Fonda e fa crescere con il cognato la Viarengolio, un commercio di sottoli e sottaceti
Ne la lontana, infinita landa del mar che si confonde in quel di Stige, l’anima si rinserra e di se stessa vive mentre il culto mortale de le cose belle si discolora…!. Così inizia una delle poesie più intime e struggenti di Mario Giacinto Poncini, autore e letterato attivo ad Asti dagli Anni ’20 agli Anni ’50 del Novecento. Forse, alla maggior parte degli astigiani, il nome di Mario Poncini in veste di poeta risulterà sconosciuto, dal momento che l’opera di questo enigmatico personaggio è restata inedita. E non poteva essere altrimenti visto che la maggior parte dei suoi sonetti denunciavano con ironica tenacia il fascismo, in un’epoca in cui il Regime controllava e reprimeva ogni forma di dissenso. Poncini, se scoperto, sarebbe sicuramente finito al confino. Ma facciamo un passo indietro e, prima di incontrare Poncini come letterato astigiano, critico e oppositore al Duce, andiamo a scoprirne la giovinezza e le sue origini.
Mario Giacinto vede la luce in un rigido mattino del gennaio 1894, ad Asti, al numero 17 di via Quintino Sella. Mario, insieme alla sorellastra, Carlotta, cresce coccolato dalle cure di una madre maestra (colta e amata dai figli) e temprato nel carattere da un padre autoritario. La sua è una giovinezza normale. Dopo il diploma in ragioneria, inizia una piccola attività insieme al cognato Luigi Viarengo. I due cognati fondarono insieme un’azienda che si occupava di acquisti di prodotti sottolio dal Meridione e del successivo smercio in Piemonte. La ditta prese il nome “Viarengolio” (con un gioco di parole che includeva il nome della famiglia e il prodotto principale che la neonata attività commerciale trattava). Una delle fortune commerciali della Viarengolio fu una commessa del Regio Esercito che durante la Prima guerra mondiale acquistò in massa i prodotti della ditta: olio, sottaceti, acciughe ecc. I camion della ditta astigiana partivano dal Piemonte e scaricavano in Cadore gli approvvigionamenti per le mense militari. La ditta, sotto la sapiente gestione amministrativa di Luigi e contabile di Mario, crebbe (anche dopo la guerra) raggiungendo fatturati e affari di ottimo livello per una città come Asti; tanto che si espanse anche con magazzini a Torino.
Negli anni la Viarengolio allargò i commerci. La seconda guerra mondiale interruppe però i flussi di merci dal Sud al Nord e con la ripresa dell’attività i soci decisero di impegnarsi su altri e più redditizi fronti. La Viarengolio interruppe l’attività per cedere il posto alla Dalca, azienda che aveva il compito di distribuire i carburanti e le benzine Esso su tutto il territorio piemontese. Mario, nel campo professionale, era questo: un preciso e accurato contabile che aiutava il cognato nell’azienda di famiglia. Accanto a bolle, ordini e commesse, coltivava fin da bambino un’importante passione per la letteratura e per la scrittura.
È un bon vivant: tra bolle e fatture emergono le prime poesie carducciane
L’opera poetica di Mario Poncini si può suddividere in due grandi filoni. Il primo comprende sonetti e scritti che costituivano semplicemente un ludus letterario per l’autore. Il secondo invece va a raccogliere le sue poesie più impegnate e di satira contro la dittatura. Mario era figlio del suo tempo, un esponente di quella dorata era umbertina, nonostante avesse visto al fronte gli orrori della Grande Guerra, egli era ancora un uomo in grado di ridere delle cose belle della vita. Il nascente fascismo e i suoi fanatismi in un primo tempo lo sorpresero. Poncini intratteneva una rete di amicizie e conoscenze che coinvolgevano esponenti e luoghi della cultura cittadina. Dopo aver cenato in una delle osterie del centro storico, ecco Mario e i suoi amici caracollare in corso Alfieri e dirigersi a teatro, dove si sceglieva sempre la “piccionaia” perché era lì che sedevano coloro che davvero volevano ascoltare e giudicare la lirica.
