Di Salvatore Leto, Direttore del Teatro Alfieri e di Asti Teatro dal 1979 al 1995 e dal 2005 al 2009
«La storia di Asti Teatro è certamente diventata molto più complessa e importante della storia dei suoi spettacoli; anzi la storia dei suoi spettacoli finisce per essere la conseguenza di un’altra storia, mutevole e a volte drammatica, che si sviluppa lontano dagli sguardi. È la storia di rivoluzioni silenziose, dominata dal denaro che scarseggia e guidata dal desiderio di trasformare il teatro in una attività necessaria, certamente necessaria per la salute mentale degli uomini di buona volontà e per dotare la città di un più vasto orizzonte culturale e immaginativo”».
La citazione che il critico de La Stampa Osvaldo Guerrieri aveva scritto nel saggio introduttivo al volume sui primi vent’anni di Asti Teatro racchiude con formidabile sintesi quella che è stata, anche per i successivi vent’anni, la storia del Festival astigiano. Un richiamo alla memoria storica utile a una generazione che sembra vivere un presente permanente senza un rapporto organico col passato, anche per sottolineare con forza che le scelte culturali sono le conseguenti realizzazioni di precise idee progettuali mai nate per caso.
Tanto per smontare un luogo comune va detto che Asti Teatro è nato non per sopperire alla chiusura del Teatro Alfieri, ma come conseguenza complementare alla gestione pubblica, considerata “come una necessità collettiva, come un bisogno dei cittadini, come un pubblico servizio”. Asti Teatro, che programmaticamente si chiamava rassegna, non festival, voleva essere luogo di confronto delle creatività vissuto dai cittadini nella riscoperta di un tessuto urbano ricco di storia e capace di grandi emozioni e suggestioni, occasione dello stare assieme, di fare comunità.
È questa la vera forza dello spettacolo teatrale, questi i motivi che hanno reso memorabili decine di rappresentazioni di Asti Teatro rimasti ancora oggi nell’immaginario collettivo degli spettatori e diventati punto di riferimento per giovani attori e registi. La “rassegna confronto” astigiana sembrava avesse raggiunto il suo obiettivo: non disdegnando, attraverso le sue articolate sezioni, di mescolare il classico con il contemporaneo, la prosa con il balletto, il mimo col teatro popolare, l’Oriente con l’Occidente, aveva portato sul palco e nelle piazze della città forse la parte più viva e creativa di una cultura internazionale che, attraverso la potenza che solo lo spettacolo dal vivo riesce a trasmettere, ha sconvolto-emozionato-fatto piangere, gioire, discuterescoprire
nuovi mondi, migliaia di spettatori. Dopo sei anni ci era sembrato opportuno orientare la rassegna verso una più netta caratterizzazione tematica. I tempi sembravano maturi, i materiali in giro erano tanti, nuovi autori, registi, attori sembravano animati da uno spirito d’intenti che superava l’entità personale e i protagonismi dei singoli, per un fine comune. Perché non provare? La novità che Asti Teatro sarebbe diventata una rassegna monografica di drammaturgia contemporanea (senza però rinunciare alle altre sezioni), suscitava nel teatro italiano interesse e curiosità; in città, invece, soffiavano venti di guerra sulla scelta tematica come sull’intera manifestazione provenienti anche da Via XX Settembre, sede del Pci, come dalla Compagnia del Magopovero, partner essenziale fin dalla nascita della manifestazione, che vedeva nel nuovo corso un suo possibile ridimensionamento che non c’è mai stato.
In città ci si stava quasi rassegnando alla chiusura, mentre a livello nazionale c’erano molte aspettative, Asti Teatro si era già guadagnato, in soli sei anni, un posto di tutto rispetto tra i molti
festival. E poi cosa sarebbe stata la città senza il suo Festival e, per giunta, con il Teatro Alfieri chiuso? Abbiamo allora formalizzato, anche per dare alla scelta quella forza politica che stava venendo meno, un gruppo di lavoro composto da artisti astigiani, critici, organizzatori e ben quattro politici: gli Assessori alla Cultura del Comune e della Regione e i due ex Assessori alla Cultura del Comune, e il coinvolgimento della Commissione di gestione del Teatro Alfieri. È stato così superato lo scoglio politico e il particolare successo di Asti Teatro 7 ha fatto il resto.
Il gruppo di lavoro di Asti Teatro, il cui compito principale consisteva nella lettura di copioni, nel vagliare le proposte e nel proporre e stimolare nuove produzioni, ha rappresentato un qualcosa di nuovo e di diverso nell’ambito dei festival italiani, ma la novità pregnante e assoluta consisteva nel fatto che persone esterne all’Amministrazione diventavano parte integrante della politica culturale del Comune attraverso la loro professionalità ed esperienza: contemporaneamente promotori e ambasciatori delle proposte culturali dell’Amministrazione.
I successi di Asti Teatro, sono dovuti anche a questa sorte di alchimia politico-culturale che trascendeva gli orientamenti politici e le convinzioni personali dei singoli, dove le grandi professionalità culturali hanno inevitabilmente portato idee e fantasie utili alla sopravvivenza individuale e collettiva dei cittadini, così come sa fare il teatro, da sempre veicolo di crescita morale e civile.
Asti Teatro è stato capace di offrire negli anni, al di là del singolo spettacolo, momenti che duravano, e per qualcuno durano ancora, ben oltre la calata del sipario. La rassegna astigiana nata come ipotesi di confronto fra linee espressive internazionali, via via che il campo economico del nostro teatro si depauperava, ha puntato sulle nuove emergenti generazioni di scrittori, di interpreti, di registi, capaci di allestimenti originali, coraggiosi e calmierati nei costi. È questa anche la funzione di un festival, momento creativo unico e irripetibile soprattutto quando è legato, come è successo da noi, alla “teatralizzazione della città”, alla capacità di trasformare una strada- una piazza- un cortile, in un luogo vivo come una chiesa laica o una scuola.
Alla riapertura del Teatro Alfieri nel 2002 si è posta la domanda se continuare o meno il Festival, se avesse ancora un senso, una funzione; Asti Teatro ha continuato con le stesse motivazioni delle origini: nell’era della rivendicazione dei bisogni, il teatro a sua volta rivendica la propria necessità, convinto di avere ancora un ruolo nel soddisfare i bisogni reali o avvertiti come tali, contribuendo allo sviluppo della creatività e dell’arte, puntando sul nuovo e sui giovani, captando tendenze ed esigenze sopite, in una parola puntando al rinnovamento culturale e sociale. Asti Teatro è stato capace di far così diventare Asti una prestigiosa e ambita città teatrale.