Capita ormai raramente di ascoltare conversazioni in lingua piemontese e ancora meno nella parlata astigiana. Nelle scuole dove si insegna agli allievi giustamente la lingua italiana, il piemontese è stato dimenticato, nonostante sia fonte di spunti culturali
sorprendenti.
Sono molte le famiglie dove i bambini e i genitori parlano solo italiano, con molti inglesismi a volte messi a casaccio, mentre il piemontese resta la lingua familiare dei nonni tra loro o dei nonni con i figli. Fuori dalle mura domestiche con la multietnia, e quindi con la mescolanza delle parlate, ci si esprime in italiano, quando e come si può, anche se non sono rari i casi di stranieri che qualche parola di dialetto l’hanno imparata. Di conseguenza, si sono persi quasi completamente i modi di dire e i proverbi piemontesi, la quintessenza della saggezza popolare, condensata in rima. Trasmessi oralmente da una generazione all’altra, i proverbi erano facili da imparare e da tenere a mente e al tempo stesso codificavano regole di vita e di lavoro. Utili più che mai erano i proverbi per chi viveva e lavorava in campagna.
Ecco alcuni proverbi da non dimenticare dedicati a questo periodo primaverile.
A ra prìma tüt cùsa er büta fòra ra tésta rìè bùn da f éra mnéstra, ovvero in primavera tutto ciò che mette fuori la testa (dalla terra) va bene per fare la minestra. Si allude,
ovviamente, alle miriadi di erbette spontanee.
A màgg vantrèjva ch’aj pissèisa gnànca i gàt. A maggio converrebbe che non pisciassero nemmeno i gatti, cioè che non dovrebbe cadere nemmeno una goccio di pioggia, che danneggerebbe la fioritura, specialmente della frutta.
A Sàn Bastiàn ra viurètta an màn: a San Sebastiano, a fine gennaio, spuntano già le prime violette. Aprile, si sa, è il mese più piovoso – Avrì ogni dì in barì (ad aprile
ogni giorno ne piove un barile) – e la pioggia fa bene alla campagna, quindi Avrì n’à trànta, ma s’er piuvìjsa ben trantün aj farèjva màl a gnün: aprile ha trenta giorni ma se
piovesse ben 31 giorni sarebbe meglio ancora.
Da màrs a avrì jìé pòch da dì, da marzo ad aprile cambia poco, però attenzione chi er vör ma-sé er marì, ca lu mén-a ar sù d’avrì, chi vuole far morire il marito, lo porti al sole di aprile. E naturalmente chi vuole fare un buon orto, lo faccia in un terreno grasso: vigna an t’er sàss (la vigna nel sasso, anche nelle pietre), òrt an t’er gràss.
Riferito poi al granoturco, il proverbio recita: smènmi ad màrs, smènmi d’avrì, fin ch’er fà-sa nèn càd pöss nèn amnì, cioè seminami a marzo o ad aprile, ma finchè non faccia
caldo non potrò venire, spuntare e crescere.
S’er piövv a ra ramulìva, er piovv sèt fèsti ad fila: se piove al giorno del ramo d’ulivo, la domenica delle palme, pioverà per sette feste di seguito. Sempre riferito al tempo, si diceva che quànd er gàt às surìa pasànda j’urgìn, ra piöva r’è davzsìn (quando il gatto si liscia passando le zampe sulle orecchie, la pioggia è vicina), ma anche quànd er gàl er cànta an t’er mezsdì, er piöv pü nèn per tüte r dì: quando il gallo canta sul mezzogiorno, non piove più per tutto il giorno.
Invece, er tèmp che às ràngia ‘d nöt, er vàr nèn trèj pùm cöt, cioè il tempo che si rimette al bello di notte non vale tre mele cotte, non dura. Ma, alla fine, vale sempre il vecchio proverbio tèmp e cü er fa cus’er vör lü: il tempo e il culo fanno sempre come vogliono loro!