E poi, finito lo spettacolo, non era mai troppo tardi per tornare all’osteria (dove era d’obbligo un ultimo bicchiere di liquore alle noci). E così con una notevole dose di alcool in corpo, la compagnia rincasava cantando arie delle opere di Verdi o Rossini. Se vogliamo trovare una definizione per questo periodo della vita di Poncini si può definirlo un dandy, o meglio un bon vivant. Mario in questi anni inizia a scrivere le sue prime poesie che risultano composizioni estetiche e musicali, piene di quella bellezza d’altri tempi, ancora un po’ “sporche” di quella patina carducciana dell’era umbertina, ma decisamente fuori corrente nel nascente Ventennio. Per comprendere la vera anima dell’autore, bisognerà aspettare il suo secondo filone poetico.
È nella satira a Mussolini che Poncini dipana la sua sarcastica vena. Eccone un esempio. “Salute o Duce! O gran veggente/ o superuomo di nostra gente / ogni aggettivo superlativo / è inadeguato al vocativo! / Figlio di fabbro alcoolizzato / primo ministro sei diventato / e con la massima disinvoltura / di mille incarichi prendevi cura. / Col viso bronzeo, spettacoloso, sei sommamente meraviglioso / fotografato in più divise in mille pose, in mille guise! Ora a cavallo da generale / ed ora a piedi da caporale, / or sulla nave da marinaio, / or sugli scogli da ostricajo / oppure in cattedra da professore, / nella miniera da minatore, / or sulla trebbia da trebbiatore, / con la cazzuola da muratore. […] Quante battaglie da te volute / si son accese e poi perdute! / Contro le mosche, contro le blatte, / or per la lana, or per il latte; / quella del grano grandiosa ed immane, / d’un tratto ha fatto sparire il pane, / poi l’autarchia hai proclamato / e la miseria ci hai regalato”.
Amante della musica era anche un ottimo pittore come l’amico Joselito che gli dedica un fumetto
Leggendo queste poche righe, tratte da un lungo sonetto, intitolato Salute o Duce!, emerge come Mario Poncini si prende beffa dei simboli littori, della propaganda di Regime, del culto della personalità, del forte machismo del Duce. Insomma di tutto ciò che il fascismo, così tronfiamente, voleva rappresentare.
Oltre a Salute o Duce!, possiamo citare due altri titoli di queste poesie clandestine scritte negli ultimi anni della guerra: Al Bibi liberato e J’ai deux amours. Nel primo si racconta, con una lunga poesia divisa in quartine, la rocambolesca liberazione del Bibi (Benito) dalla sua prigione sul Gran Sasso, che Poncini immagina essere stata diretta sul campo da “un germanico soldato così come Adolfo gli ordinò”.
In testa alle quartine Poncini, per schernire il Min.Cul.Pop, batte a macchina la seguente frase: “Canzone avventurosa ad uso degli alunni delle Scuole Medie Inferiori (pubblicazione autorizzata dal ministero della Cultura Popolare)”. Nella seconda poesia Poncini prende in giro le sorelle Petacci, riferendosi a Clara l’amante del Duce; l’autore sceglie di intitolare J’ai deux amours questa lunga poesia, riprendendo così una famosa canzone francese, composta nel 1930 per l’artista afro-americana Josephine Baker.
