Tilde Rosa, preside a riposo e curiosa indagatrice del mondo, mi accompagnò lungo la luminosa sua residenza, costellata di dipinti e scritti dell’amato padre, il professor Giovanni Rosa (Asti 1887-1974), studioso di arte e letteratura, cultore di storia e poesia: la seguivo, non tanto in veste di critico come mi aveva sollecitata l’infaticabile Emiliano Serra per celebrare il centenario dell’artista in ottobre, quanto come una disciplinata allieva. Le sommesse luci dei ritratti familiari, dell’affabile Tilde e degli autoritratti (in particolare, Autoritratto, 1944 custodito nella Civica Pinacoteca di Asti) rivelano tuttora la lirica sensibilità con cui Giovanni Rosa si accostava alla realtà.
Docente di disegno negli Istituti superiori astigiani, Rosa coltivò con passione le tecniche pittoriche ed incisorie (litografia, xilografia) apprese durante la formazione all’Accademia Albertina di Torino e perseguite in numerose composizioni. Presente dal 1914 alle esposizioni della Società Promotrice Belle Arti di Torino e alle rassegne nazionali dei decenni Trenta-Cinquanta, Rosa dedicò costante impegno alla promozione dell’arte antica e moderna, collaborando, in ambito cittadino, a importanti esposizioni storico-documentarie.
Merita ricordare la Mostra d’Arte Astigiana (23 ottobre-21 novembre 1937), di cui arricchì con fregi, xilografie e note illustrative il catalogo (redatto da Agostino Barolo) delle celebrazioni alfieriane degli anni 1949-1950 con la partecipazione al Premio nazionale “V. Alfieri” per le Arti figurative (Il disegno italiano, 1950) e la divulgazione delle successive edizioni (1959,1962); conseguì inoltre una medaglia con menzione critica al Premio “Città di Asti” (1962). Appassionato ricercatore, Rosa curò con tavole grafiche La storia di Roma, La storia della letteratura, Asti e i suoi dintorni. Fedele al linguaggio naturalistico della scuola fontanesiana, narrò i luoghi della sua esistenza con la vibrazione del cuore: chiare e composte gamme tonali perseguirono la quotidiana composizione di vedute del centro storico cittadino, da piazza Roma alla Torre Rossa, dalle tavole per Palazzo di Bellino, ora Mazzetti di Frinco, ai campanili lungo i declivi di Castell’Alfero, Costigliole, fino alle anse del Tanaro.
La pacata impaginazione di Aprile, opera datata 1945, riflette l’interiore dimensione di Rosa, la percezione della rigenerante primavera del secondo dopoguerra, la consapevolezza di una rinnovata conquista della coscienza individuale e collettiva. Dopo la bufera bellica, gli usurati panni e le fredde leghe metalliche delle suppellettili dismesse stridono improvvisamente, nella loro livida austerità, alle modulate accensioni ocra delle superfici d’interno, racchiuse tra il palpito discreto della pagina epistolare e le minute corolle in boccio. Per Giovanni Rosa, la consolazione di una quiete raggiunta e la vibrazione segreta del domani annunciato