El preve (il prete) o el frò (il frate), erano chiamati così gli scaldaletto in legno a forma di doppio arco, che con il calore della brace hanno dato tepore alle gelide lenzuola degli astigiani. Il nome, sembrerebbe derivare dalla beffarda associazione con la figura mite e fraterna del curato o del frate di campagna, calmo, affidabile e caloroso al punto da scaldare il letto senza causare molestie di alcun genere alle mogli e tantomeno ai mariti. Che poi, proprio del tutto affidabile il preve non lo era… Marietta, classe 1922 racconta come a suo zio Ernesto, prese fuoco il letto, quando una smùia (una scintilla di brace) saltò fuori dal coperchio della furnétta e in pochi minuti riuscì ad incendiare lenzuolo e trapunta.
Il preve, rappresentava uno degli immancabili regali di nozze, non senza ironia. Veniva costruito soprattutto utilizzando legno di castagno, perchè flessibile, stabile e leggero. Le dimensioni erano diverse, ma principalmente c’era un modello da adulti lungo circa un metro e mezzo e uno più piccolo per il letto dei bambini. Introdotto sin dal diciottesimo secolo nelle nostre campagne, lo incontriamo fino agli Anni Sessanta, quando venne soppiantata dalle più comode borse in gomma per l’acqua calda. È un oggetto rimasto nelle cascine più isolate. La brace rappresentava l’energia indispensabile per generare quel calore intenso, ampio, avvolgente, profondo e unico.
Prelevata dalla stufa o dal camino con le pinze e la paletta, la brace ancora fiammeggiante veniva posta in un contenitore di rame o lamiera con il coperchio forellato e un lungo manico di legno: la furnétta.
Una volta posizionata la furnétta sulla base del preve e dopo aver rincalzato le coperte si lasciava permanere almeno una mezz’oretta nel letto, dando il via ad un unico, irriproducibile, indimenticabile ecosistema da sottocoperta, antesignano dei moderni “scaldaletto” elettrici.