Eccone di seguito alcuni versi. “Claretta viene, entra nell’androne / col suo passo leggero e pur deciso; / Claretta è qui già sale lo scalone / soffuso di rossor il dolce viso…/ Egli appar dall’uscio e grida “AMORE!” / salutate nel Duce il fondatore! / Di palazzo Venezia fra le sue austere mura, / soltanto voi sapete quel che avvenne / quel giorno fra Claretta bella e pura / ed il baldo triventenne / Ella gli offrì le grazie sue giulive, / ed il Duce impartì le direttive. […] Mai di Villa Torlonia fu più bello / il parco, come quando un bel mattino / aprì Claretta timida il cancello / e sorridendo inoltrossi nel giardino, / non v’era alcuno, cantava un uccellino / non si vedeva manco un questurino. / Claretta avanzava e in fondo al parco / vede un giardinier che sta potando un pero / ella s’accosta ed ecco? Che succede? / si girò l’uom togliendosi il cimiero. / Sole che sorgi libero e fecondo / illumina il più bel cranio del mondo! “Bibi” Le sfugge il grido di recente / lui la raccoglie sul suo vasto petto/ e grida: Sei mia… Totalitariamente !…”
Il salotto di casa Poncini diventa un luogo di ironie contro il Regime
Poncini è un personaggio eclettico, la sua cultura è ricca di rimandi a quella classica, lo stile può apparire goliardico, ma molto efficace e arguto. Oltre al grande amore per la scrittura e per la poesia, egli era anche un eccellente musicista: suonava pianoforte e mandolino, strumento con cui ha composto alcune marcette. Insieme alla scrittura, alla musica e alla lirica, Mario Poncini era anche un eccellente conoscitore di arte, esperto di mobili antichi che acquistava mettendo a frutto doti da commerciante. Non gli piaceva definirsi pittore, ma si riconosce una mano ferma e davvero abile in parecchi bozzetti che ha lasciato per descrivere (anche visivamente) alcune sue poesie. Un’altra grande passione di Poncini erano i cavalli.
Mario scendeva dal suo “piedistallo” di autore impegnato quando, all’ippodromo, andava a godersi le corse. Era un profondo conoscitore e amava il mondo equino, tanto che i suoi amici lo chiamavano scherzosamente il Brembà; questo era il nomignolo di un galoppatore che alle corse si piazzava sempre nei primi posti. Non che Mario fosse veloce o corresse particolarmente forte (vista anche la sua stazza), ma i primi posti Poncini li occupava nelle partite di biliardo: uno dei suoi passatempi preferiti, quando la sera girovagava per le osterie del centro. L’amore per le corse dei cavallo si esprimeva (in una città come Asti) quando era stagione di Palio. Mario risiedeva in corso Alfieri (nello stesso palazzo dell’ortopedia Visetti) in territorio di Santa Maria Nuova.
Poncini scrisse intensi sonetti dedicati al suo rione e composizioni varie che descrivevano il clima e l’ambiente di Asti negli Anni ’30, finché il Regime non vietò l’uso del termine Palio e la corsa fu interrotta nel 1936. Santa Maria Nuova in quegli anni, dal 1929 al ’35, vinse per tre volte e si conquistò il titolo di “Signora del Palio”. (Vedi Astigiani n° 1, settembre 2012). Mario Giacinto Poncini era un personaggio singolare: un omaccione grande e grosso, che si poteva incontrare nelle osterie, nei teatri e nei luoghi di piacere, ma era anche un dissidente politico che partendo da amicizie sincere e da complicità forti, è riuscito a dare all’intellighenzia astigiana un’alternativa liberale alla totalitaria cultura di Regime. I suoi amici erano di estrazione borghese e amavano, nel tempo libero, trascorrere a casa di amici ore piacevoli, per discutere di arte, di storia, di musica.
Due grandi amici e assidui frequentatori di casa Poncini in corso Alfieri erano Benvenuto Maina (rappresentante della prima generazione dei fondatori delle omonime officine) e Vittorio Olivero (pittore astigiano che i più ricorderanno con il soprannome di Joselito). Con loro Poncini fece nascere una sorta di circolo culturale dove i temi politici più espliciti erano riservati ai soli amici più fidati. Non era una opposizione organizzata, ma non per questo meno importante. Prevaleva lo scetticismo e il sarcasmo contro il Regime e le sue “conquiste”.
Quel circolo culturale, che negli Anni ’30 si venne così a creare, incarnava ideali liberali e democratici forti e, nelle riunioni, ogni membro portava un suo particolare “tributo” (di satira, ovviamente) in onore del Duce; una canzone, un sonetto, una poesia, tutto era ben accetto. Il tutto avveniva in segretezza nel timore di delazioni che avrebbero portato alla denuncia e all’arresto e al confino.
