Si racconta che già nell’Ottocento quando si metteva a cuocere in forno, si diffondesse un fragrante e inconfondibile profumo per il paese di Refrancore. Accade ancora oggi nel giorno in cui il «pasticé» Massimo Grossetti cuoce i suoi Finocchini, i biscotti all’odor di anice e dalla caratteristica forma a piccolo parallelepipedo tipici del paese.
Il «re dei biscotti», come diceva una pubblicità degli anni ’60, è il dolce baluardo della Pasticcieria Bianco Rosanna, che dà su via Umberto I, la via centrale che guarda il campanile di San Sebastiano. Porta il nome della mamma di Massimo che la rilevò nel maggio del 1978: «A 14 anni lavoravo ad Asti come apprendista nella cremeria di Cornelio Maggiora davanti all’Upim – racconta Rosanna – poi ho cominciato a lavorare nella pasticcieria di Laura e Giovanni Maggiora. Fu Laura a convincermi a venire a Refrancore e a rilevare la bottega del paese: all’epoca, era un negozio di alimentari. Non c’era neppure il frigo!».
Quelle famiglie di pasticcieri in giro per il mondo
Fu così che Rosanna arrivò a Refrancore per scrivere una sua pagina di storia nel comune che da decenni è la patria dei pasticcieri: sono decine, presenti di generazione in generazione in tutt’Italia e anche all’estero. Il Finocchino rimane ancor oggi il loro comune denominatore. Molti sono andati a Torino: si pensi che negli Anni ’60 c’erano più di 30 refrancoresi con bottega nel capoluogo torinese; oggi sono rimasti in pochi. Giovanni Gertosio e Giovanni Trombetta sono tra i più conosciuti. Alcuni hanno aperto ad Asti: come Giovanni Maggiora, classe 1925, della pasticcieria «Giordanino», con la moglie Laura, e i figli Nello e Flavio; o come Pier Paolo Mighetto, titolare dell’omonima pasticcieria di Asti.
Tra gli altri pasticcieri a cui Refrancore ha dato i natali vanno ricordati: Giulio Accornero, Remo Gavazza, Giancarlo Maggiora, Franco e Renzo Accornero, Benedetto Mortara, Piero Coppa, Denis Piana (fratello di Dino, famoso jazzista), Flavio Accornero, Fernando Mighetto, Paola Cerrato, Dino Maggiora, Elmo Sillano, Giuseppe Accornero, Emanuele e Umberto Mainardi. Diverso il destino della famiglia Bianco-Grosetti, complice anche il grande Nevio Asselli, il pasticcere saggio che rimase accanto a Rosanna fino a pochi anni fa e insegnò mestiere e segreti a Massimo.
«Nel 1985 – continua Rosanna – ci spostammo qui, in via Umberto I, dove c’era già una pasticcieria panetteria. Accanto avevamo la macelleria di Cesarot, Rosetta la pettinatrice e il consultorio». Oggi le attività sono cambiate ma Massimo continua la tradizione della mamma aiutato dalla moglie Simona. Il papà Giorgio, scomparso nel 1993, lavorava alla Waya. Quest’anno, a maggio, la pasticcieria compirà 40 anni.
«Ho studiato per tre anni arte bianca a Torino – racconta Massimo – poi sono subentrato nel 1990. Oggi come allora produco dai 30 ai 40 chili alla settimana di Finocchini che sono circa 3/4 mila pezzi. Lo amano molto di più i forestieri, soprattutto è super richiesto tra Varese, Milano e Torino».
C’era chi voleva brevettarli come “medicina” per i convalescenti
C’è chi ricorda ancora come la principessa Jolanda e il conte Calvi, dal castello di Montemagno, arrivassero a cavallo in centro paese per comprare personalmente i dolcetti appena sfornati. O l’impegno del dottor Alessandro Colli, ex medico condotto del paese, per brevettarli come farmaco da vendere agli ammalati per la leggerezza, la friabilità e l’alto potere nutriente.
Rosanna ricorda che tra gli amanti del Finocchino di Refrancore vanno annoverati anche palati famosi: Paolo Conte, Michele Mirabella e Carlin Petrini, patron di Slow Food che fu insignito nel 2007 del titolo di Ambasciatore del Finocchino durante l’evento “Salute che biscotto!”. Non è il solo: nell’albo d’oro, ci sono il giornalista Sergio Miravalle, l’editore e presidente del Torino calcio Urbano Cairo e i Trelilu, gruppo musicale-dialettale della Langa.
In realtà più che di biscotto, sarebbe meglio parlare di «triscotto» per la sua triplice cottura in forno con doppia tostatura.
L’invenzione del Finocchino rimane perlopiù incerta. La memoria orale ne attribuisce la creazione a una maestra elementare, che verso l’inizio dell’800, possedeva una drogheria in corso Umberto I. Una certa signora Lombardo. Dopo aver fatto l’impasto, li portava a cuocere nel forno della pasticcieria diventata poi di Giovanni Maggiora, decano dei pasticcieri refrancoresi, a cui va il merito di aver perfezionato la ricetta, mettendoli in commercio per primo.
Tra profumi di spezie e di caffè, potrebbe dunque essere nato il Finocchino. E l’ipotesi sembra più che probabile visto che per dare il caratteristico sapore, si usavano i semi di finocchio finemente tritati: «Oggi all’impasto – dice Massimo – viene aggiunta l’essenza naturale di anice. Gli altri ingredienti sono rimasti quelli di un tempo: uova, zucchero, farina». Ma l’amalgama degli ingredienti resta un segreto e caratterizza i finocchini delle diverse pasticcierie, anche fuori Refrancore «I nostri Finocchini sono complicati da fare: ci vuole tempo e pazienza – aggiunge il pasticcere refrancorese – ora abbiamo richiesto la Deco, la denominazione di origine comunale: dovrebbe arrivare nei prossimi mesi. I pacchi di Finocchini che usciranno dal mio negozio, avranno tutti il bollino di garanzia».
In passato fu anche lanciata l’idea di richiedere il Presidio Slow Food in quanto “prodotto riconosciuto che conserva memoria locale e tradizione artigiana”. Progetto al momento non ancora decollato.
Il Finocchino aspetta.