempre ragione» si può ancora avere a Robella, al bivio per Brozolo sulla strada della Val Cerrina, grazie al motto coniato dal giornalista Leo Longanesi nel 1926 e poi modificato dal gerarca fascista Storace in «Il Duce ha sempre ragione»; inoltre al capo si ricollegano pur meno direttamente la frase di Aramengo «Noi tireremo diritto» (ancora visibile al contrario di quella sull’Alla di Asti) e quella di Rocca d’Arazzo: «Chi non è con noi è contro di noi».
La firma di Mussolini troneggia sotto un’altra serie di scritte “ottimistiche”, partendo da Villanova d’Asti con «Solo Iddio può piegare la volontà fascista: gli uomini e le cose mai» e con «Nessuno ha potuto fermarci nessuno ci fermerà» di Borgo Corveglia dove, su un’altra cascina, stavolta senza firma, compare un incalzante «Venti anni di guerre, di battaglie, una rivoluzione come quella fascista hanno fatto dell’Italia un blocco di temprato metallo».
Molte le scritte tratte da discorsi pronunciati da Mussolini
A Cortanze si legge «Salutiamo l’Impero che risorge sui colli fatali di Roma», così come il richiamo «Il fascismo non vi promette né onori né cariche ma il dovere ed il combattimento».
Cinaglio e Castelnuovo Belbo sono accomunati dalla scritta «Disciplina, concordia ed obbedienza per la ricostruzione della patria», con la particolarità che a Cinaglio l’autore dell’affresco è rimasto invischiato nel “per” alla fine della prima riga e lo ha ripetuto all’inizio della seconda. Un balbettio che ha superato i danni del tempo.
Anche a Piea e Rocchetta Palafea non si dovevano avere dubbi: «Non ci saranno più ostacoli nella marcia trionfale del popolo italiano» che echeggia in qualche modo quanto si legge a Castelnuovo Calcea: «Unica la fede, l’amore di patria, unica la volontà: far grande il popolo italiano». A Refrancore una scritta richiama i temi della guerra che non si stava risolvendo in una passeggiata vittoriosa: «Resistere per vincere, vincere per la libertà e la giustizia». Qui esiste anche un secondo messaggio molto singolare: «Ricordate che oggi non ci sarebbe la marcia su Mosca se vent’anni prima non ci fosse stata la marcia su Roma»: risale all’inverno 1941-1942 e voleva celebrare la campagna di Russia al fianco dei nazisti in chiave anti bolscevica. Un ultimo disperato tentativo di propaganda murale di un regime che stava morendo.
E queste scritte ne sono l’inutile prece.