Poncini rappresentava ad Asti quell’atteggiamento critico, di cui ci parla così bene Mario Renosio nel suo saggio Tra sviluppo e marginalità: “Come nel resto d’Italia anche nell’Astigiano l’opposizione al fascismo sopravvive, tra le classi popolari come in una parte della borghesia democratica …] Rientrano in questo atteggiamento di antifascismo esistenziale anche isolate manifestazioni di dissenso, che vanno dal canto, alla scritta sovversiva, al gesto goliardico”. Ecco, è proprio questo l’atteggiamento di Poncini e del circolo antifascista che si viene a creare attorno alla sua figura: un antifascismo esistenziale, che Mario, per parte sua, manifestava nella poesia. Mischiando la sua instancabile ironia, all’arte classica, alla matrice carducciana, alla cultura degli anni Trenta e Quaranta del ’900.
Nel 1943 la famiglia sfolla a Valleandona e la nipote diventa staffetta partigiana
Durante la guerra il cognato di Mario trasferisce la famiglia in una casa di campagna a Valleandona, per sfollare da una Asti bombardata. Tutta la famiglia Viarengo si trasferì in campagna nel 1943. Poncini, per parte sua, provò a restare in città, ma dovette lasciarla dopo il bombardamento del 17 luglio 1944. Mario Poncini non si è mai sposato ma ha sempre trovato l’affetto e il calore nella famiglia della sorellastra Carlotta e di suo cognato, Luigi.
Mario aveva poi una nipotina, la figlia di Carlotta, Laura Viarengo, la quale, grazie ai sapienti insegnamenti dello zio e alla sua grande passione per l’opera, si diplomerà al conservatorio diventando una eccellente pianista e profonda conoscitrice di lirica e musica classica. È scomparsa nel 2003. Il cognato e la sorella lo ospiteranno fino alla fine della guerra. In questo periodo Poncini si avvicinò al movimento della Resistenza, prendendo contatti con un gruppo di partigiani nascosti nel castello di Valleandona. Mario convinse perfino sua nipote Laura, per la quale nutriva un amore smisurato, a fare la staffetta partigiana, senza farlo sapere al burbero cognato di Mario che non avrebbe mai accettato di mettere a rischio la vita di sua figlia, neppure per la più nobile delle cause.
Tutto l’affetto che Poncini aveva per i suoi famigliari e per la casa di Valleadona si può evincere dal fatto che prese in prestito proprio il nome del paesino per intitolare la sua intera opera poetica. Tutt’oggi inedita. Quaderni e appunti sono stati ritrovati in una biblioteca durante gli ultimi lavori di ristrutturazione nella casa di campagna dei Viarengo nel 2012. Una cartellina rigida, rossa, con su scritto a grandi e belle lettere “Valleandona”, conteneva tutto il materiale, i sonetti, le poesie e i racconti che Mario lasciò (scritti di suo pugno o battuti a macchina). Poncini non partecipò mai direttamente alla lotta per la Resistenza. Nei suoi scritti non ci sono azioni di guerra e violenze. Poncini in fondo era un goliardico, un esteta, che si sapeva divertire. Ridere, a volte è fuori luogo, però in fondo una risata ha la sua forza. Un famoso manifesto anarchico mostra un uomo arrestato a mani alzate che ride e lo slogan “Una risata vi seppellirà”. Dopotutto, possiamo dire che quel grosso omaccione, che caracollava lungo corso Alfieri, riuscì in un’impresa straordinaria: il suo fu un antifascismo divertito e divertente.
Terminata la guerra Poncini ritorna ad Asti, ma la casa di Valleandona resta un piacevole ritiro estivo. Nonostante le sollecitazioni di amici non darà mai alle stampe le sue poesie e i suoi sonetti. Muore il 9 aprile del 1951 a 57 anni. La Gazzetta d’Asti pubblica il necrologio della famiglia: “Fra lavoro e studio nel culto delle arti che tanto amavi, si compì la tua giornata terrena. Ora nella luce di Dio l’esempio della tua modestia, della tua rassegnazione, ti fa rivivere tra noi e ci conforta”. Poncini riposa al cimitero di Asti nella cappella della famiglia Viarengo.