A ben pensarci il fatto che Remigio Passarino sia un ragioniere mancato, significa che a guadagnarci è stata la musica. Se avesse continuato gli studi per diventare contabile, il mondo delle sette note ora sarebbe privo di un personaggio eclettico, da molti considerato un’icona.
Settantottenne, due figli, Andrea e Massimo, ha attraversato mode ed “ere” musicali da protagonista. Dapprima come suonatore ha animato i gruppi astigiani che si sono esibiti nelle sale nei locali “in” della città, lavorato in proprio col piano bar e soggiornato per lungo tempo in Brasile, dove ha imparato ad amare la musica latinoamericana e caraibica. In gioventù ha lavorato come compositore in due grandi case editrici musicali: la Saar e la Curci, ambedue di Milano.
Ma l’attività che lo ha reso popolare e lo ha messo in contatto con il mondo degli artisti e con i giovani è quella di arrangiatore, animatore scolastico, editore e tecnico del suono. Ha aperto anche uno studio di registrazione, nel quale sono passati mostri sacri come Paolo Conte, che molti anni fa vi aveva registrato a titolo sperimentale la canzone Onda su onda. Ha lavorato anche con Bruno Lauzi. Lo studio ha un nome curioso: “Canguro Dna Studio”, in via Desderi. Ci lavora anche il figlio Andrea e collabora anche Massimo. Un’altra attività dello studio è la pubblicazione di manuali attraverso i quali si impara a suonare i vari strumenti o a scrivere testi per canzoni; la tecnica del canto e molte a ntologie di brani per le orchestre da ballo. Inoltre produce cd e videoclip musicali. L’ultimo cd uscito per le edizioni del Canguro si intitola “Amerikaribe” e contiene otto favolosi ritmi caraibici “per una estate da s…ballo”. Remigio Passarino ha cominciato a frequentare la musica all’età di 10 anni, quando a casa di una signora torinese, sfollata a causa della guerra a Rocca d’Arazzo, dove è nato, ha visto per la prima volta un pianoforte. «Mi sedetti davanti alla tastiera e, istintivamente, cominciai a suonare. La signora mi chiese se stessi frequentando qualche scuola e io risposi che non avevo mai toccato uno strumento. Mi insegnò lei i primi rudimenti della musica». Trasferitosi ad Asti con la famiglia, ha frequentato le medie e poi si è iscritto a ragioneria. Fu allora che cominciò a studiare seriamente la musica. Dopo l’orario scolastico, prendeva il treno e andava a Torino per imparare a suonare la fisarmonica. «Arrivavo a casa che era notte: una faticaccia. Soprattutto per un ragazzino che si era già sobbarcato una intera giornata di scuola. Capii che non ce l’avrei fatta a viaggiare, quando una sera mi addormentai sul treno e mi trovai a Tortona». Lasciata Torino, lo studente di ragioneria con la passione per la musica trovò ad Asti due insegnanti degni di rispetto, nelle persone del maestro Guido Ginella e di Giovanni Nebiolo. Dopodiché, dalla fisarmonica passò al pianoforte. «Un bel giorno decisi di abbandonare la scuola e farla finita con la partita doppia. Per sfuggire alle ire di mio padre, mi rifugiai per tre giorni a casa dello zio Alfredo a Castagnole Lanze. I primi soldi cominciai a guadagnarli con l’orchestra Astoria, nella quale, a quei tempi, suonavano Marcello Arri, Vittorio e Arcadio Parena, oltre a Nando Tirelli. Ho fatto parte anche dei Juke Box». Nel ’71, al tavolino di un bar a Sanremo, scrisse la partitura dei violini per l’orchestra di Frank Pourcel, che in quei giorni era impegnato al festival canoro.
Quando gli chiedono cosa pensa della musica cosiddetta leggera che si suona adesso, Remigio Passarino si schermisce, dà l’idea di non voler rispondere. Ma poi si lascia andare, con sincerità, dicendo: «È tutta bella. Ogni epoca ne inventa una parte e, alla fine, tutto, o quasi, entra nella storia e ciò che non viene più ricordato, evidentemente non meritava di esserlo». Non potrebbe rispondere diversamente, il Remigio. Perché la musica, tutta la musica, continua a essere il suo mondo e la sua vita.